Negli studi associati gli avvocati restano lavoratori autonomi diversamente dai fotoreporter
A cura di Federico Fornaroli
La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 28274/2024, è tornata ad argomentare in merito alla possibile riqualificazione del rapporto di lavoro autonomo di un avvocato operante in uno studio legale associato strutturato in subordinato.
E questo, a distanza di davvero pochi giorni rispetto ad un’altra pronuncia particolarmente interessante, concernente la riqualificazione dell’attività autonoma di un fotoreporter in subordinato (Cass. n. 26466/2024).
Ebbene, se in quest’ultimo caso il lavoratore ha ottenuto detta riqualificazione, sull’assunto che egli fosse ampiamente inserito nell’assetto organizzativo del committente e fosse reperibile similmente ad un dipendente, nella prima ipotesi, invece, la prestazione resa in forma esclusiva e continuativa non ha natura subordinata, se le forme di coordinamento che regolano la vita associativa sono funzionali alla migliore organizzazione del lavoro.
E ciò, pur a fronte di un rapporto di collaborazione protrattosi per oltre 13 anni.
Infatti, la professionista ricorrente risultava aver svolto la propria attività in modo libero, autonomo e indipendente, pur in presenza di regole necessarie al coordinamento della sua attività con quella dello studio, quali, ad esempio, il regolamento associativo, il sistema di gestione delle informazioni e quello di apertura delle pratiche, giacché trattasi di presidi rispondenti ad un’esigenza, come detto, di coordinamento dell’attività dei numerosi professionisti, compresi i soci.
D’altra parte, viene sottolineato che uno studio associato è un sistema organizzato all’interno del quale il singolo avvocato decide di prestare la propria attività professionale, accettando alcune limitazioni in cambio di altrettante agevolazioni e prerogative.
E ancora, anche l’obbligo di esclusiva trova qui la propria ragione d’essere nello scopo di evitare conflitti di interesse che potrebbero sorgere fra i vari professionisti, anche tenuto conto della sussistenza di polizze professionali di studio.
Infine, la fissazione di scadenze non è stata ritenuta un valido indice di subordinazione, poiché, così come dedotte nel giudizio de quo sono apparse come espressione di un potere conformativo dello studio sulla prestazione professionale dell’avvocata, rispondendo alla necessità, insita nell’attività stessa, di rispettare i tempi dei clienti.
L’ultima conseguenza a quanto sopra è stata il rigetto della domanda di incostituzionalità in relazione all’incompatibilità fra la libera professione e la subordinazione.
Pertanto, viene confermato una volta per tutte il carattere autonomo degli avvocati che collaborano con i c.d. grandi studi associati, purché, chiaramente, le suesposte caratteristiche ricorrano concretamente.