giovedì, Aprile 18, 2024
Criminal & Compliance

Morire d’amore

“La violenza contro le donne è forse la violazione dei diritti umani più vergognosa. E forse è la più pervasiva. Non conosce limiti geografici, limiti culturali o di ricchezza. Fintanto che continua non possiamo dichiarare di fare reali progressi verso l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace.”
Kofi Annan
Nazioni Unite, 8 marzo 1999

Sono allarmanti i dati riguardanti questi primi giorni del 2017, che si apre con un quadro sconcertante circa la violenza sulle donne che si sta propagando in Italia. Donne uccise, stuprate, massacrate e “stalkerizzate”, solamente in quanto “donne”. Un bagno di sangue insomma, non meno preoccupante di quello che si è registrato nel 2016, potendosi contare 120 donne morte strangolate, accoltellate o bruciate.

Ebbene, al centro di polemiche si pone l’attualissimo dibattito sulla possibilità di introdurre una fattispecie penale ad hoc orientata alla prevenzione e repressione del fenomeno. In molti ipotizzano infatti l’istituzione di una circostanza aggravante che tuteli la vittima-donna dai soprusi causati dagli uomini: il “femminicidio”.

Il termine femminicidio

Questo termine è usato nel linguaggio corrente e dai media per esprimere forme di oppressione e di violenza esercitate dall’uomo sulla donna con un “movente di genere”, non occasionali, ma sistemiche, motivate dalla volontà di dominare, di possedere o di controllare la vita della vittima, fino ad annientarne la personalità, nella sfera privata ed in quella pubblica. Esso è espressione di un fenomeno sociale provocato dal ruolo che l’uomo o la società vorrebbe imporre alle donne.

La tutela giuridica

Come è tutelato il femminicidio nell’ambito giuridico? Ebbene, mentre i casi di violenza sulle donne in Italia sono ricondotti al sistema della c.d. violenza di genere insieme alla violenza contro i minori, il riconoscimento giuridico del femminicidio come tipo di reato non è mai avvenuto nella legislazione penale italiana, tanto che, solitamente, si rinvia alla fattispecie “neutra” di omicidio.

Il fenomeno era stato però garantito a livello sovranazionale, quando fu espressamente riconosciuto dalla Dichiarazione di Vienna del 1993 all’articolo 1 come violazione dei diritti umani. In seguito, fu ratificata la Convenzione di Istanbul del 2011 sulla prevenzione della violenza contro le donne e la lotta contro la violenza domestica, come primo mezzo giuridico di contrasto in ambito europeo, nel quale fino allora non erano presenti strumenti normativi in materia.

In Italia, il d.l. 14 agosto 2013, n. 93 intitolato “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere” ha introdotto una successione di misure, preventive e repressive, per promuovere l‘emancipazione femminile e difendere l’intero genere dal punto di vista giuridico. Le innovazioni si possono così sintetizzare:

  • Si prevede l’aggravio delle pene in caso di maltrattamento in presenza dei minori, la c.d. violenza assistita, oppure in caso di violenza sessuale su donne in gravidanza e nei confronti del coniuge, anche se divorziato o separato;
  • La possibilità di assumere le testimonianze in modalità protetta, quando la vittima sia una persona minorenne o maggiorenne in stato di particolare vulnerabilità;
  • L’arresto obbligatorio in flagranza, esteso ai reati di maltrattamento contro familiari e conviventi;
  • Una costante informazione da garantire alle parti offese sullo svolgimento dei procedimenti penali;
  • La possibilità di irrogare la misura pre-cautelare dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, con controllo attraverso il braccialetto elettronico. Nel caso di atti persecutori, inoltre, sarà possibile ricorrere alle intercettazioni telefoniche;
  • L’irrevocabilità della querela. Una volta presentata non potrà più essere ritirata, così da sottrarre la vittima al rischio di nuove intimidazioni;
  • il gratuito patrocinio, previsto anche per le vittime di stalking e di mutilazioni genitali femminili;
  • Un “piano antiviolenza” finanziato con 10 milioni di euro per promuovere strumenti di prevenzione.

La questione del femminicidio come fattispecie ad hoc

Nonostante le garanzie introdotte a sostegno della categoria, molte però sono state le perplessità suscitate in ordine all’effettiva tutela della donna, in seguito all’aumento dei gravissimi casi di violenza domestica, omicidi e

maltrattamenti di genere avvenuti negli ultimi anni. Certamente, l’eventuale previsione di un reato penale ad hoc per il femminicidio avrebbe una diversa consistenza e una maggior efficacia rispetto al concetto “neutro” di omicidio, ma avrebbe soprattutto una forte incidenza nell’ambito socio-culturale di riferimento. Quale funzione potrebbe rivestire l’uso di questa nuova categoria criminologica? Riuscirebbe a stigmatizzare nel modo più concreto l’uccisione delle donne assoggettate sentimentalmente al loro aggressore?

Sul tema c’è un vasto dibattito. Di recente, infatti, politici come la presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini e giuristi come l’avvocato Giulia Bongiorno hanno iniziato ad invocare l’introduzione del femminicidio nel codice penale, contro il “maschilismo”, in quanto per rivendicare l’uguaglianza dei diritti sarebbero necessarie garanzie preferenziali, diseguali, cioè garanzie a favore del genere femminile per assicurare l’uguaglianza tra i sessi. Sarebbe proprio l’applicazione uniforme del diritto ad originare discriminazioni, mentre introducendo previsioni speciali a favore delle donne, in deroga al principio generale di parità di trattamento, ex. art. 3, comma 1, cost., “i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso…”, si renderebbe effettivo il principio di eguaglianza sostanziale del comma successivo, che legittima anche la disparità di trattamento laddove sia utile a rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Viceversa, molti partono dalla presa di coscienza che un nuovo tipo di omicidio originerebbe soltanto un’ulteriore disuguaglianza tra i sessi a livello sociale e considerano ingiustificato il “femminicidio” in quanto mirato a differenziare il bene “vita” a seconda del sesso della vittima, uomo o donna che sia, identici, ma differenti in una cultura discriminatoria tipica delle società patriarcali. Non sembra, in altre parole, che il “femminicidio” come reato ad hoc possa giustificare una deroga al principio di uguaglianza formale solo perché adottato come strumento di tutela delle donne come vittime di società sessista.

Dunque, data la commistione di argomentazioni sulla questione, si è ancora ben lontani da una svolta riguardante le garanzie penali in base al “genere”. Tuttavia le diverse opinioni condividono il principio per cui solamente azioni sul piano pratico-politico indirizzate alla rimozione delle istanze sociali, economiche e culturali che ad oggi sostengono il dominio maschile, possono correggere la propensione alla disuguaglianza.

Una svolta giuridico-sociale

Ebbene, una strada da percorrere sarebbe quella di superare l’eco lasciato dalla prospettiva sessista del codice penale Rocco nel mondo moderno, un’eredità di concezioni etico-culturali ormai antiquate, fondata sulla disuguaglianza fra i coniugi e sulla soggezione femminile. Basti pensare ad alcune norme penali del codice Rocco in vigore fino a qualche decennio addietro, oggi improponibili nella legislazione occidentale, come la punizione del solo adulterio da parte della moglie (art.559 c.p.), il “matrimonio riparatore” che estingueva gravissimi reati posti in essere nei confronti di una donna, ed in fine l’omicidio “a causa d’onore” (art. 587 c.p.), che sanzionava con pene attenuate l’uccisione della donna infedele, abrogato soltanto nel 1981!

In conclusione, alla luce delle innovazioni in ambito legale ottenute grazie alle convenzioni sovranazionali e al decreto sopra menzionato, un dato è certo: per garantirne la piena effettività sul piano pratico, è necessaria anche una svolta dei profili criminologici e antropologici del femminicidio, convogliando le energie politiche in primis verso un’azione di mobilitazione delle coscienze e verso la demolizione le sovrastrutture culturali di stampo patriarcale, trasformando modi medievali di pensare.  Verosimilmente, sarebbe opportuno disancorare il genere femminile da qualunque ideologia, che sia essa giuridica o culturale, che metta in luce la sua vulnerabilità e superare la concezione quasi dominante di donna come “vittima”, bensì riconoscendo la sua posizione all’interno della società evoluta e moderna, alla pari di qualunque uomo. L’uguaglianza tra gli uomini e le donne esiste, ma sarà tale solo quando si prenderà coscienza dell’appartenenza di uomini e donne ad un solo unico pianeta e ad un solo e coerente schema universale di Diritti. Diritti dell’uomo e della donna in quanto esseri viventi e appartenenti alla comunità, ma prima di tutto in quanto parimenti titolari del diritto alla dignità, del diritto di vivere e della libertà di amare.

Avv. Alessia Di Prisco

Sono Alessia Di Prisco, classe 1993 e vivo in provincia di Napoli. Iscritta all'Albo degli Avvocati di Torre Annunziata, esercito la professione collaborando con uno studio legale napoletano. Dopo la maturità scientifica, nel 2017 mi sono laureata alla facoltà di giurisprudenza presso l'Università degli Studi Federico II di Napoli, redigendo una tesi dal titolo "Il dolo eventuale", con particolare riferimento al caso ThyssenKrupp S.p.A., guidata dal Prof. Vincenzo Maiello. In seguito, ho conseguito il diploma di specializzazione presso una Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali a Roma, con una dissertazione finale in materia di diritto penale, in relazione ai reati informatici. Ho svolto il Tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari del Tribunale di Torre Annunziata affiancando il GIP e scrivo da anni per la rubrica di diritto penale di Ius In Itinere. Dello stesso progetto sono stata co-fondatrice e mi sono occupata dell'organizzazione di eventi giuridici per Ius In Itinere su tutto il territorio nazionale.

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