Muslim Ban: il salvataggio momentaneo della Corte Suprema
Dopo essere stato bloccato più volte in fase di pre-trial da numerosissime corti di merito, l’ordine esecutivo 13780, giornalisticamente noto come il secondo Muslim Ban, è arrivato alla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America.
Il massimo organo giudiziario statunitense, il 26 giugno – sorprendentemente secondo alcuni – ha deciso di salvare una parte del provvedimento, accogliendo la richiesta del Dipartimento di Giustizia, e dando così il via libera ad una versione ridotta dell’ordine esecutivo di Donald Trump.
Una decisione che, in realtà, non sorprende i più attenti osservatori della vita politico-giudiziaria statunitense. La Suprema Corte è, infatti, tornata in maggioranza repubblicana, dopo la nomina, ad Aprile, di Neil Gorsuch da parte del presidente Trump, avvenuta utilizzando la nuclear option – ovvero l’approvazione da parte del Senato della nomina presidenziale a maggioranza semplice e non qualificata, come normalmente richiesto – mai utilizzata nella storia per la nomina di un giudice della corte suprema.
In ogni caso anche la decisione della Suprema Corteè stata emessa nella fase di pre-trial e bisognerà aspettare Ottobre per conoscere la scelta definitiva dei giudici.
Il provvedimento, ad oggi in vigore, pone un limite rilevante all’entrata da parte di cittadini di alcuni paesi, fra cui Libia, Siria e Somalia e Sudan, in quanto richiede la prova, per essere esentati dal ban, di una relazione di stretta fiducia con una persona, con un’azienda o con un’istituzione americana, fra cui, in particolare, le università. Questo significa che il governo potrà non accogliere i rifugiati, provenienti da tali paesi, che non riescono a fornire la prova di questa effettiva relazione.
Le motivazioni della Suprema Corte vanno ricondotte alla duplice affermazione secondo cui, da un lato, preservare la sicurezza nazionale “è un obiettivo urgente”; dall’altro il blocco dell’entrata di chi non dimostra legami effettivi con il paese “non impone nessuna avversità legalmente rilevante al cittadino straniero”.
Interessante notare come la decisione, presa con una maggioranza di 5 giudici su 9, è stata ritenuta perfino moderata da tre di questi, che erano per il salvataggio totale dell’ordine esecutivo.
Vediamo, quindi, nel dettaglio il provvedimento della Corte Suprema.
La Corte, in primo luogo, ricostruisce le motivazioni addotte dalle corti di merito a fondamento dei provvedimenti d’ingiunzione temporanea (TRO), quali la contrarietà alla Establishment Clause e all‘Immigration and Nationality Act vista la natura prettamente religiosa e non razionalmente fondata del Ban, e le motivazioni del governo che, invece, riteneva legittimo il provvedimento in quanto non destinato a provocare una discriminazione religiosa, ma ad impedire l’ingresso nel paese di soggetti pericolosi per la sicurezza nazionale.
La Corte accoglie, poi, la richiesta del governo di ripristino, in parte, dell’ordine esecutivo, criticando i provvedimenti d’ingiunzione temporanea per non aver preso in considerazione “il supremo pubblico interesse” e per non aver “contemperato i contrapposti interessi delle parti”.
Quindi la Corte afferma che va salvaguardata la produzione di effetti da parte dell’ordine esecutivo, affermando che bisogna distinguere “fra stranieri che hanno una connessione significativa con il paese e stranieri che non ce l’hanno”.
Per questo, solo in quei casi in cui c’era stata la prova di questo legame, i provvedimenti d’ingiunzione temporanea del provvedimento erano, per la corte, fondati.
La Corte specifica che per relazione effettiva si intende: a) una stretta relazione familiare con un individuo; b) un rapporto documentato specificamente con un’azienda o un’istituzione americana.
In breve, la Corte decide di soffermarsi, in questa fase pre-trail, sul mancato bilanciamento di alcuni TRO con cui le Corti hanno bloccato interamente l’ordine esecutivo. In questo modo, statuisce che, contemperando gli interessi delle opposte parti, bisogna restituire vigore ad una parte del provvedimento.
Nulla è detto sui profili di legittimità/illegittimità dell’atto, quindi non ci resta che attendere il giudizio di merito di ottobre, consapevoli, però, del fatto che la questione dirimente, discriminazione religiosa o salvaguardia della sicurezza nazionale, potrebbe essere risolta tenendo in considerazione principalmente motivazioni politiche.
Studente di Giurisprudenza, classe 1994, tesista in Diritto del Mercato Finanziario, collaboratore area di Diritto Internazionale