giovedì, Aprile 25, 2024
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Lottizzazione e perequazione: l’interpretazione del TAR Lombardia

Una pronuncia del TAR Lombardia ha gettato le basi necessarie per la comprensione di alcuni istituti dibattuti in ambito dottrinale e ancora oscuri a molti interpreti: nello specifico ha consentito una distinzione tra l’obsoleto istituto della lottizzazione e il recente strumento della perequazione.

Una tendenza dottrinale recente[1]sostiene che il fenomeno della lottizzazione possa essere, oggi, completamente sostituito da quello della “perequazione”, in particolare ove quest’ultimo è visto come strumento per le dotazioni della “città pubblica”. Tale espressione è il risultato dell’analisi di una sentenza del TAR Lombardia[2].

La vicenda giudiziaria vedeva la S.p.A. “Immobiliare PA.RO.GRA.” contro il Comune di Corbetta e la Regione Lombardia, chiedendo l’annullamento del “Piano di Governo del Territorio e strumenti correlati” del Comune di Corbetta e di ogni altro atto o provvedimento connesso, preordinato o presupposto, con particolare riguardo al procedimento di V.A.S.

Tale caso può essere esemplificativo al fine di comprendere la complessità del meccanismo della perequazione.
La PA.RO.GRA. risultava proprietaria di due aree non limitrofe nel Comune di Corbetta: l’ex Consorzio agrario e l’Ultrocchi.
Il previgente P.R.G. consentiva l’edificazione a iniziativa privata in entrambe le aree, sulla base di appositi e autonomi piani attuativi.
Il nuovo P.R.G. stabilisce che le due aree costituiscono unitariamente l’Area di trasformazione 5 – “Città della Cultura”, per la quale sono previsti determinati obiettivi:

– La riqualificazione dell’ambito urbano attorno all’edificio dell’ex Consorzio agrario per realizzare un polo per l’offerta di servizi culturali;

– Il recupero del medesimo edificio;

– La realizzazione di una sala polivalente;

– La realizzazione di uno spazio urbani centrale destinato a rafforzare e ricucire le relazioni tra l’area del centro storico e le zone edificate poste immediatamente a nord.

L’intera area risulta, allo stato, soggetta ad un unico piano attuativo.

Dal punto di vista giuridico la PA.RO.GRA. vantava:

1)La violazione della disciplina in materia di Valutazione Ambientale Strategica.
Il TAR Lombardia ha però dichiarato inammissibile questo primo motivo di ricorso, in quanto gli interessi differenziati di carattere ambientale sono oggetto delle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.)[3]e di Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.)disciplinate dagli artt. 4 ss. del Codice dell’ambiente[4]. La V.I.A. ha carattere obbligatorio, vincolante e sostitutivo di ogni altro provvedimento in materia ambientale, a differenza della V.A.S. che non è vincolante e quindi non dà indicazioni assolute sulle scelte pianificatorie, bensì offre un quadro di informazioni a supporto delle strategie dell’atto pianificatorio. Questi strumenti, fondati sul concetto di “sviluppo sostenibile”, sono caratterizzati dal principio dell’azione preventiva, secondo il quale la migliore politica ambientale consiste nel prevenire i possibili effetti negativi legati alla realizzazione dei piani e dei progetti piuttosto che combatterli successivamente.

2) La violazione del principio di nominatività e tipicità degli strumenti urbanistici.
La ricorrente sostiene che il Documento di Piano del Comune di Corbetta non si limiterebbe a indicare i criteri di negoziazione e indicazioni di massima per la successiva pianificazione attuativa, ma recherebbe disposizioni dettagliate e vincolanti. La violazione del modello tipico sarebbe resa evidente dall’obbligo imposto al privato di cedere un bene individuato (L’ex Consorzio agrario)[5].
Il Tar Lombardia premette che lo strumento pianificatorio possa individuare delle invarianti non negoziabili o soggette a limitata negoziazione, in corrispondenza di scelte che assumono carattere essenziale, costituendo il cardine per la realizzazione degli obiettivi previsti o essendo correlate alla cura di interessi di rilievo costituzionale primario (salute, ambiente, paesaggio, beni culturali).

Nel caso di specie, l’art 17 del Documento di Piano sancisce la necessità di prevedere in sede attuativa la cessione gratuita al Comune dell’edificio dell’ex Consorzio agrario o in alternativa la collocazione di funzioni terziario-commerciali al piano terra dell’edificio. Quindi anche questo motivo è stato rigettato.

3) La violazione delle norme in materia di perequazione.
La ricorrente sostiene che il Comune ha realizzato una forma di perequazione “innominata” non riconducibile ai modelli contemplati dalla legge regionale. In particolare, la disciplina sarebbe violata:

a) per il convogliamento del meccanismo perequativo non solo di aree ma anche di un edificio già esistente;

b) per la mancata determinazione dell’indice di edificabilità territoriale dell’intera area;

c) per l’introduzione di previsioni dettagliate invece che di meri criteri di compensazione, perequazione, incentivazione;

d) per la mancanza di una stretta correlazione tra i diritti edificatori e le dotazioni di aree per opere di urbanizzazione.

La Sezione del TAR richiama il suo precedente orientamento nel quale afferma che, trovando l’istituto perequativo fondamento nella potestà conformativa del territorio di cui è titolare l’Amministrazione nell’esercizio della attività pianificatoria e nella possibilità di utilizzare modelli consensuali per il perseguimento di finalità di interesse pubblico, non è necessaria la presenza di puntuali norme che disciplinino in modo specifico i modelli attraverso cui l’istituto si può concretizzare.

Da ciò si deduce che nell’esercizio della pianificazione, l’Amministrazione ha l’ampio potere di delineare le previsioni aventi funzione perequativa, anche adattando i modelli della legislazione regionale al fine di renderli più aderenti alle proprie esigenze contingenti. Il TAR, inoltre, ha chiarito la distinzione tra “cessione perequativa” e “cessione compensativa”.

La prima è alternativa all’espropriazione poiché prevede l’apposizione di un vincolo pre-espropriativo sulle aree destinate a servizi pubblici, ma stabilisce che tutti i proprietari, (sia coloro i quali possono edificare sulle loro aree, sia quelli i cui immobili dovranno realizzare la città pubblica), partecipino alla realizzazione delle infrastrutture pubbliche attraverso l’equa ed uniforme distribuzione di diritti edificatori indipendentemente dalla localizzazione delle aree per attrezzature pubbliche e dei relativi obblighi nei confronti del Comune.
L’altra si caratterizza per l’individuazione da parte del pianificatore di aree, destinate alla costruzione della città pubblica, rispetto ai quali l’amministrazione non può rinunciare a priori al vincolo e alla facoltà imperativa e unilaterale di acquisizione coattiva delle aree. In queste aree, il Comune appone il vincolo pre-espropriativo ed entro cinque anni deve fare ricorso all’espropriazione con la possibilità di ristorare il proprietario mediante attribuzione di “crediti compensativi” od aree in permuta in luogo dell’usuale indennizzo pecuniario.

Quindi il discrimentra cessione perequativa e cessione compensativa risiede nella circostanza che solo la seconda presuppone l’imposizione di una destinazione del suolo al soddisfacimento di esigenze di interesse pubblico, che è invece estranea alla prima.

Nel caso di specie, deve escludersi che il Comune abbia inteso fare applicazione della cessione compensativa, poiché l’edificio dell’ex consorzio non è stato direttamente destinato a finalità di interesse pubblico, bensì inserito in un ambito di trasformazione.

La fattispecie concreta è da inquadrare nell’ambito della perequazione.
Il terzo motivo di ricorso è stato integralmente respinto, in virtù delle argomentazioni fornite.

4) La realizzazione di un vincolo espropriativo atipico senza corresponsione di un indennizzo commisurato al valore venale del bene.
Il TAR Lombardia[6]rivela che non è ravvisabile un vincolo preordinato all’esproprio, in quanto le previsioni del Documento di Piano non legittimano di per sé il Comune di Corbetta all’espropriazione dell’edificio dell’ex Consorzio poiché quest’ultimo verrà in possesso dell’amministrazione solo ed esclusivamente se la ricorrente proprietaria reputerà economicamente conveniente l’attuazione della previsione.

5)La attribuzione di capacità edificatorie non corrispondenti al valore dell’edificio da cedere al Comune.

Il TAR ha accertato innanzitutto che il Comune di Corbetta ha previsto una capacità edificatoria superiore rispetto a quella attribuita alla generalità degli ambiti di trasformazione (20.000 mq in luogo dei normali 12.203,90 mq) e, in secondo luogo, che non è corretto individuare il valore dell’immobile nel suo prezzo di acquisto.

Nonostante il ricorso appena analizzato sia stato integralmente respinto, esso può indubbiamente rappresentare uno strumento utile per la ricostruzione della disciplina in questione, sia per quanto concerne l’istituto della perequazione, che per quanto riguarda il rapporto con i vincoli e con la realtà urbanistica. Infatti, l’analisi di una realtà urbanistica specifica e l’atteggiamento del potere giudiziario in relazione ad una sua ipotizzata violazione,  hanno spinto la dottrina  all’interpretazione di istituti e norme che però, a quanto pare, sono ancora oscuri e per i quali sono necessari ulteriori passaggi giurisprudenziali affinché si possa avere un quadro definitivo.

[1]Ricerca condotta da LA FARCIOLA P., MASTROCINQUE E., La perequazione urbanistica quale strumento per le dotazioni della “città pubblica”,2015.

[2]TAR LOMBARDIA sent. n. 596 del 2015.

[3]La V.I.A. riguarda interventi specifici considerati di particolare impatto ambientale (alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell’ambiente).

[4]Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

[5]Violazione dell’art. 8 comma 3 della Legge Regionale n. 12 del 2005, Regione Lombardia.

[6]Milano, TAR LOMBARDIA sez. II, sent. 5 febbraio 2014, n. 378: << Non vengono in rilievo i principi che subordinano l’espropriazione alla corresponsione di un equo indennizzo, in quanto il modello perequativo è fondato sul consenso dei proprietari coinvolti, i quali, ove ritengono insufficienti i vantaggi attribuiti dal piano, possono rifiutarsi di addivenire alla cessione di aree. >>.

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