giovedì, Aprile 18, 2024
Criminal & Compliance

Misure cautelari personali: la Cassazione in materia di esigenze cautelari dopo la legge 6 aprile 2015, n. 47

misure cautelari

Con sentenza Cass. Pen. Sez. V, sentenza (ud. 13 novembre 2017) 7 febbraio 2018, n. 5821 si è tornati ad analizzare il tema delle misure cautelari con particolare riferimento alle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. così come modificato dalla recente legge del 2015.

Si precisa che la legge 6 aprile 2015, n. 47, nata dalla spinta della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Torreggiani contro Italia ha innovato il sistema delle misure cautelari ponendo particolare attenzione alla misura estrema della custodia cautelare in carcere, con l’intento di ridurre la popolazione carceraria e, nella stessa ottica di adeguamento alle indicazioni della C.E.D.U., è intervenuta sui molteplici aspetti della materia.

La previsione normativa dell’art. 274 c.p.p. si preoccupa di predeterminare le “esigenze cautelari” che sole devono considerarsi di per sé idonee a giustificare l’adozione delle misure cautelari personali, sottolineando come si tratti di esigenze ciascuna autonomamente sufficiente a legittimare il ricorso allo strumento cautelare[1]. La norma, che si articola in tre punti, si riferisce a «situazioni di concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova», «quando l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che egli si dia alla fuga» o ancora all’ipotesi lett. c) «quando sussiste il concreto ed attuale pericolo che la persona sottoposta alle indagini o l’imputato commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede».

La sentenza della Suprema Corte, di cui in apertura, ha annullato l’ordinanza con la quale il Tribunale del Riesame di Milano aveva confermato la misura custodiale in carcere nei confronti di P.C., ritenendo sussistenti i pericoli di inquinamento probatorio, di fuga e di reiterazione del reato.

L’analisi della pronuncia rileva sotto diversi aspetti:

  • In merito al pericolo di inquinamento probatorio, art. 274 c.p.p. lett. a), la Corte di Cassazione sottolinea come la mera vulnerabilità della prova documentale, ritenuta decisiva per il Tribunale, non sia «sufficiente a ritenere esistente l’esigenza di cautela probatoria che deve essere, a norma di codice, concreta, attuale e fondata su fatti specifici. Secondo una consolidata interpretazione della giurisprudenza di legittimità, poi, il pericolo di inquinamento probatorio va identificato in tutte quelle situazioni in cui l’indagato abbia dimostrato, con la propria condotta illecita o sulla base della personalità manifestata, di voler inquinare le prove (Sez. 6, n. 29477 del 23/03/2017, Di Giorgi, Rv. 270561) e deve essere ancorato a comportamenti concreti dell’interessato (Sez. 2, n. 31340 del 16/05/2017, G., Rv. 270670)»[2].
  • In riferimento al pericolo di fuga, art. 274 c.p.p. lett. b), la S.C. censura l’ordinanza nella misura in cui poneva a sostegno della misura custodiale il radicamento familiare e professionale dell’indagato all’estero ed il quantum di pena. Invero «la Corte ha, infatti, chiarito che è pur sempre imprescindibile che vi siano elementi indicativi della volontà dell’indagato di sottrarsi alla giustizia, che non possono essere evinti da una sua particolare condizione soggettiva preesistente, senza condotte concrete cui ancorarsi. Sulla base di questa impostazione, si è escluso che il pericolo di fuga possa fondare sul fatto che un indagato prevalentemente viva ovvero abbia interessi commerciali e professionali in un Paese dell’Unione europea (Sez. 3, n. 4635 del 01/07/2015, dep. 2016, Vida, Rv. 266266)»[3].
  • Circa la reiterazione del reato, art. 274 c.p.p. lett. c), l’ordinanza, con un’analisi dettagliata del quadro situazionale dell’imputato sottolineava «la presumibile reiterazione di occasioni propizie per perpetrare con sistematicità ulteriori condotte criminose». Tuttavia le modifiche dell’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. dovute alla legge 16 aprile 2015, n. 47 hanno imposto che il pericolo che l’imputato commetta altri delitti sia non solo concreto, ma anche attuale, sicché non è più sufficiente ritenere altamente probabile che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario prevedere, in termini di alta probabilità, che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti della stessa specie»[4]. Va osservato che il legislatore della novella – con la previsione che, accanto al requisito della concretezza, i rischi ivi contemplati siano connotati anche dalla attualità – ha inteso “allineare” le esigenze di cautela di cui alle lettere b) e c) dell’art. 274 c.p.p. a quella di cui alla lettera a) del medesimo articolo, che già richiedeva che il pericolo di inquinamento probatorio che giustifica una misura cautelare fosse attuale[5].

Diventa, pertanto, decisiva – si evince dalla sentenza – una valutazione circa la connotazione di attualità che può derivare tanto dalla vicinanza temporale ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale del soggetto, tanto – nelle ipotesi di episodi più remoti – dall’esistenza di indici recenti che lascino ritenere comunque effettivo il pericolo della concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare[6].

Ed è in quest’ottica che la stessa legge del 2015 ha previsto l’obbligo motivazionale per il giudice, attraverso l’inserimento dell’”autonoma valutazione”, sia in punto di esposizione degli elementi indiziari e cautelari che hanno imposto la adozione della misura cautelare, sia in termini di valutazione delle specifiche e concrete ragioni che non hanno consentito il ricorso a misure alternative alla custodia carceraria“. L’introduzione specifica di un dato qualitativo del provvedimento positivo  risponde all’esigenza primaria di una chiara intelligibilità’ dell’iter logico-argomentativo che ha condotto il giudice ad adottare il provvedimento coercitivo, onde evitare “motivazioni apparenti” che di fatto eludono la copertura costituzionale di cui all’art. 13 Cost [7].

 

 

[1] G. Conso, V. Grevi, M. Bargis, Compendio di procedura penale, VII edizione, 2014.

[2] Cass. Pen. Sez. V, sentenza (ud. 13 novembre 2017) 7 febbraio 2018, n. 5821

[3] Cass. Pen. Sez. V, sentenza (ud. 13 novembre 2017) 7 febbraio 2018, n. 5821

[4] Cass. Pen. Sez. V, sentenza (ud. 13 novembre 2017) 7 febbraio 2018, n. 5821

[5] P. Borrelli, Una prima lettura delle novità della legge 47 del 2015 in tema di misure cautelari personali, su DPC.

[6] P. Borrelli, loc. cit.

[7] T. Coccoluto, L’autonoma valutazione del giudice della cautela su Questione e giustizia.

Piera Di Guida

Piera Di Guida nasce a Napoli nel 1994. Ha contribuito a fondare “Ius in itinere” e collabora sin dall’inizio con la redazione di articoli. Dopo la maturità scientifica si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli e nel 2015 diviene socia ELSA Napoli (European Law Student Association). Ha partecipato alla redazione di un volume dal titolo "Cause di esclusione dell'antigiuridicità nella teoria del reato- fondamento politico criminale e inquadramento dogmatico", trattando nello specifico "Lo stato di necessità e il rifiuto di cure sanitarie" grazie ad un progetto ELSA con la collaborazione del prof. Giuseppe Amarelli ordinario della cattedra di diritto penale parte speciale presso l'università Federico II di Napoli. Seguita dallo stesso prof. Amarelli scrive la tesi in materia di colpa medica, ed approfondisce la tematica della responsabilità professionale in generale. Consegue nel 2017 il titolo di dottore magistrale in giurisprudenza con votazione 110/110. Nell’anno 2016 ha sostenuto uno stage di 3 mesi presso lo studio legale Troyer Bagliani & associati, con sede a Milano, affiancando quotidianamente professionisti del settore e imparando a lavorare in particolare su modelli di organizzazione e gestione ex d.lgs. n. 231/01 e white collar crimes. Attualmente collabora con lo Studio Legale Avv. Alfredo Guarino, sito in Napoli. Ha svolto con esito positivo il tirocinio ex art.73, comma 1 d.l. n.69/2013 presso la Corte d'Appello di Napoli, IV Sezione penale. Nell'ottobre 2020 consegue con votazione 399/450 l'abilitazione all'esercizio della professione forense. Dal 27 gennaio 2021 è iscritta all'Albo degli Avvocati presso il Tribunale di Napoli. Un forte spirito critico e grande senso della giustizia e del dovere la contraddistinguono nella vita e nel lavoro. Email: piera.diguida@iusinitinere.it

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