sabato, Aprile 20, 2024
Litigo Ergo Sum

Mutatio ed emendatio libelli nel rapporto tra proprietà e utilizzo della cosa comune: l’ultima pronuncia della Cassazione

La fattispecie su cui si vuole in questa sede portare attenzione è quella relativa al rapporto, di natura processualcivilistica, tra mutato libelli ed emendato libelli in relazione ad un caso di specie, prettamente civilistico, in cui è finanche intervenuta recentemente la Corte di Cassazione.

Molto sinteticamente si ricordi, com’è noto, che nel corso del processo, nel nostro ordinamento, è legittima solo quest’ultima ipotesi: è lecita una semplice emendato allorquando si vada ad incidere o sulla causa petendi, in modo tale che sia modificata solo l’interpretazione o la qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto o sul petitum, per ampliarlo o limitarlo e renderlo quindi maggiormente idoneo all’effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere.

Al contrario, invece, ci troviamo di fronte ad un’illegittima mutationel caso in cui le parti avanzino, nel corso del giudizio, una pretesa oggettivamente diversa da quella originaria: sia nel caso in cui si introduca un petitumcompletamente diverso e più ampio, sia nel caso in cui si incida sulla causa petendiin modo tale da prospettare situazioni giuridiche nuove e, in particolare, un fatto costitutivo del tutto differente da quello precedentemente avanzato.

Nel caso che si vuole qui analizzare, i ricorrenti agivano, in un primo momento, ai fini della rivendicazione esclusiva del diritto di proprietà in loro capo procedendo ai sensi dell’articolo 949 c.c. e quindi nello specifico attraverso un’azione negatoria: “il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno”.

Pur tuttavia, nel corso del giudizio (e più precisamente durante le comparse conclusionali) la parte in questione rivendicava un diritto obiettivamente diverso e nello specifico quello sancito dall’articolo 1102 c.c. sulla base dell’assunto secondo cui, in qualità di comproprietari, ben potessero avanzare pretese relativamente ad un diritto comune: “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”.

È proprio sulla base di quest’ultima circostanza che si sviluppa il ragionamento della Cassazione1.

Quest’ultima infatti sentenzia di voler dar seguito all’orientamento della medesima Corte ormai fortemente consolidato a mente del quale esorbita dai limiti di una consentita emendatio libelli il mutamento della causa petendi che consista in una vera e propria immutazione dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, in guisa tale da introdurre nel processo un tema di indagine e di decisione nuovo, perché fondato su presupposti diversida quelli prospettati nell’atto introduttivo del giudizio, cost da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza.

Secondo la suddetta Corte, nel caso di specie, “il passaggio” dall’articolo 949 c.c. all’articolo 1102 c.c. suddetto comporta un mutamento non soltanto quantitativo bensì investe un profilo evidentemente qualitativo che si ripercuote quindi sulla possibilità di ravvisare o meno un’identità tra le due domande.

Colui che invoca la tutela della proprietà esclusiva può infatti limitarsi ad allegare la compromissione del suo diritto con la lesione della sfera dominicale, senza la necessità di alcun altro apprezzamento circa la compatibilità dell’uso con il pari diritto del comproprietario, indagine che invece si impone nella diversa ipotesi di cui all’art. 1102 c.c., occorrendo verificare il mantenimento della destinazione e la non compromissione del pari uso degli altri comunisti.

In conclusione invero si evince come nel caso previsto dall’articolo 1102 del codice civile sull’utilizzo della cosa comune vengano in gioco elementi nuovi e diversi (come la destinazione della cosa da non alterare) rispetto all’ipotesi dell’azione negatoria, che in quanto necessari da verificare ai fini della fondatezza della domanda, investono anche la causa petendi, e che depongono quindi per la diversità delle due domande.

1Cass., civ. sez. II, del 12 dicembre 2018, n. 3214.

 

Marco Limone

Marco Limone nasce nel 1994 ad Atripalda (AV). Consegue il diploma di maturità con votazione 100/100 presso il Liceo Scientifico P.S. Mancini di Avellino. Da sempre bravo in matematica, decide di non rinnegare le sue vere inclinazioni e ha frequentato, dal 2012, il Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. In data 07/07/2017 conclude il percorso universitario con votazione 110/110 e lode, discutendo una tesi in diritto processuale civile dal titolo "I profili processuali della tutela della parte nel contratto preliminare". Iscrittosi, infatti, sognando il “mito americano” della criminologia e del diritto penale, durante il suo percorso si scopre più vicino al diritto civile e alla relativa procedura, anche se, per carattere, affronta con passione qualsiasi sfida si presenti sul suo cammino. Fortemente determinato e deciso nel portare avanti le sue idee e i suoi valori, toglietegli tutto ma non la musica. E le serie tv e il fantacalcio, ma quella è un’altra storia... mar.limone1994@gmail.com https://www.linkedin.com/in/marco-limone-19940110a/

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