MAE: cosa accadrà dopo la Brexit?
Negli ultimi anni sono stati frequenti gli interventi di natura preventiva dell’Unione Europea volti a garantire maggiore sicurezza nei territori dei suoi consociati; tale attività nasce dalla necessità di far fronte comune alla criminalità transnazionale, il cui tasso è in costante crescita dagli anni duemila. Oltre allo scambio di informazioni attinenti i passeggeri, i voli aerei[1], i meccanismi di allerta di forze di polizia e di frontiera[2] e le agenzie Europol e Eurojust[3], ciò che ha un maggiore impatto sulla sicurezza transnazionale è sicuramente il mandato di arresto europeo[4]. Dalle più recenti statistiche si evince il numero elevato di arresti posti in essere dalla Gran Bretagna mediante il ricorso al MAE, istituto che sin dalla sua nascita ha fatto sì che le nazioni potessero collaborare tra di loro.
Con la notifica della volontà di abbandonare l’Unione Europea, ci si chiede quale sia lo scenario che si prospetta con l’eventuale entrata in vigore della Brexit.
La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea
È utile segnalare, a tal proposito, la recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, emessa il 19 Settembre 2018 (Causa C-327-18 PPU). Ivi si affronta il rapporto esistente tra il diritto europeo, la sua conseguente applicazione e l’intervenuta notifica da parte del Regno Unito di recesso dall’Unione Europea (ovvero la Brexit).
La vicenda, la quale prevede un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE da parte della Alta Corte Irlandese, si interroga sulla necessità di dare esecuzione o meno alle richieste fondate sulla Decisione Quadro MAE[5] provenienti dal Regno Unito. L’High Court irlandese immaginava già un contesto nel quale sarebbero stati stipulati degli accordi tra l’Unione Europea e la Gran Bretagna immediatamente dopo il recesso ed aventi effetti a lungo termine, garantendo così maggiore collaborazione tra gli stati in materia di sicurezza transnazionale.
Il problema della collaborazione tra Stati venne evidenziato quando il Regno Unito richiese due mandati d’arresto operati nei confronti di R.O. che vennero convalidati per l’esecuzione dalla High Court Irlandese (rispettivamente il 1° febbraio e il 10 maggio 2016), ai fini dell’esercizio di un’azione penale per reati di omicidio, incendio doloso e stupro, che comportano tutti la pena edittale massima dell’ergastolo.
R.O. nelle sue memorie difensive, ha addotto dei motivi di opposizione alla sua consegna al Regno Unito, fondati, principalmente, su questioni relative al recesso della Gran Bretagna dall’Unione Europea e all’articolo 3 della CEDU collegate a potenziali trattamenti inumani e degradanti che subirebbe qualora fosse detenuto nel carcere di Maghaberry in Irlanda del Nord.
R.O. sostiene, inoltre, che non è affatto chiaro come e se i diritti conferitogli dalla decisione quadro saranno garantiti dopo il recesso del Regno Unito dall’Unione.
Di fatto, qualora l’R.O. fosse riconsegnato all’autorità inglese, lo stesso resterebbe nel territorio britannico sino a Marzo 2019, data posteriore rispetto a quella prevista per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
I dubbi del giudice del rinvio
Il giudice del rinvio, de facto, nella sua sentenza individuava quattro aspetti del diritto dell’Unione Europea che sarebbero venuti meno con la Brexit, ovvero:
- Il diritto alla deduzione del periodo di custodia scontato nello Stato membro di esecuzione;
- La regola di “specialità”[6];
- La noma che limita la consegna o l’estradizione successiva[7];
- Il rispetto dei diritti fondamentali della persona contemplati nella Carta di Nizza.
Il giudice irlandese si chiedeva, dunque, se una controversia di merito, in tal senso, costituisse un rischio concreto di ingiustizia, rendendo così la domanda di consegna di R.O. alle autorità britanniche non meritevole di accoglimento.
La sentenza della Corte di Lussemburgo
Per fare chiarezza sui dubbi del giudice irlandese si è pronunciata la Corte di Lussemburgo affermando che la mera notifica di uno Stato membro della propria volontà di recedere dall’Unione non è assolutamente in grado di giustificare il rifiuto di eseguire un MAE, in quanto la persona sottoposta a tale istituto non potrebbe vantare alcun diritto conferitogli dalla Decisione Quadro.
La CGUE ha sciolto questo nodo nevralgico del giudice del rinvio, sostenendo che la sola notifica non produca l’effetto di sospendere l’applicazione del Diritto dell’Unione Europea. Ogni disposizione contenuta all’interno delle decisioni quadro, i principi della fiducia e del riconoscimento reciproco della stessa restano in vigore sino all’effettivo recesso dall’Unione.
Si evince dunque che:
“L’articolo 50 TUE dev’essere interpretato nel senso che la mera notifica da parte di uno Stato membro della propria intenzione di recedere dall’Unione europea ai sensi di tale articolo non comporta che, in caso di emissione da parte di tale Stato membro di un mandato d’arresto europeo nei confronti di una persona, lo Stato membro di esecuzione debba rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo o rinviarne l’esecuzione in attesa che venga chiarito il regime giuridico che sarà applicabile nello Stato membro emittente dopo il suo recesso dall’Unione europea. In mancanza di ragioni serie e comprovate di ritenere che la persona oggetto di tale mandato d’arresto europeo rischi di essere privata dei diritti riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, a seguito del recesso dall’Unione europea da parte dello Stato membro emittente, lo Stato membro di esecuzione non può rifiutare l’esecuzione del medesimo mandato d’arresto europeo fintanto che lo Stato membro emittente faccia parte dell’Unione europea.”[8].
Le conclusioni dell’Avvocato generale
Interessanti, in tal senso, sono le conclusioni dell’Avvocato Generale MACIEJ SZPUNAR.
L’esecuzione di un MAE, proveniente dal Regno Unito sulla base di una decisione quadro, deve procedersi come se il Regno Unito non avesse mai notificato al Consiglio Europeo la propria volontà di recedere dall’Unione[9]. Quindi anche qualora uno stato membro avesse notificato al Consiglio Europeo la propria intenzione a recedere dall’Unione ed contemporaneamente avesse emesso un MAE, la suddetta notifica non influirebbe minimamente sulla valutazione giuridica che deve essere svolta dalle autorità giudiziarie di altro Stato Membro nell’esecuzione del mandato.
Il rapporto giuridico tra l’Unione Europea e l’Irlanda, per quanto riguarda la consegna, continua ad essere disciplinato dalla decisione quadro, la quale, come è stato sufficientemente chiarito sopra e ripetutamente dichiarato dalla Corte, si fonda sulla fiducia reciproca[10]. La posizione sarebbe diversa solo se tale fiducia reciproca risultasse compromessa.
Allo stesso modo neppure la Corte di Cassazione francese ha ritenuto necessario sospendere un procedimento in attesa di una risposta ad una domanda pregiudiziale in merito all’incidenza della Brexit sulla decisione quadro.
[1] Disciplinato nella Direttiva (UE) 2016/681.
[2] Regolamento CE 1987/2006.
[3] Regolamento (UE) 2016/794 e Decisione “002/187/GAI.
[4] Decisione Quadro 2002/584/GAI.
[5] Decisione Quadro 2002/584/GAI.
[6] Art. 27 d.q. 2002/584/GAI.
[7] Art 28 d.q. 2002/584/GAI.
[8] CGUE Causa C-327-18 PPU.
[9] Ex art. 50 TFUE.
[10] La fiducia reciproca è ampiamente – e giustamente – considerata parte integrante del DNA dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia: v. Labayle, H., «Faut-il faire confiance à la confidence mutuelle ?», in K. Lenaerts (ed.), Liber Amicorum Antonio Tizzano, De la Cour CECA à la Cour de l’Union: le long parcours de la justice européenne, G. Giappichelli Editore, Torino 2018.
Avvocato, finalista della II edizione della 4cLegal Academy, responsabile dell’area Fashion Law e vice responsabile dell’area di Diritto Penale di Ius in itinere.
Maria Elena Orlandini nasce a Napoli il 2 Luglio 1993. Grazie all’esperienza di suo padre, fin da piccola si appassiona a tutto ciò che riguarda il diritto penale, così, conseguita la maturità scientifica, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi del Sannio.
Si laurea con 110 e lode il 20 Marzo 2018 con una tesi dal titolo “Mass Media e criminalità” seguita dai Proff. Carlo Longobardo e Prof. Felice Casucci, in cui approfondisce il modus attraverso il quale i social media e la tv siano in grado di mutare la percezione del crimine nella società.
Nel 2019 ha conseguito con il massimo dei voti il Master di II livello in Giurista Internazionale d’Impresa presso l’Università degli Studi di Padova – sede di Treviso, specializzandosi in diritto penale dell’economia, con una tesi dal titolo “Il reato di bancarotta e le misure premiali previste dal nuovo Codice della Crisi di Impresa”, sotto la supervisione del Prof. Rocco Alagna. Nel giugno 2020 ha superato il corso di diritto penale dell’economia tenuto dal Prof. Adelmo Manna, professore ordinario presso l’Università degli Studi di Foggia, già componente della commissione che ha varato il d.lgs. 231/2001. All’età di 27 anni consegue l’abilitazione all’esercizio della professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia.
Dal 2019 segue plurimi progetti legati al Fashion Law e alla proprietà intellettuale, prediligendone gli aspetti digital in tema di Influencer Marketing.
Nel 2020 viene selezionata tra i cinque giovani talenti del mercato legale e partecipa alla seconda edizione della 4cLegal Academy, legal talent organizzato dalla 4cLegal, visibile sul canale BFC di Forbes Italia, su Sky.
Nel 2022 si iscrive al corso di aggiornamento professionale in Fashion Law organizzato dall’Università degli Studi di Firenze.
Passione, curiosità, empatia, capacità di visione e self control costituiscono i suoi punti di forza.
Collabora per le aree di Diritto Penale e Fashion Law & Influencer marketing di Ius in itinere.
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