venerdì, Aprile 19, 2024
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Natura giuridica delle dichiarazioni di principi dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite

Lo scorso 10 dicembre sono stati celebrati i settanta anni di vita della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, solennemente adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948. Ma quale natura giuridica attribuire ad essa e in generale alla categoria delle dichiarazioni di princìpi?

L’attività dell’Assemblea Generale

Per rispondere alla domanda iniziale, occorre innanzitutto chiedersi cosa l’Assemblea possa fare a norma della Carta delle Nazioni Unite. Soccorrono in tal senso gli artt. 10 e 11. L’interpretazione ortodossa delle norme menzionate depone nel senso di una competenza generale[1], attribuita all’Assemblea degli Stati della comunità internazionale, relativamente a qualsiasi questione od argomento che rientri nei fini del presente Statuto.

I fini dell’ONU sono elencati nell’art. 1 e comprendono: a) mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (par. 1); b) relazioni amichevoli tra gli Stati, sulla base del principio di eguaglianza tra gli Stati e del principio di autodeterminazioni (par. 2); c) cooperazione economica, sociale, culturale e umanitaria tra gli Stati (par. 3).

E’ evidente che data, in realtà, l’indeterminatezza dei fini elencati, qualsiasi attività potrebbe apparentemente rientrare nei campi designati. Quanto appena affermato, risulta ancora più evidente se si tratta la competenza generale dell’Assemblea: essendo l’organo rappresentativo di tutti (o almeno, quasi tutti) gli Stati del mondo, esso è chiamato a discutere su qualsiasi fatto, circostanza o fenomeno che incida sensibilmente sulla stabilità delle relazioni internazionali, sulla base del principio della sovrana eguaglianza tra gli Stati. Non solo situazioni attinenti a conflitti bellici (interni o internazionali), ma anche, ad esempio, problemi connessi al sottosviluppo delle popolazioni di gran parte del globo (per cui l’Assemblea Generale gode di una strategic partnership con il Consiglio economico e sociale, organo ausiliare delle Nazioni Unite, nel campo della cooperazione allo sviluppo); oppure situazioni connesse all’autodeterminazione dei popoli e alla decolonizzazione, che attualmente si sono esaurite con la scomparsa degli imperi coloniali, negli anni ’60 del secolo scorso; situazioni connesse al rispetto dei diritti umani, con particolare enfasi sulla tutela delle minoranze etniche e linguistiche.

Una competenza generale su tutte queste materie, che forse non esauriscono il catalogo complessivo, implica il potere dell’Assemblea di discutere e deliberare in maniera generale e astratta in qualsiasi circostanza essa ritenga opportuno, pur entro i limiti statutari.

Quel potere di deliberare tuttavia potrebbe essere frainteso, se si considera il fatto che l’Assemblea può, in talune circostanze, inviare raccomandazioni agli Stati, con l’obiettivo di esortare uno e più Stati membri a tenere un certo comportamento in relazione ad una determinata circostanza. Le deliberazioni dell’Assemblea possono essere produttive di dichiarazioni di princìpi generali, generalmente adottate con la pratica del consensus, non vincolanti e non contenenti dunque diritti e obblighi per gli Stati che pure hanno ammesso di adottarle.

 La funzione giuridica delle Dichiarazioni di princìpi

La prassi delle dichiarazioni di princìpi inizia già con la celebre Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata a Parigi il 10 dicembre 1948. Successivamente l’Assemblea generale ha provveduto all’adozione di regole solenni e generali sempre nella forma di dichiarazioni, adottate con la pratica del consensus, tra le quali si ricordano la Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi e popoli coloniali del 1960, la Dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959, la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro la donna del 1993, la Dichiarazione sulla protezione di tutte le persone sottoposte a forme di tortura del 1975. Particolare menzione va data alla Dichiarazione concernente l’instaurazione di un nuovo ordine economico internazionale, adottata nel maggio 1974, accompagnata dall’annesso Programma d’azione e dalla Carta dei diritti e doveri economici degli Stati. Questi ultimi tre atti si inscrivono nella tendenza dell’Assemblea generale ad assumere sempre più poteri nel campo della cooperazione economica allo sviluppo, al fine di attenuare le persistenti divergenze tra gli Stati del mondo.

In generale, trattasi di atti di natura non vincolante, ma nemmeno esortativa, come lo sono le raccomandazioni, né sotto forma di inviti, come lo sono autorizzazioni a tenere certi comportamenti di per sé illeciti. Sono princìpi generalissimi, attorno ai quali si è formato un forte consenso degli Stati membri, di cui la comunità internazionale intende farsi portavoce e accogliere gli sviluppi (si pensi al tema dei diritti umani, molto sentito dai Paesi dalle solide strutture politiche democratiche) anche attraverso lo strumento convenzionale.

La Dichiarazione del 10.12.1948, di per sé non produttiva di obblighi in capo agli Stati, ha costituito la base per l’adozione dei due Patti sui Diritti Umani del 1966, entrambi accordi internazionali, pertanto vincolanti le parti che aderiscono. Dunque, una funzione rilevante delle Dichiarazioni in esame è l’impulso alla creazione del diritto internazionale convenzionale, attraverso il quale quei princìpi generali prendono forma vera e diventano obblighi per gli Stati che decidono di accettarli.

Talvolta le Dichiarazioni riproducono consuetudini internazionali, già esistenti (si pensi al principio di autodeterminazione dei popoli, connesso alla libertà di sfruttamento delle risorse naturali nel proprio territorio, contenuta nella Dichiarazione sul nuovo ordine economico internazionale del 1974, già affermatosi nella prassi delle Nazioni Unite e riconosciuto dalla gran parte della comunità internazionale) e pertanto risultano vincolanti nella misura in cui attengono al contenuto delle norme di diritto internazionale generale.

La natura non vincolante delle Dichiarazioni è sottolineata dal fatto che trattandosi di regole generalissime, i cui contorni risultano variamente sfumati (dalla nozione di libertà della donna dallo stupro alla libertà di espressione e di coscienza), vuoi per contrasti ideologici e culturali (si pensi alla concezione della donna), vuoi per interessi nazionali e strategici (si pensi all’equità nei rapporti economici tra i Paesi ricchi e Paesi poveri del mondo), è impossibile raggiungere un accordo su ogni singolo punto di merito.

La prassi del consensus mostra che accanto alla volontà di adottare l’atto, molti Stati tendono ad apporre riserve giuridiche su questo o su quel punto della Dichiarazione ad esempio per affermare una volta per tutte o che si atterranno ad una determinata interpretazione della regola, o che una o più regole saranno ripudiate. È del tutto impossibile – e peraltro improbabile – che all’interno di un consesso di 139 Stati si raggiunga un accordo complessivo su qualsiasi questione.

[1] B. Conforti, C. Focarelli, Le Nazioni Unite, edizione 2017

Giuseppe Saviotti

Dottore in scienze politiche, relazioni internazionali e studi europei presso l'Università di Bari, attualmente in fase di completamento degli studi di relazioni internazionali. Collaboratore dell'area di diritto internazionale, con particolare interesse per il diritto e le politiche dell'Unione Europea.

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