mercoledì, Aprile 17, 2024
Criminal & Compliance

Obblighi e doveri per chi possiede un animale

Già nel 2010 con sentenza n. 24734[1] la Corte di Cassazione statuisce interessanti chiarimenti riguardo la tutela dei diritti degli animali, affermando che il maltrattamento di un animale è un reato, disciplinato e punito dall’articolo 544 ter del codice penale. Codesta sentenza, meritevole di menzione, chiarisce che l’offesa verso un animale non integra solamente la fattispecie di reato dell’articolo 638 del codice penale, ricompreso nei delitti contro il patrimonio, ma offende il sentimento dell’animale, meritevole di tutela.

Nel tempo le diverse sentenze della Corte di Cassazione hanno manifestato una maggiore propensione per la difese degli animali, punendo severamente chi commette atti crudeli verso cani e/o altre specie. Inoltre, importanti obblighi gravano soprattutto per il proprietario dell’animale, dovendo avere riguardo delle esigenze e dei bisogni dello stesso, permettendogli di vivere in ambienti confortevoli e condizioni di benessere. Condannando chi contrariamente pone il cane o altro animale in situazioni disagiate o che ledano spudoratamente la sua dignità.

A tal proposito si sottolinea la massima di una recentissima sentenza della Corte di Cassazione n. 8036 del 2018 inerente le condizioni di vita di un cane, tenuto legato senza acqua e cibo.

Il fatto.

Il proprietario di un cane, precisamente un pastore tedesco, teneva quest’ultimo legato con una corda, limitandogli il libero movimento e ponendolo in condizioni igieniche repellenti, inoltre il cane non veniva alimentato per un lasso di tempo considerevole, provocando uno stato di preoccupante debilitazione e mal nutrimento. Condizione salutare accertata poi da un veterinario. Il proprietario, giustifica le condizioni del cane, nell’impossibilità di poter provvedere allo stesso per gravi ragioni, affermando tra l’altro, che il cane godeva di ottima salute.

Di contrario avviso è la Corte che afferma che la condotta realizza l’ipotesi di reato di cui all’articolo 544 ter del codice penale e che inoltre:

integra il concetto di sevizie e comportamenti incompatibili con le caratteristiche dell’animale, e pertanto sia già di per se fattore tale da costituire l’elemento materiale del reato contestato il tenere lo stesso, per periodi considerevoli di tempo, in isolamento, legato in uno spazio angustamente circoscritto, senza cure igieniche né somministrazioni alimentari e senza un’adeguata protezione dalle intemperie, con ricadute sulla sua integrità.[2]

E’ esplicito che possedere un cane imponga una certa cura e rispetto dei fabbisogni dello stesso e che un qualsiasi forma di malessere deve essere severamente punita.

Nonostante si stia procedendo verso un irrigidimento delle pene verso chi lede il sentimento del cane, purtroppo sono ancora frequenti episodi di maltrattamenti e abbandono. La Corte di Cassazione, numerose volte, ha posto la sua attenzione nella salvaguardia dei diritti degli animali, in tal senso, giova ricordare, la sentenza della Cassazione relativo alla legittimazione ad effettuare l’eutanasia del cane o altro animale unicamente dai medici veterinari, punendo chi utilizza tecniche di soppressione non avendo alcuna competenza.

Nel caso di specie, tre proprietari di un canile avevano somministrato ad alcuni cani e gatti, farmaci per sopprimerli in quanto si trovavano in una condizione di salute ormai terminale. Successivamente è però emerso, che gli animali godevano di buona salute, non trovando corrispondenza le affermazioni dei tre individui. Inoltre precisa la Corte, che la possibilità di compiere qualsiasi operazione che possa porre “fine” al ciclo di vita di un animale, deve essere unicamente effettuato da soggetti esperti, in particolare, da veterinari ed un qualsiasi abuso delle competenze integra l’ipotesi di reato di cui all’articolo 348 del codice penale che disciplina:

“Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da centotre euro a cinquecentosedici euro.”

La Corte conclude, che la pena da irrogare sarà di due anni di reclusione, in quanto vi è un abuso della professione da parte dei  proprietari del rifugio e non di meno una violazione ingiustificata del sentimento dell’animale. [3]

Ci si muove verso una strada sempre più predisposta alla cura e alla tutela dei diritti dell’animale sperando in una progressione in tal senso.

FONTI

[1] http://www.dirittoambiente.net  (Cass. Pen. Sez. II, sentenza n. 24734/2010)

[2] http://www.canestrinilex.com

[3]www.ilsole24ore.com   (Cass. Pen. Sez. III sentenza n. 4562/2018)

Tayla Jolanda Mirò D'Aniello

Tayla Jolanda Mirò D'aniello nata ad Aversa il 4/12/1993. Attualmente iscritta al V anno della facoltà di Giurisprudenza, presso la Federico II di Napoli. Durante il suo percorso univeristario ha maturato un forte interesse per le materie penalistiche, motivo per cui ha deciso di concludere la sua carriera con una tesi di procedura penale, seguita dalla prof. Maffeo Vania. Da sempre amante del sistema americano, decide di orientarsi nello studio del diritto processuale comparato, analizzando e confrontando i diversi sistemi in vigore. Nel privato lavora in uno studio legale associato occupandosi di piccole mansioni ed è inoltre socia di ELSA "the european law students association" una nota associazione composta da giovani giuristi. Frequenta un corso di lingua inlgese per perfezionarne la padronanza. Conseguita la laurea, intende effettuare un master sui temi dell'anticorruzione e dell'antimafia.

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