venerdì, Marzo 29, 2024
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Maltrattamento di animali e pericolosità sociale

Il maltrattamento degli animali nell’età infantile, adolescenziale o adulta è un comportamento socialmente inaccettabile in quanto fonte di dolori e sofferenze non necessarie nei confronti di un essere vivente. Oltre a rappresentare un sintomo di una situazione patologica, tale fenomeno, laddove posto in essere da minori, potrebbe fungere da campanello d’allarme quale indice di pericolosità sociale futura. Per questo motivo, se individuato per tempo, può essere prevenuto al fine di evitare reiterazioni della condotta, con conseguenze ben peggiori.

I Serial Killer sono bambini a cui non è mai stato insegnato che è sbagliato cavare gli occhi ad un animale.” “Gli assassini…molte volte cominciano uccidendo e torturando animali da bambini”. In effetti, così diceva Robert K. Ressler.[1]

Questo è il punto di vista che si adotterà in questa prima parte della trattazione. Si andrà, in particolare, ad analizzare il fenomeno del maltrattamento di animali, per poi affrontare, in una seconda pubblicazione, il medesimo argomento sotto l’aspetto più strettamente giuridico e sanzionatorio, considerato che in precedenza è già stato trattato il tema della risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente alla morte e/o lesione dell’animale d’affezione e gli obblighi in capo al padrone. [2]

Saevitia in bruta est tirocinium crudelitatis in homine” così si esprimeva Ovidio Publio Nasone più di 2000 anni fa e tradotto significa “La crudeltà su animali è tirocinio di crudeltà verso gli uomini”. Già all’epoca si era intuita la gravità a livello sociale di un certo tipo di atteggiamento e di come questo potesse essere predizione di sviluppo di una violenza futura agita nei confronti di vite umane in misura potenzialmente maggiore.

Al giorno d’oggi il fenomeno interessa, in chiave processuale ed in termini di conseguenze giuridiche, una dinamica in cui a farne le spese sono l’animale stesso e “l’umano suo compagno di vita”, purtroppo spesso posti all’interno di vicende considerate ancora di serie b. Ma non solo. Il fenomeno interessa anche le politiche criminali odierne e la disciplina della vittimologia, ambiti che nel nostro Paese hanno risentito per molto tempo dell’assenza di studi scientifici in grado di correlare il maltrattamento di animali a certe condotte antisociali, devianti, criminali o di violenza interpersonale. La conseguenza è che talune vicende, che la letteratura scientifica nazionale ed internazionale individua essere gravi fattori di rischio, finiscono per essere considerate in modo diametralmente opposto, addirittura come fattori protettivi. Capita talvolta che le donne che denunciano atti di violenza agita in ambito familiare concretizzatisi “solamente” in aggressioni verso l’animale domestico da parte del proprio partner o ex partner, vengano rassicurate proprio in virtù del fatto che la violenza si sia manifestata e sfogata sull’animale e non sulla persona. Altro fattore non trascurabile è la comminazione di pene di lieve entità per chi si macchia di tali reati, prevedendo numerose attenuanti, sospensione condizionale della pena e messa alla prova le quali implicano, in virtù di un tentativo (paradossale) di recupero del reo in questione, la prestazione di servizio di volontariato, da parte di quest’ultimo, presso strutture con animali.

Maltrattamento animali e letteratura scientifica internazionale.

La crudeltà sugli animali è una sorta di preparazione a quello che può tramutarsi in violenza sull’essere umano o su un soggetto comunque più debole. Questa escalation di violenza, che spesso inizia nell’infanzia, se non individuata e “curata” sfocia in un allarme sociale che coinvolge inevitabilmente, ad un certo punto, non più solamente l’autore di reato stesso, ma tutta la collettività.

Il collegamento tra maltrattamento su animali e devianza e pericolosità sociale si fonda oggi su basi statistiche e ricerche scientifiche e prende il nome di LINK, che tecnicamente in ambito criminologico, psicologico, psichiatrico e delle scienze investigative sta ad indicare quella “stretta correlazione esistente fra maltrattamento e/o uccisione di animali, violenza interpersonale e ogni altra condotta deviante, antisociale e/o criminale – omicidio, stupro, stalking, violenza domestica su donne – minori – anziani, rapina, spaccio, furto, truffa, crimini rituali, crimini predatori, manipolazione mentale, ecc.” [3] A conferma di ciò, è utile sottolineare come l’approccio al tema del maltrattamento di animali sia di matrice criminologica (negli Stati Uniti il lavoro in tale ambito è svolto dalla Behavioral Analysis Unit – BAU), psichiatrica e psicologica, ambiti strettamente attinenti allo studio dell’essere umano. Solo solo in via successiva si è verificata una estensione anche ad altri ambiti che  riguardano più propriamente l’animale, come la medicina veterinaria e la biologia animale.

Ampi studi e ricerche nelle realtà accademiche, giudiziarie e di politica sociale, riguardo questa tematica traggono origine dalla letteratura scientifica del mondo anglosassone, laddove soprattutto a partire dagli anni ‘60 si inizia a correlare la crudeltà su animali con la violenza interpersonale.[4]

A fronte di ciò, si ritiene opportuno riportare i principali risultati scientifici ottenuti, che permettono di affermare l’esistenza di suddetta correlazione. [5]

  • Escalation della crudeltà animale quale forma di evoluzione in (Lockwood 1989; Ressler, Burgess, Douglas 1988; Wright e Hensley 2003):
    • Vandalismo, piromania e atti contro la proprietà.
    • Aggressioni fisiche e psicologiche verso la persona; violenza domestica verso donne minori; pedofilia, minacce, stalking, intimidazioni di estrazione mafiosa ecc.
    • Furti in presenza di una vittima (borseggi, rapina a mano armata ecc.).
    • Rapimenti, violenza sessuale, assalto (in particolar modo fenomeno dello Spree Killer), omicidi (in particolare Serial Killer).
  • Maltrattamento o uccisione di animali quale potenziale sintomo di situazione patogena in atto correlata all’ambito familiare. Se l’autore è il minore, infatti, ci si riferisce ad una situazione ambientale e intra familiare in cui il bambino è a sua volta vittima di abusi fisici, psicologici, sessuali, incuria, discuria, ipercuria o altre forme di violenza (Ascione et al. 1997; Ascione 2001; AAVV 2011). In questi casi egli trasferirà sull’animale quello che subisce tra le mura domestiche, come una sorta di scarica di un peso che diversamente sarebbe insostenibile, una sorta di trasferimento psicologico (e fisico) dell’atto predatorio subito, sulla scorta di un modello relazionale adottato all’interno del nucleo familiare.
  • Maltrattamento o uccisione di animali come parte integrante (e statisticamente rilevante) di altri crimini, ad esempio violenze/abusi domestici, su minori, donne, anziani, oppure minacce, intimidazioni di stampo mafioso, pedopornografia, spaccio di droghe, ecc.). Parlando di violenza domestica o di ambiente malavitoso, l’animale è sovente il capro espiatorio laddove funga come mezzo intimidatorio per colpire psicologicamente una persona, inculcando così una forma di controllo, potere e paura su di essa, una sorta di violenza psicologica attuata dal carnefice sulla vittima (umana) prescelta (Harrel e Smith,1991; Ascione 1998; Carlisle et al., 2004).

Importanti traguardi, inoltre, sono stati concretamente raggiunti a seguito dell’inserimento all’interno del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-III-R 1987) dell’Associazione Psichiatrica Americana (A.P.A.) e all’interno dell’International Classification of Mental and Behavioural Disorders (ICD-10 1996) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.), della crudeltà fisica su animali tra i sintomi del Disturbo della Condotta (D.C.), che può successivamente sfociare nel Disturbo Antisociale di Personalità. Il suo esordio si ha nella fanciullezza o nell’adolescenza e si definisce tale quel “modello ripetitivo e persistente di comportamento in cui i diritti fondamentali degli altri o le principali norme o regole sociali appropriati ad una determinata età vengono violati” (APA 1994).

Un enorme passo avanti nella realtà statunitense si è, invece, compiuta nel 2014, quando l’F.B.I. ha elevato il reato di maltrattamento degli animali al rango dei Top Crime, classificandolo come “Crimini contro la società”, andando così ad occupare una specifica categoria di classificazione nel database nazionale dei crimini. È prassi, in questi casi, una collaborazione interforze: un veterinario o un operatore del sistema di protezione animali, quando rileva un maltrattamento in capo ad essi, effettua una segnalazione alle forze dell’ordine o ai servizi sociali, al fine di prevenire, tra gli altri, un potenziale maltrattamento all’interno delle mura domestiche.

La letteratura scientifica al riguardo[6], che sconfina in tutte le discipline di riferimento, rileva il fenomeno tramite precisi studi di tipo retrospettivo, all’interno di una specifica cerchia di offender: una volta definito il campione e la variabile oggetto di studio che caratterizza la cerchia di offender in questione (ad es. si prendono in esame i serial killer, oppure gli spree killer, gli stalker, i pedofili), si cerca di capire se nell’infanzia o nell’adolescenza abbiano maltrattato oppure ucciso animali, se abbiano assistito al maltrattamento o all’uccisione, per poi giungere a stabilire se l’aver commesso il fatto o l’avervi assistito, abbia inciso, in termini statisticamente rilevanti (dal 70 – 80% in su), sul diventare quella peculiare tipologia di offender (appunto serial killer, spree killer, stalker, pedofili, ecc.).

Primi passi anche in Italia in tema di maltrattamento animali e prevenzione.

L’Italia si attiene alle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in merito alle modalità operative dei professionisti appartenenti all’ambito giudiziario, psicosociale, socioeducativo e sanitario, al fine di non sottovalutare situazione e/o comportamento alcuno, cercando così di superare la percezione del maltrattamento di animali come reato inferiore. Questo, infatti, seppur contemplato nel nostro ordinamento giuridico penale tra i delitti, non è classificato all’interno di specifici data base ministeriali, con la conseguenza che, comunemente, viene perduto quel senso di gravità a livello sociale di cui condotte del genere sono portatrici, non rendendosi spesso conto che tali fattispecie potrebbero costituire esattamente quel nucleo su cui impostare le politiche criminali e le relative indagini che condurrebbero ad identificare, punire e prevenire le cause principali di un’azione delittuosa. Vien da sé che la necessità, in primis, sia quella di (ri)conoscere i molteplici fattori che abbiano contribuito alla condotta criminale ed, affinché ciò si realizzi, è fondamentale condurre un lavoro interforze che ponga alla base dialogo e collaborazione tra professionisti dei diversi ambiti.

È in questo scenario culturale di aumentata sensibilità riguardo al diritto degli animali che si sono mossi i primi passi, seppur lentamente ed ancora in fase ancora primordiale rispetto al mondo anglosassone, portando nel 2005 a strutturare un reparto investigativo, specificatamente impegnato nei casi di maltrattamento di animali, all’interno dell’allora Corpo Forestale dello Stato (oggi Carabinieri Forestali) e due anni dopo alla creazione del N.I.R.D.A. – Nucleo Investigativo per i Reati a Danno degli Animali, che opera in riferimento alla normativa prevista dalle legge n. 189 del 2004 “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”. L’associazione di promozione sociale LINK ITALIA nel 2014 ha stipulato un protocollo d’intesa con il Corpo Forestale dello Stato, il primo nel nostro Paese che vede quali firmatari congiunti un’Associazione di Promozione Sociale e un organo di Polizia Statale, affinché i reati di maltrattamento ed uccisione di animali non restino avulsi da studi scientifici e discipline giuridiche, criminologiche, investigative e psico-sociali, che permettano di correlare tali condotte criminali con altre fattispecie particolarmente cruente.  Gli obiettivi verso cui si vuole tendere sono il mantenimento ed aggiornamento continuo di un database istituzionale condiviso tra forze dell’ordine, associazioni di tutela e ed operatori nell’ambito della protezione animali (il c.d. F.A.R.M.A., Fascicolo Accertamento Maltrattamento Animali), per la raccolta, osservazione e confronto dei dati nel nostro Paese, definendo piani di intervento e protocolli d’intesa tra operatori dell’ambito animale e operatori che si occupano di violenza interpersonale, al fine di giungere alla predisposizione di progetti legislativi e piani di sicurezza per le persone, prevenzione e controllo della violenza in ottica di cambio di paradigma che conduca a prendere in considerazione sempre più seriamente le implicazioni sociali che le crudeltà verso gli animali comportano, considerandoli quindi come reati di “serie a”.

Analisi statistica retrospettiva nelle carceri italiane

Anche nel nostro Paese sono stati condotti diversi studi, a partire dal 2012, tramite un’analisi retrospettiva all’interno delle carceri italiane. Uno studio particolarmente esaustivo e significativo al riguardo, condotto per tutto il 2016, ha raccolto i dati statistici su un campione di 682 detenuti, estendendosi poi ad un totale di 1087 casi comprendenti anche questionari on line, dati provenienti da mass media e partners. [7]

I risultati sono stati inequivocabili. Di seguito si riportano alcune interessanti percentuali, in grado di fornire un oculato spunto di riflessione e di intervento.

Dei 682 detenuti l’89% ha assistito e/o maltrattato e/o ucciso animali da minorenne, il 61% di essi ha messo in atto la violenza. Il 41% ha dato come motivazione il fatto di dover sfogare rabbia e frustrazione nei confronti dell’ambiente familiare violento, abusante e negligente, emergendo difficili rapporti con il padre o con la madre. Il 29% lo ha fatto per un senso di rivalsa nei confronti di un’esistenza alienante e fatta di solitudine, vuoto, noia, difficoltà a relazionarsi con la gente. Il 62% dei maltrattanti ha appiccato incendi durante la propria vita. [8]  Età media di inizio crudeltà verso animali: 4 o 5 anni (nel 14% del totale). Il 3% ha commesso atti di zoofilia erotica. Nel 35% dei casi si è perpetrata la violenza in questione come parte integrante di altra condotta deviante o fattispecie criminosa. Il 19% dei casi contempla la componente sadica. Il 64% continua il maltrattamento anche in età adulta. Inoltre, chi ha assistito e/o maltrattato e/o ucciso animali da minorenne è ora detenuto per: maltrattamenti all’interno della famiglia (nel 94% dei casi), reati sessuali (90% di essi), reati connessi alla criminalità organizzata (98%), per omicidio (87%).

Emergono altresì due aspetti, concatenati e conseguenti l’uno all’altro:

  • La non regressione spontanea della condotta. [9] Per converso, vi è un’escalation nell’azione criminale, la pratica antisociale “si affina” e vi è diretta proporzionalità tra età dell’abusante e dimensioni fisiche dell’animale vittima, che avrà grandezze “accessibili” all’aggressione e dimensioni sufficientemente “consone” al fine di soddisfare il proprio impulso sadico.
  • La qualità della risposta ambientale al crimine commesso. Solo laddove la famiglia, le istituzioni (scolastiche, educative, giudiziarie), la società civile circostante riescano ad interpretare correttamente il gesto ponendovi un’adeguata attenzione, punendo l’atto in sé con inasprimento delle pene, cogliendo l’esistenza di un indicatore patogeno come predizione di futuri possibili gesti criminali e di pericolosità sociale, allora la condotta avrà l’opportunità di regredire e presumibilmente di estinguersi. Laddove, invece, la risposta ambientale tenda a sminuire il fatto, ritenendolo storia di quotidiano accadimento, banalizzandolo, arrivando a negarlo o, peggio ancora, a giustificarlo, ecco allora che l’agito violento compiuto su animali non potrà che subire un’escalation, concretizzandosi inevitabilmente in atti vandalici, aggressioni, rapine, estorsioni, piromania, abusi domestici, stupri, omicidi. L’indifferenza contribuisce all’escalation. La risposta ambientale di condanna è sempre fondamentale e necessaria ad evitare reiterazioni.

Conclusioni

È quanto mai importante comprendere l’importanza del valore predittivo che maltrattamento ed uccisione di animali hanno in funzione delle implicazioni sociali future. È fondamentale che ciò inizi ad entrare considerevolmente nella cultura del nostro Paese, perchè ignorare oggi il problema significa sostenere il suo autore, significa creare terreno fertile per un aggressore o assassino di domani. Una notizia di reato che si limiti in maniera meramente descrittiva ad un’esposizione dei fatti senza valutarne la pericolosità sociale attuale e potenziale rischia di disperdere consapevolezza e approfondimento nell’attività investigativa. Perché, dunque, anche in questo ambito non si potrebbe pensare di stilare un profilo criminologico sin dal primo evento criminoso perpetrato sull’animale, che prenda in esame il vissuto del reo relazionandolo alla gravità del fatto commesso, al modus operandi, alla capacità di delinquere e alla crudeltà perpetrata? Stilare un profilo dell’offender da questo punto di vista può voler dire stilare il profilo di un potenziale uccisore di persone.

 

Fonte immagine: www.unsplash.com

[1] Ressler R., in “Animal cruelty may be a warning”, Washington Times, 23 giugno 1998. Robert Ressler è autore ed ex agente FBI. Ha coniato il termine serial killer ed ha svolto un ruolo significativo nella profilazione psicologica (Criminal Profiling) dei delinquenti violenti nel 1970.

[2] https://www.iusinitinere.it/risarcibilita-del-danno-non-patrimoniale-da-morte-o-lesione-dellanimale-daffezione-38822 

https://www.iusinitinere.it/obblighi-doveri-possiede-un-animale-8400

[3] in P. Arkow, The Link Between Violence to People and Violence to Animals, National Link Coalition, The National Resourcer Center on The Link between Animal Abuse and Human Violence, 2008, disponibile qui: http://nationallinkcoalition.org/wp-content/uploads/2013/01/LinkSummaryBooklet-16pp.pdf .  P. Arkow, Understanding The Link between Violence to Animals and People: A Guidebook for Criminal Justice Professionals, National District Attorneys Association and American Society for the Prevention of Cruelty to Animals (ASPCA) 2014. disponibile qui:

[4] Per approfondimenti sui dati (AAVV, 2011; Ascione, 2001, Ascione, Weber, Wood, 1977, Hutton, 1981), si veda: art. di Magnaro A., Sorcinelli F., Tettamanti M. “Abusi su animali e abusi su umani. Complici nel crimine”, pubblicato in Rassegna Italiana di Criminologia – Anno VI n. 4/2012.

[5] Sorcinelli F., “Zooantropologia della devianza. Introduzione alle linee guida in materia di determinazione della pena, sospensione della pena, messa alla prova nei procedimenti penali per maltrattamenti e/o uccisione di animali e/o altre ipotesi di reato contro glia animali”, Aprile 2018, LINK ITALIA (APS), disponibile qui: https://www.link-italia.net/

[6] Maltrattamento e/o uccisione di animali quale sintomo di situazione patogena ed indicatore di pericolosità sociale, si basa su riconoscimenti istituzionali accademici (Utah University, Northwestern University, Massachussetts University, Harvard University, Florida Unuversity, American Psychiatric Association, World Health Organization, Australian Psychological Society, ecc.) ed investigativo-giudiziari (F.B.I.), USA – Office of Juvenile Justice and Delinquency Prevention (O.J.J.D.P.), Scotland Yard, New South Wales Police Force (Australia NSW Police Force), Canadian Police, ecc.).

[7] Per la pubblicazione dei dati analisi multivariata: F. Sorcinelli, R. Tozzi, “Zooantropologia della Devianza. Profilo Zooantropologico Comportamentale e Criminale del maltrattatore e Uccisore di Animali. Manuale di Classificazione del Crimine su animali”, Report maggio 2016, LINK-ITALIA (APS), N.I.R.D.A. del Corpo Forestale dello Stato, p. 10 e ss. Disponibile qui: https://www.link-italia.net/

[8] Dato particolarmente interessante se relazionato alla Triade di McDonald, pubblicata per la prima volta con il titolo “The Threat to Kill” sull’American Journal of Psychiatry nel 1963, tesi che poi ha perso la sua validità nel tempo, almeno per quanto concerne l’enuresi, fatto salvo il concordare che piromania e zoosadismo restino tra gli elementi predittivi di una possibile futura condotta omicidiaria (Robert Ressler e Jhon Douglas, profilers dell’F.B.I.).

[9] Ibidem.

Elisa Teggi

Laureata all'Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza nel 2006 con tesi intitolata "Il licenziamento del dirigente", ha in seguito indirizzato la propria carriera lavorativa in diversi ambiti che le hanno fornito esperienza, soprattutto grazie al contatto costante con persone e ragazzi, mantenendo un forte interesse per l'ambito criminologico. Questo l'ha portata a voler conseguire ulteriore laurea in Criminologia con tesi dal titolo "Staging ed occultamento di cadaveri", nel 2021, per poter indirizzare completamente il proprio lavoro in questa direzione. Attualmente lavora nel territorio piacentino in ambito criminologico - sociale, di prevenzione delle condotte devianti, in contatto con il servizio sociale, occupandosi specificatamente dei minori. Esperta di Scienze Forensi, si mantiene in costante aggiornamento e continua formazione su aspetti forensi e criminologici, prestando attenzione, in chiave critica, ai processi mediatici, cercando di interpretare le motivazioni sottese al fenomeno. La frase che funge da sfondo ad ogni suo lavoro è: "Non si tratta di fascinazione del male, si tratta di dare centralità alla persona, alla vittima e alle cause devianti, studiando il criminale prima del crimine, il folle prima che la follia, con l'obiettivo di rieducare e reintrodurre in società. Dalla parte della giustizia sempre e per sempre".

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