venerdì, Marzo 29, 2024
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Omicidio del consenziente: un’analisi delle ragioni del “no” della Consulta

A cura di Stefano Pastucci

  1. Un “No” erroneamente interpretato.

Il 15 Febbraio scorso la Corte Costituzionale, per il tramite dell’Ufficio comunicazione e stampa ha fatto sapere che ha ritenuto inammissibile il quesito referendario sulla proposta di abrogazione parziale dell’art. 579 del Codice Penale perché, a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili.[1]

Una decisione, quella della Consulta, molto chiara e netta; netta come l’eventuale abrogazione parziale dell’omicidio del consenziente. Decisione, quella della bocciatura, presa di mira da innumerevoli testate giornalistiche e dall’opinione pubblica la quale mossa dall’esigenza di certezze in tema di “fine vita” si è lasciata ammaliare da un “NO” erroneamente interpretato.

Nei fatti la Consulta si è espressa negativamente sulla proposta di abrogazione parziale del 579 c.p., rubricato come “Omicidio del consenziente”, non sull’eutanasia in sé. Sarebbe, in prima lettura, un errore ritenere che il no della Corte ricada sull’eutanasia e che ancora oggi questo fenomeno sia ritenuto un taboo.

Questa analisi, dunque, vuole soffermarsi, non sulle opinioni pubbliche bensì sulle ragioni del “no”; ragioni da ricercare nello stesso 579 c.p. ed in primissimo luogo nei principi della nostra Costituzione; senza prescindere, nell’analisi, da quei soggetti che la stessa Corte ha definito “deboli e vulnerabili”.

  1. Il quesito

Il quesito referendario in esame, bocciato dalla Consulta, proponeva il seguente testo:

“Volete voi che sia abrogato l’art. 579 del codice penale (omicidio del consenziente) approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, comma 1 limitatamente alle seguenti parole «la reclusione da sei a quindici anni.»; comma 2 integralmente; comma 3 limitatamente alle seguenti parole «Si applicano»?” [2]

Il nuovo testo del 579 sarebbe stato così riformulato ai sensi di un esito favorevole del referendum e prima ancora dell’ammissibilità da parte della Corte:

“Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni. Non si applicano le aggravanti indicate nell’articolo 61. Si applicano le disposizioni relative all’omicidio [575-577] se il fatto è commesso:

1) Contro una persona minore degli anni diciotto;

2) Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti;

3) Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.”

In una prima analisi è necessario porre in relazione due fattispecie: l’omicidio del consenziente ed il comune omicidio. Il primo differisce dal secondo in ragione del fatto che nella prima fattispecie in esame l’elemento caratteristico è proprio il consenso della vittima; ed è il consenso, autodeterminato, a far sì che la pena a cui soggiaccia il reo sia inferiore rispetto alla pena del  comune omicidio, appunto, ex art. 575 del codice penale.

In seconda battuta bisogna tener presente che a seguito di una ipotetica approvazione del quesito referendario, l’omicidio del consenziente sarebbe divenuto lecito in ogni caso, ad eccezione dei casi di minore età, incapacità e consenso estorto; differentemente da quanto accade oggi del diritto penale vigente.

Infatti, se il reo compie il fatto nei confronti di una persona il cui consenso sia autodeterminato, la pena è da sei a quindici anni; se invece lo stesso fatto viene commesso nei confronti di un incapace, contro un minore o contro una persona il cui consenso sia stato estorto, la pena è pari a quella dell’omicidio ex art. 575 c.p.: decisamente più grave rispetto alla pena stabilita dal 579. Tutto ciò in virtù del fatto che se a determinare una notevole riduzione della pena è proprio il consenso della vittima, ove questo fosse viziato o non autonomamente determinato viene meno, in sintesi, l’intero assetto del primo comma del 579 c.p. ed il reo, come già annoverato, soggiace alla pena del 575.

Dunque, una prima ragione che ha spinto la Consulta ad esprimersi negativamente è da ricercare proprio nell’omicidio del consenziente: procedendo per esclusione all’analisi dei soggetti vulnerabili a cui fa riferimento, questi non sono né i minori, né gli incapaci di intendere e di volere; essi già conservano, infatti, una tutela prevista dallo stesso secondo comma del 579 al pari di coloro ai quali il consenso viene estorto.

Se il primo comma del 579 c.p. rimanesse inalterato, “tutti i cittadini” sarebbero tutelati; se il primo comma cambiasse aspetto, la tutela non sarebbe più estesa a “tutti i cittadini” ma solo ai soggetti di cui al secondo comma.

Nell’espressione “tutti i cittadini” rientrano, quindi, quei soggetti vulnerabili a cui fa riferimento la Corte; soggetti che non hanno, però, una qualifica tassativamente prevista o tutelata dal legislatore, come gli incapaci di intendere e di volere, ad esempio.

Eliminando parzialmente l’omicidio del consenziente verrebbe meno la tutela di quei cittadini, di quei soggetti, di quelle persone che pur con situazioni soggettive specifiche, meritevoli di tutela, non rientrano nelle categorie del secondo comma del 579: ma chi sono i soggetti vulnerabili a cui fa riferimento la Corte?

 

  1. Bipolarismo e depressione in relazione all’art. 579 c.p.

Ci sono situazioni “a mezza via” che il legislatore non prevede espressamente o tassativamente. Tra queste si presentano i cosiddetti disturbi della personalità: tra cui il bipolarismo e la depressione.

I sintomi della depressione sono noti a quasi tutti perché nessuno è esente dal malessere psicologico ad un certo punto della propria esistenza. Sovente, associamo la parola depressione alla perdita parziale o totale di stimoli nei confronti della vita. Ci si sente avviliti, abbattuti e, in definitiva, altamente depotenziati. In quasi tutti i casi la persona avverte di non avere gli strumenti adeguati per poter combattere il proprio disagio interiore e, ancora più spesso, si ha la percezione che manchino i mezzi per poter agire sui propri stati d’animo. In sintesi, ci si sente passivamente remissivi”.[3]

Per il bipolarismo, invece, “chi ne è affetto tende ad alternare fasi depressive seguite da fasi ipomaniacali o maniacali”: sbalzi umorali che incidono nella vita ma soprattutto nelle decisioni di chi ne è affetto.[4]

Non è, dunque, semplice, in ogni caso, apprezzare la purezza e la autodeterminazione del consenso in soggetti che soffrono di tali disturbi poiché trattasi, appunto, di disturbi non sempre certificati.

Sul punto si è recentemente espressa la Cassazione, su un ricorso, in un caso di maltrattamenti.[5] Nel ricorso in questione la difesa  enunciava l’errata applicazione degli artt. 85 e 89 del Codice Penale in quanto la Corte d’Appello avrebbe dovuto riscontrare la sussistenza del vizio totale di mente dell’imputato, condannato per maltrattamenti ex articolo 572 Codice Penale. Il vizio totale, che secondo il difensore emergeva dalla perizia psichiatrica disposta dal GUP, riguardava un disturbo bipolare che escludeva ogni possibilità di autodeterminazione.[6]

Ciò che in questa sede interessa non è entrare nel merito della vicenda bensì che non si è escluso, da parte della Cassazione, che i c.d. “disturbi della personalità” possano rientrare nell’infermità di mente qualora escludano o diminuiscano la capacità di intendere e volere, ed a condizione che sussista un “nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale”.

Si può ritenere, alla stregua delle considerazioni precedentemente svolte, che i disturbi della personalità sono idonei ad escludere la punibilità o, quantomeno, a ridurla se vengono intesi come “patologie” della mente; non se essi sono intesi, invece, come “anomalie” della personalità quali ad esempio alcune deviazioni del carattere e del sentimento che fanno parte della indole del soggetto e, dunque, non risultanti come patologie.

Se, dunque, una possibile limitazione della capacità di intendere e di volere,  derivante da un disturbo della personalità, esclude la punibilità nel luogo in cui il soggetto commetta un fatto tipico; possiamo dedurne che questi episodi c.d. maniacali o depressivi sono potenzialmente invalidanti del consenso. Ne consegue che mentre oggi è prevista al primo comma una tutela per “tutti i cittadini”, se domani fosse parzialmente abrogato il 579 c.p., così come proposto nel quesito, queste persone resterebbero senza tutela; ed un consenso che potrebbe non essere valido diverrebbe, in ogni caso, legittimo.

In conclusione, lo Stato dovrebbe essere al fianco di queste persone, offrendo loro quella che si profila come un’alternativa a sofferenze psichiche e sociali colmabili da cure, quando possibili o necessarie, ed in ogni caso dal senso di appartenenza ad una società che non esclude bensì integra il cittadino.  Proprio questa ragione giustifica altresì il potenziale contrasto con un principio di rango costituzionale: il Principio Eguaglianza-Ragionevolezza ex art. 3,1 Cost. Lo giustifica, infine, perché si impedirebbe, tout court, a persone in situazioni complesse di sviluppare tutto ciò che ad ogni cittadino assicura lo stesso art. 3 della Costituzione e, dunque, vivere una vita al pari degli altri ed avere tutele al pari degli altri; dando, così, un’alternativa, a chi soffre di tali disturbi, che impedirebbe loro di abbandonarsi, in ogni situazione, alla morte.

[1] Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale, 15 Febbraio 2022, in www.cortecostituzionale.it.

[2]  Raccolta firme referendumEutanasia Legale” in G.U. n. 95 del 21 Aprile 2021

[3] Cfr. S. Pozzuoli, “La depressione bipolare”, 2 Maggio 2019, in www.giornaledipsicologia.it

[4] Cfr. N. Marsigli, “Disturbo bipolare (bipolarismo): sintomi e cura”, 26 Gennaio 2019, in www.ipsico.it

[5] Cass. Pen. Sez. II ,sentenza n. 13959, 10.04.2020,

[6] A. Valentinotti, “Il disturbo bipolare della personalità non è idoneo ad escludere l’infermità mentale”, 26 Giugno 2020, in www.filodiritto.com

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