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Modifiche contrattuali in aumento o diminuzione: attuali profili critici posti dall’art. 106, co. 12 d.lgs. n. 50/2016

di Margherita Amitrano Zingale

Inquadramento generale

L’art. 106 d.lgs. 50/2016 rubricato “Modifica di contratti durante il periodo di efficacia” rappresenta l’attuale riferimento normativo allorché emerge in corso di esecuzione del contratto la necessità di apportare delle modifiche ovvero varianti, per consentire una migliore realizzazione dell’appalto. La norma ricomprende una serie di ipotesi in cui può verificarsi tale esigenza, ma nel presente scritto si intende concentrare l’attenzione sull’attuale disposto di cui al comma 12, ossia sulle c.d. varianti nei limiti del quinto.

Tale comma prevede che “La stazione appaltante, qualora in corso di esecuzione si renda necessario una aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, può imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto”.

Si osserva, in primo luogo, che appare differente e più aperto il tenore letterale dell’attuale disposizione rispetto alla previgente normativa.L’art. 311 del D.P.R. n. 207/2010, occupandosi delle varianti introdotte dalla stazione appaltante prevedeva, infatti, una disciplina estremamente dettagliata e restrittiva[1].

In base al comma 2 dell’art. 311 cit. si prevedeva che “Ai sensi di quanto previsto dall’articolo 114, comma 2, del codice, la stazione appaltante può ammettere variazioni al contratto nei seguenti casi: a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari; b) per cause impreviste e imprevedibili accertate dal responsabile del procedimento o per l’intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento in cui ha avuto inizio la procedura di selezione del contraente, che possono determinare, senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella qualità delle prestazioni eseguite; c) per la presenza di eventi inerenti alla natura e alla specificità dei beni o dei luoghi sui quali si interviene, verificatisi nel corso di esecuzione del contratto.

Mentre il successivo comma 4 stabiliva che “Nei casi previsti al comma 2, la stazione appaltante può chiedere all’esecutore una variazione in aumento o in diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza di un quinto del prezzo complessivo previsto dal contratto che l’esecutore è tenuto ad eseguire, previa sottoscrizione di un atto di sottomissione, agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto originario senza diritto ad alcuna indennità ad eccezione del corrispettivo relativo alle nuove prestazioni. Nel caso in cui la variazioni superi tale limite, la stazione appaltante procede alla stipula di un atto aggiuntivo al contratto principale dopo aver acquisito il consenso dell’esecutore”.

Dunque, dalla lettura congiunta dei due commi richiamati, si ricava che, nella vigenza della pregressa disciplina, per la variazione in aumento o diminuzione nei limiti del quinto dell’importo totale, a richiesta della stazione appaltante dovevano comunque sussistere cumulativamente le condizioni di cui al comma 2 e quelle di cui al comma 4.

Nel testo normativo attualmente vigente, invece, il comma 12 appare formulato in termini ampi e generici, non facendosi riferimento alle condizioni indicate negli altri commi. Sembra pertanto potersi dedurre che mentre nella disciplina previgente erano prese in considerazione le sole varianti, rientrando in tale concetto anche la modifica in aumento o in diminuzione entro il quinto dell’importo del contratto, nella disciplina attualmente vigente la medesima modifica in aumento o in diminuzione entro il quinto appare assumere autonoma rilevanza, non sembrando più rientrare nel concetto di variante in senso stretto. In questi termini perciò sembrerebbe potersi oggi distinguere tra “varianti” e mera “estensione” contrattuale[2]. Quest’ultima nei limiti del quinto dell’importo del contratto e per prestazioni afferenti al medesimo nei termini anzidetti.

Ipotizzata, dunque, come plausibile la distinzione tra variazione in senso stretto e mera modifica contrattuale, il primo profilo critico che si pone riguarda l’individuazione in concreto delle condizioni che consentono all’Amministrazione di effettuare una mera modifica contrattuale (o “estensione” se in aumento) ai sensi dell’art. 106, comma 12.

Un primo limite attiene all’importo: sempre nei limiti del quinto, come già stabilito nella pregressa normativa ma con la differenza che, attualmente, non sono più specificate le modalità di calcolo, con plausibile riemersione di un dibattito proprio sotto tale profilo[3].

Un altro limite si innesta sulla interpretazione della norma laddove parla di “aumento o diminuzione delle prestazioni”. Invero appare dirimente stabilire cosa debba intendersi per “prestazioni” di cui è consentito l’aumento o la diminuzione.

Sotto un primo profilo, deve ritenersi che le prestazioni debbano essere le medesime già previste nel contratto e non prestazioni diverse, rispetto alle quali sarebbe invece necessario espletare una nuova procedura di evidenza pubblica dovendosi valutare prestazioni con caratteristiche differenti ed ulteriori ed aprire perciò al mercato, nel rispetto della concorrenza.

Un peculiare problema operativo può verificarsi nella seguente ipotesi: una P.A. indice una procedura negoziata per la conclusione di un accordo quadro al fine di individuare un operatore a cui affidare, nel corso dei quattro anni successivi, la gestione di un servizio di comunicazione per una serie di progetti, tra l’altro finanziati da fondi europei. Aggiudicata la gara e stipulato il contratto, a distanza di breve tempo, si presenta l’esigenza di approntare un servizio di comunicazione anche per un altro progetto, sempre finanziato a livello europeo, e che risponde alle medesime finalità perseguite dai progetti già interessati dalla precedente gara. Si pone pertanto la questione se è necessario indire una nuova gara per l’affidamento del servizio di comunicazione anche per questo progetto sopravvenuto oppure se è possibile applicare la disciplina di cui all’art. 106 d.lgs. 50/2016.

In quest’ultimo caso si pone l’ulteriore questione di come inquadrare la fattispecie, ossia entro quale ambito dell’art. 106.

Sembrano infatti potersi prospettare tre soluzioni.

In primo luogo, il comma 1 lett. b) dell’art. 106 consente la modifica senza nuova procedura di affidamento “per lavori, servizi o forniture, supplementari da parte del contraente originale che si sono resi necessari e non erano inclusi nell’appalto iniziale, ove un cambiamento del contraente produca entrambi i seguenti effetti, fatto salvo quanto previsto dal comma 7 per gli appalti nei settori ordinari: 1) risulti impraticabile per motivi economici o tecnici quali il rispetto dei requisiti di intercambiabilità o interoperabilità tra apparecchiature, servizi o impianti esistenti forniti nell’ambito dell’appalto iniziale; 2) comporti per l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore notevoli disguidi o una consistente duplicazione dei costi”.

Come è stato di recente osservato in dottrina, la norma presenta delle criticità. Difatti,si tratta di lavori, servizi e forniture che il nuovo codice si limita a definire come supplementari, senza scendere nello specifico. Inoltre non è chiaro cosa si intenda né per impraticabilità economica, né per impraticabilità tecnica. Sulla prima non si specifica se esista un limite oggettivo all’impraticabilità o se essa coincida con la duplicazione dei costi. Sulla seconda la norma sembrerebbe indicare una impossibilità connessa all’intercambiabilità ed interoperabilità tra apparecchiature che, riferendosi ai soli appalti di servizi e forniture (tra l’altro neanche in maniera tassativa), lascia la definizione dell’impossibilità alla sola discrezionalità e interpretazione della stazione appaltante. L’articolo 57 del previgente d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nell’occuparsi della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara, prevedeva la possibilità di ricorrere a forniture complementari, solo se esse fossero state destinate al rinnovo parziale di forniture ed impianti di uso corrente; o all’ampliamento di forniture ed impianti esistenti. Il quinto comma, invece, si riferiva ai lavori e ai servizi, introducendo requisiti stringenti per l’affidamento di lavori e appalti definiti complementari (e non supplementari, come vengono definiti nel nuovo codice). Le modifiche venivano essenzialmente equiparate a nuovi contratti, con conseguenze pratiche di rilievo tanto su un piano giuridico, quanto su un piano contabile. La definizione di “lavori supplementari” è diversa da quella di “lavori complementari” contenuta nel precedente codice. Su tale definizione, l’AVCP (ora ANAC) precisò che si trattava di opere “che da un punto di vista tecnico-costruttivo rappresentino un’integrazione dell’opera principale, saldandosi inscindibilmente con essa, giustificavano l’affidamento e la relativa responsabilità costruttiva ad un unico esecutore”. È ipotizzabile che l’Autorità sarà chiamata ad operare altrettante precisazioni per la definizione di lavori supplementari. Anche l’utilizzo della nozione “notevoli disguidi”, nella sua genericità, appare eccessivamente esposta ad interpretazioni flessibili difficilmente sindacabili; senza contare che non è chiaro se tale nozione si riferisca a disagi relativi all’esecuzione delle prestazioni, a disagi della stazione appaltante o a disagi della collettività di utenti, visto che si tratta di nozione del tutto estranea alla materia dei contratti pubblici.

L’utilizzo dell’espressione “notevole duplicazione dei costi” sembrerebbe scelta altrettanto infelice del legislatore, visto che non precisa se ci si riferisca ad un incremento oggettivo, consistente in un aumento notevole o in una letterale duplicazione, oppure un incremento soggettivamente valutabile dalla stazione appaltante”[4].

Pertanto, benché nella specie potrebbe trattarsi proprio di una ipotesi di servizi supplementari (di comunicazione) resisi necessari e prima non previsti nell’appalto iniziale, poiché il progetto è intervenuto successivamente, volendo aderire a tale soluzione la Stazione appaltante dovrebbe adeguatamente ed in modo stringente motivare in ordine alle condizioni di impraticabilità (sub 1) e di notevole disagio ed aumento dei costi (sub 2).  È altresì operante la condizione, data dal rispetto del comma 7 del medesimo art. 106 il quale prevede che “Nei casi di cui al comma 1, lettere b) e c), per i settori ordinari il contratto può essere modificato se l’eventuale aumento di prezzo non eccede il 50 per cento del valore del contratto iniziale. In caso di più modifiche successive, tale limitazione si applica al valore di ciascuna modifica. Tali modifiche successive non sono intese ad aggirare il presente codice”.

Alternativamente può riguardarsi al comma 1 lett. c) che consente invece la modifica senza nuova procedura di affidamento purché “siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni, fatto salvo quanto previsto per gli appalti nei settori ordinari dal comma 7: 1) la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche all’oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d’opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti; 2) la modifica non altera la natura generale del contratto [..]”.

La sopravvenienza, non preventivabile, di tale nuovo progetto consentirebbe di integrare la prima condizione di cui al comma 1, lett. c) – ossia la circostanza imprevista e imprevedibile.

Sotto il profilo oggettivo, il servizio di cui l’Amministrazione necessita per il progetto rientra tra quelli già previsti e aggiudicati con l’Accordo quadro e cioè il servizio di comunicazione, tale che la modifica non risulta alterare la natura generale del contratto(2° condizione).

La 3° condizione, data dal rispetto del comma 7 del medesimo art. 106 il quale prevede che “Nei casi di cui al comma 1, lettere b) e c), per i settori ordinari il contratto può essere modificato se l’eventuale aumento di prezzo non eccede il 50 per cento del valore del contratto iniziale. In caso di più modifiche successive, tale limitazione si applica al valore di ciascuna modifica. Tali modifiche successive non sono intese ad aggirare il presente codice”, risulterebbe altresì integrata nella misura in cui l’aumento del prezzo necessario per espletare il servizio di comunicazione anche per il progetto sopravvenuto non superi la soglia indicata.

Infine, la vicenda prospettata può essere inquadrata nell’ambito del comma 12 dell’art. 106[5]: in tal modo la P.A. potrebbe estendere il contratto stipulato a seguito dell’Accordo quadro, ovviamente nei limiti del quinto dell’importo posto a base della procedura di gara. Come anticipato, un ulteriore limite all’applicabilità del comma 12 dell’art. 106 attiene all’identità di prestazioni di cui è consentito l’aumento o la diminuzione.

Sotto questo profilo, se si ragiona a partire dal dato che le prestazioni debbano essere le medesime già previste nel contratto in essere e non prestazioni diverse per natura e finalità può ritenersi che nel caso ipotizzato, entrambi i requisiti potrebbero dirsi integrati, rispondendo il nuovo progetto alle finalità già proprie dei pregressi progetti e sostanziandosi la nuova prestazione in un’attività identica a quella già oggetto del contratto in corso di validità.

Volendo ulteriormente sceverare i profili problematici che si potrebbero profilare in via operativa può osservarsi che una criticità attiene alla questione se le suddette prestazioni in aumento o in diminuzione possano essere rivolte ad un nuovo e diverso progetto, rispetto a quelli rientranti nell’Accordo quadro, oppure se l’estensione possa riguardare esclusivamente i progetti originari, tale che il servizio di comunicazione potrebbe essere esteso solo con riferimento ai progetti già oggetto del contratto in essere.

Allo stato dell’arte, tuttavia, il tenore estremamente generico dell’art. 106 co. 12, che non specifica alcun limite o divieto all’esecuzione in estensione rispetto a nuovi ambiti, sempre però nel rispetto del quinto dell’importo del contratto e la stessa recente introduzione della normativa di riferimento, su cui ancora non si sono formati orientamenti giurisprudenziali ed in difetto di approfondimenti dottrinali, consentono alla P.A., al momento, di intraprendere anche tale via.

Certo è che rimane preferibile, in linea di principio, prediligere un’interpretazione restrittiva nel senso che è opportuno procedere con nuova gara se trattasi di un ambito completamente nuovo rispetto a quelli originariamente previsti (da cui è scaturita l’esigenza di procedere con un Accordo quadro), anche con riguardo alle finalità perseguite dai vari progetti in comparazione, tale che risulterebbe snaturato l’oggetto del contratto in essere.

In ogni caso e nell’attesa di eventuali e successivi interventi giurisprudenziali e regolatori, la scelta effettuata dall’amministrazione deve essere rispondente a criteri di economicità ed efficienza, imponendosi alla Stazione appaltante di procedere con adeguata ponderazione[6]alle estensioni contrattuali nei limiti del quinto, avendo sempre cura di verificare la natura delle prestazioni richieste in aumento o diminuzione al medesimo operatore (sotto il profilo della tipologia, delle finalità ecc.) dovendo prediligere, al contrario, la disciplina delle varianti in senso stretto ovvero l’indizione di una nuova gara.

 Profili operativi

Si rileva che il diverso inquadramento nell’ambito delle varianti in senso stretto ovvero nell’ambito della modifica contrattuale di cui al comma 12 può comportare conseguenze differenti. Ad esempio, in ordine alla necessità o meno di acquisire un nuovo CIG. In proposito, si consideri che in data 31 maggio 2017 è intervenuta una nuova delibera ANAC (n. 556) di aggiornamento della precedente determinazione n. 4 del 7 luglio 2011 relativa alla tracciabilità dei flussi finanziari. Essa prevede in particolare che: “Per quanto concerne gli acquisti effettuati sulla base di accordi quadro, a cui le pubbliche amministrazioni possono aderire mediante l’emissione di ordinativi di fornitura, la centrale di committenza richiede l’attribuzione di un CIG in relazione alla procedura ad evidenza pubblica che deve essere svolta per la conclusione dell’accordo. I singoli contratti stipulati dalle amministrazioni 31 che aderiscono all’accordo con gli operatori economici selezionati dalla centrale di committenza devono essere identificati con un nuovo CIG (“CIG derivato”), che dovrà essere riportato nei pagamenti relativi allo specifico contratto. Anche nel caso in cui il soggetto (amministrazione) che stipula l’accordo quadro coincida con quello che è parte negli appalti a valle dell’accordo, è necessario acquisire i codici CIG “derivati” per lo sviluppo delle schede relative alle fasi di esecuzione dell’appalto”. Laddove il contratto oggetto dell’estensione nei limiti del quinto sia tuttavia stato stipulato prima di tale ius novum, deve ritenersi ancora applicabile ad esso la precedente determinazione n. 4 del 7 luglio 2011, secondo cui “Qualora il soggetto (amministrazione) che stipula l’accordo quadro coincida con quello che è parte negli appalti a valle dell’accordo, i flussi finanziari relativi alle singole prestazioni faranno riferimento al medesimo CIG relativo all’accordo[7]. Dunque, in quest’ultima ipotesi il CIG di riferimento anche per l’estensione contrattuale rimane quello già acquisito in sede di gara per la conclusione dell’Accordo quadro.

Un ulteriore profilo operativo attiene alla sussistenza o meno dell’obbligo di effettuare le comunicazioni delle varianti e/o estensione contrattuale e quali sono le procedure da seguire.

In particolare, in base all’art. 106, comma 8 d.lgs. 50/2016, la stazione appaltante comunica all’ANAC le modificazioni al contratto di cui al comma 1, lettera b) e al comma 2, entro trenta giorni dal loro perfezionamento. In caso di mancata o tardiva comunicazione l’Autorità irroga una sanzione amministrativa alla stazione appaltante di importo compreso tra 50 e 200 euro per giorno di ritardo. L’Autorità pubblica sulla sezione del sito Amministrazione trasparente l’elenco delle modificazioni contrattuali comunicate, indicando l’opera, l’amministrazione o l’ente aggiudicatore, l’aggiudicatario, il progettista, il valore della modifica.

Perciò le modifiche di cui all’art. 106 co. 1 lett. a), b) ed e) devono essere comunicate all’interno del modulo di trasmissione delle varianti in corso d’opera al punto 7 – bis. Trattandosi di mera informazione, le modifiche non vanno documentate con atti da allegare al modulo: semmai le esigenze istruttorie lo richiedessero, l’ufficio competente ne farà esplicita richiesta.

Il comma 14 dell’art. 106 si pone quale norma di chiusura prevedendo un obbligo generale di comunicazione ancorato sull’importo a base di gara/accordo quadro e sull’importo della variante: “[..]Per i contratti pubblici di importo pari o superiore alla soglia comunitaria, le varianti in corso d’opera di importo eccedente il dieci per cento dell’importo originario del contratto, incluse le varianti in corso d’opera riferite alle infrastrutture strategiche, sono trasmesse dal RUP all’ANAC, unitamente al progetto esecutivo, all’atto di validazione e ad una apposita relazione del responsabile unico del procedimento, entro trenta giorni dall’approvazione da parte della stazione appaltante. Nel caso in cui l’ANAC accerti l’illegittimità della variante in corso d’opera approvata, essa esercita i poteri di cui all’articolo 213. In caso di inadempimento agli obblighi di comunicazione e trasmissione delle varianti in corso d’opera previsti, si applicano le sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’articolo 213, comma 12”.

Tuttavia, posta la distinzione tra variazione vera e propria e modifica contrattuale ai sensi del comma 12, emerge un vuoto normativo circa l’obbligatorietà di dare comunicazione dell’estensione contrattuale suddetta.

[1]Per un approfondimento della pregressa disciplina, v. P. Piselli, C. G. Gasparutti, Le varianti in corso d’opera nei limiti del quinto d’obbligo, in www.appaltiecontratti.it.

[2]A conferma si v. F. Romano, Varianti, in M.L. Chimenti,Nuovo diritto degli appalti e Linee guida ANAC, Roma, 2016, p. 518, nota 7, ove si chiarisce che “l’art. 106[…] non riguarda esclusivamente la fattispecie delle varianti”. Sembra dedursi una differenza intrinseca tra le due fattispecie, di modifica e di mero aumento nel limite del quinto, dalla diversità degli adempimenti richiesti all’appaltatore: cfr.F. Satta, A. Romano,Art. 106, in G. M. Esposito, Codice dei contratti pubblici, vol. II, Milano, 2017, pp. 1483-1484, per cui “è verosimile che nell’ipotesi di modifiche al contratto sarà comunque necessario da parte dell’appaltatore sottoscrivere un atto di sottomissione, laddove nell’ipotesi di mero aumento delle stesse prestazioni fino a concorrenza di un quinto, sarà sufficiente che l’amministrazione invochi tale opzione, perché l’appaltatore prosegua l’esecuzione fino a concorrenza di un quinto alle medesime condizioni economiche fissate dal contratto originario”.

[3]Si veda, in particolare, A. Varlaro Sinisi, Art. 106, in F. Caringella, M. Protto, Il nuovo codice dei contratti pubblici dopo il correttivo, Roma, 2017, p. 519.

[4]In questi termini, A. Gigliola, S. Fidanzia, L’art. 106 del nuovo codice. Modifiche del contratto durante il periodo di validità, www.italia-appalti.it, 2017.

[5]Cfr. F. Satta, A. Romano, Art. 106, in G. M. Esposito, Codice dei contratti pubblici, op. cit., pp.1483-1484.

[6]Rileva diverse criticità, M. Greco, Perché evitare l’applicazione dell’art. 106 e perché non “splafonare” mai i CIG, in www.appaltiecontratti.it, 5 settembre 2017.

[7]Analogamente si segue la medesima disciplina di cui alla det. ANAC n. 4 del 7 luglio 2011 per quanto concerne le comunicazioni: “Per tutti i rapporti giuridici in atto o che verranno instaurati con la medesima stazione appaltante (presenti e futuri), l’appaltatore/contraente si può avvalere di uno o più conti correnti dedicati, senza la necessità di comunicazioni aggiuntive per ogni commessa pubblica”.

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