sabato, Aprile 20, 2024
Labourdì

Offese al datore di lavoro in chat privata di gruppo: è illegittimo il licenziamento del lavoratore

A cura del Dott. Loris Ermini

 

Con ordinanza n.21965/2018 la Corte di Cassazione ha sancito l’illegittimità del licenziamento, intimato al lavoratore, quale sanzione inerente a una serie di commenti scritti dal medesimo in una chat di gruppo di un social network e reputati dal datore di lavoro diffamatori e ingiuriosi.

Nei fatti la Corte ha ritenuto di rigettare il ricorso del datore di lavoro partendo dalla considerazione che la condotta del lavoratore, se pur accertata, non integri un illecito. Il datore aveva dato luogo a questa estrema sanzione comminando il licenziamento disciplinare basandosi sul fatto che il lavoratore avesse provveduto a commettere il reato di diffamazione ai danni dell’amministratore delegato della società, utilizzando frasi ed epiteti scurrili, seppur non completi.

 D’altra parte il medesimo ricorrente era venuto a conoscenze dei fatti tramite corrispondenza anonima nella quale veniva riportato il contenuto della chat di gruppo.

Considerando detti presupposti il giudice si è dunque soffermato sulla carenza di illiceità della condotta travolgendo di fatto anche la relativa sanzione comminata del licenziamento.

Veniamo dunque a considerare i motivi per cui la condotta del lavoratore non è stata considerata illecita:

Il giudice, partendo dall’individuazione della fattispecie del reato di diffamazione (art.595cp) e dunque della lesione del bene giuridico della reputazione, esamina il caso concreto della chat di gruppo, che nel caso di specie era privata e attinente ad attività sindacale.

Dunque la Corte esamina il principio “della libertà e segretezza della corrispondenza” sancita dall’articolo 15 della Costituzione, e giunge a considerare la segretezza come attinente alla più ampia “libertà di comunicare liberamente con soggetti predeterminati, e quindi come pretesa che soggetti diversi dai destinatari selezionati dal mittente non prendano illegittimamente conoscenza del contenuto di una comunicazione”.

Infine il giudice considera la segretezza secondo i canoni individuati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.20 del 2017, relativa all’art.15 della Costituzione, definendone il perimetro. Perimetro che comprende ” tanto la corrispondenza quanto le altre forme di comunicazione, incluse quelle telefoniche, elettroniche, informatiche, tra presenti o effettuate con altri mezzi resi disponibili dallo sviluppo della tecnologia”

Partendo dunque da questi presupposti di diritto e giurisprudenziali il giudice ha statuito che la condotta del lavoratore di fatto non è illecita in quanto non posta pubblicamente in essere ma all’interno di una chat privata nella quale doveva essere garantita, da parte dei partecipanti, la riservatezza e segretezza dei contenuti verso soggetti terzi e verso il pubblico.

In conclusione tale principio potrebbe, fino a nuovo orientamento giurisprudenziale, ricomprendere tutte quelle casistiche nelle quali il lavoratore, in seguito a condotte del datore di lavoro comunque non irreprensibili o oggetto di contestazione, provveda a “rimproverare”, in maniera anche molto severa, il superiore gerarchico all’interno di contesti limitati sia in relazione al numero dei partecipanti alla discussione sia verso l’esterno. Inoltre tale principio dovrà dunque essere ricondotto a tutte quelle forme, anche moderne, nel quale il lavoratore potrà esprimere il proprio pensiero.

 

1- Corte di Cassazione – Ordinanza n. 21965/ 2018 – disponibile qui

2-  Articolo 15 Costituzione –“La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.

3 – Corte Costituzionale, sent. n. 20/2017

 

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