giovedì, Marzo 28, 2024
Criminal & Compliance

L’uso legittimo delle armi: l’articolo 53 c.p. e i suoi limiti

Lecause di esclusione del reato o scriminanti escludono l’antigiuridicità di una condotta, altrimenti penalmente rilevante e sanzionabile. Nello specifico: uso legittimo delle armi.

L’articolo 53 del Codice Penale recita così al primo comma: “Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti, non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona”. Si tratta di una scriminante sussidiaria e integrativa:  essa opera solo laddove manchino i presupposti della legittima difesa (art. 52) e dell’adempimento di un dovere (art.51).

La scriminante – contrariamente alla legittima difesa che opera a favore di “chiunque” – giustifica l’uso delle armi soltanto da parte dei pubblici ufficiali, e specificamente quei pubblici ufficiali che istituzionalmente sono autorizzati a ricorrere all’uso della forza per realizzare i propri doveri istituzionali. Tuttavia, il secondo comma estende l’applicabilità della disposizione anche a favore di “qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza”. L’ultimo comma, poi, sottolinea la natura integrativa e sussidiaria della norma rinviando alla legge quanto alla determinazione degli altri casi in cui è autorizzato l’uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica.

Il riferimento specifico al pubblico ufficiale come destinatario della causa di giustificazione impone che l’uso dell’arma sia teso all’ adempimento di un dovere del proprio ufficio oppure ad eliminare l’ostacolo che si contrappone tra il pubblico ufficiale e il dovere stesso. Essa dunque non opera se il soggetto ha agito per un fine privato o nell’esercizio di una facoltà, e non di un dovere. I mezzi di coazione devono essere inoltre quelli indicati dalle disposizioni di servizio o comunque strumentali rispetto alla realizzazione del dovere.

Due sono le ipotesi in cui è considerato legittimo ricorrere all’uso delle armi: quando il pubblico ufficiale deve respingere una violenza – che può essere tanto diretta contro il pubblico ufficiale quanto contro cose o persone che egli ha il dovere istituzionale di proteggere– o vincere una resistenza.

Requisiti indispensabili sono la necessità e la proporzionalità. Necessità significa che la violenza da respingere e la resistenza da vincere devono essere di portata tale da essere obbligato il ricorso alle armi. La proporzionalità, dall’altra parte, richiede una valutazione caso per caso degli interessi contrapposti in considerazione della condotta del pubblico ufficiale rispetto al pericolo derivante dalla violenza o resistenza.

Questione dolente e molto discussa è l’operatività della norma in caso di resistenza passiva o di fuga. Infatti, per anni la giurisprudenza ha escluso l’applicabilità dell’articolo 53 in suddette ipotesi, sostenendo che la norma, pur non specificandolo, faccia riferimento solo alla resistenza attiva e non a quella passiva, mancando nel secondo caso qualsiasi connotazione fisica. Tale conclusione, tuttavia, risulta troppo semplicistica e penalizzante per il pubblico ufficiale. La giurisprudenza più recente, così, ha escluso qualsiasi rilevanza della differenza tra resistenza attiva o passiva, preferendo leggere piuttosto la questione alla luce del principio di proporzionalità. Tale impostazione ha portato ad ammettere, per esempio, l’utilizzo delle armi a scopo intimidatorio contro il fuggitivo.

La proporzionalità non opera, però, rispetto alla gravità del reato, ma rispetto alle modalità concrete della fuga e della resistenza. Il Tribunale di Bari, infatti, ha ritenuto di escludere l’eccesso colposo nel caso in cui si sia ricorso all’uso delle armi “al fine di arrestare la pericolosa condotta del conducente di un’autovettura in folle corsa che abbia messo a repentaglio pedoni ed altre autovetture in circolazione, senza arrestarsi alle intimazioni d’alt dei militari intervenuti.”

La disposizione, poi, va letta anche alla luce dell’articolo 2 della Cedu, in tema di protezione del diritto alla vita di ciascun individuo.  La norma esclude la violazione di tale diritto ogni qual volta il ricorso all’uso della forza è reso assolutamente indispensabile dalla necessità di assicurare la difesa di qualsiasi persona contro una violenza illegale, di eseguire un arresto legale o impedire un’evasione e di reprimere una sommossa o insurrezione. La Suprema Corte nel 2003 ha ritenuto l’articolo 2 immediatamente applicabile nel nostro ordinamento, e specificamente nel caso di fuga e prescindendo dal principio di proporzionalità.

La Corte ha affermato inoltre  che “… qualora si verifichi un evento più grave di quello voluto, ciò rientra nel rischio insito nell’uso delle armi da parte del pubblico ufficiale, e di conseguenza non può essere posto a carico del medesimo. L’esimente putativa dell’uso legittimo delle armi può ravvisarsi, secondo una valutazione ex ante, quando l’agente abbia ritenuto per errore di trovarsi in una situazione di fatto tale che, ove fosse stata realmente esistente, egli sarebbe stato nella necessità di fare uso delle armi.”

Non manca, però, chi ha criticato questa pronuncia sia in termini di applicabilità immediata dell’articolo 2 della Cedu, sia mettendo in dubbio la compatibilità di tale portato normativo con la nostra Costituzione, la quale considera comunque prioritario il diritto alla vita del fuggitivo rispetto all’esigenza del suo arresto. È invece sulla base di una lettura integrata e coordinata dei criteri di necessità e proporzionalità e delle norme della Costituzione e della Cedu che si deve discutere l’ammissibilità del ricorso all’uso delle armi in caso di fuga.

In conclusione, l’uso delle armi deve ritenersi legittimo in caso di fuga solo quale extrema ratio e quando le modalità di fuga siano tali da porre in pericolo l’incolumità di terzi o dei pubblici ufficiali medesimi.

Laura De Rosa

Raccontarsi in poche righe non è mai semplice, specialmente laddove si intende evitare l’effetto “lista della spesa”. Cosa dire di me, dunque, in questa piccola presentazione per i lettori di “Ius in itinere”? Una cosa è certa: come insegnano le regole di civiltà e buona educazione, a partire dal nome non si sbaglia mai. Mi chiamo Laura De Rosa e sono nata nella ridente città di Napoli nel 1994. Fin da bambina ho coltivato la mia passione per la scrittura, che mi ha portato a conseguire col massimo dei voti nel 2012 il diploma classico presso il liceo Adolfo Pansini. Per lungo tempo, così, greco e latino sono stati per me delle seconde lingue, tanto che al liceo rimproveravo scherzosamente la mia professoressa di greco accusandola del fatto che a causa sua parlassi meglio delle “lingue morte” piuttosto che l’inglese. Tuttavia, ciò non ha impedito che anche io perdessi la mia ignoranza in proposito e oggi posso vantare un livello B2 Cambridge ed una forte aspirazione al C1. Parlo anche un po’ di spagnolo e, grazie al programma Erasmus Plus che mi ha portato nella splendida Lisbona, ora posso dire con fierezza che il portoghese non è più per me un mistero. Sono cresciuta in un ambiente in cui il diritto è il pane quotidiano ed ho sempre guardato a questo mondo come a qualcosa di familiare e allo stesso tempo estraneo, perché talvolta faticavo a comprenderlo. Approcciata agli studi legali, invece, la mia visione delle cose è cambiata e mi sono accorta come termini che prima mi apparivano incomprensibili e lontani invece rappresentano la realtà di tutti giorni, anzi ci permettono di vedere e capire questa realtà. Ho affrontato, nel mio percorso universitario, lo studio del diritto penale con uno spirito critico mosso da queste considerazioni e sono giunta alla conclusione che questo ramo è quello che, probabilmente, più di tutti gli altri rappresenta l’uomo. Oggi sono iscritta all’ultimo anno della laurea magistrale presso l’Università Federico II di Napoli e, nonostante non ci sia branca del diritto che manchi di destare la mia curiosità, sono sempre più convinta di voler dare il mio contributo all’area penalistica. L'esser diventata socia di ELSA sicuramente ha rappresentato per me un'ottima opportunità in questo senso. Scrivere per un giornale non è, per me, un’esperienza nuova. La mia collaborazione con “Ius in itinere” ha però un sapore diverso: nasce dal desiderio di mettermi in gioco come giurista, scrittrice e membro della società. Il diritto infatti, come l’uomo, vive e si sviluppa. E come l’uomo ha un animo, aspetto da tenere sempre presente quando ci si approccia a studi giuridici. Mia volontà è dare un contributo a questo sviluppo nell’intento e nella speranza di collaborare ad un diritto più “giusto” e più “umano”. Oggi nelle vesti di scrittrice, un domani in un ruolo ancor più attivo. Mail: laura.derosa@iusinitinere.it

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