giovedì, Aprile 18, 2024
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Opportunità e criticità delle aziende italiane nell’attuale clima economico: intervista a Riccardo Di Stefano, Vicepresidente di Giovani Imprenditori di Confindustria

Con questo articolo ci immergiamo completamente nel mondo economico, intervistando chi l’economia la crea e la vive in ogni sua accezione: Riccardo Di Stefano a soli 32 anni è componente del Consiglio di Amministrazione dell’Officina Lodato S.r.l., fondatore della società Meditermica S.r.l., Vicepresidente vicario dell’associazione Alumni LUMSA e Vicepresidente Nazionale dei Giovani Imprenditori di Confindustria. Oggi, risponde alle nostre domande, spiegandoci in modo chiaro e preciso quali possono essere le opportunità e le criticità delle aziende italiane, i loro margini di sviluppo e la posizione di Giovani Imprenditori di Confindustria nel clima economico attuale.

1) In merito al suo profilo accademico, secondo lei, oggigiorno per poter fare impresa quanto è importante partire con un’adeguata formazione in ambito legale?

Credo che oltre all’attitudine creativa un buon imprenditore si debba anche formare con una capacità giuridica brillante in campo economico, ossia sviluppare l’attitudine a trovare soluzioni e risposte ai problemi giuridici posti dal mondo imprenditoriale. Anche se vorremmo esserlo, noi imprenditori non siamo invulnerabili. Le tante innovazioni che in questi anni stanno rivoluzionando la nostra attività costituiscono certamente delle opportunità, ma anche dei rischi. E’ giusto quindi che l’imprenditore conosca i mezzi e gli strumenti utili che la Legge mette a disposizione per tutelare il patrimonio aziendale che io intendo non solo come patrimonio materiale, ma anche di immagine e personale.

2) Le start-up e le PIM innovative, dalla loro introduzione nel sistema giuridico italiano, sono cresciute in maniera significativa: oggi si contano quasi 8000 attività che esprimono complessivamente 2 miliardi di euro in fatturato e offrono circa 50 mila posti di lavoro. Seppur numeri positivi, siamo ancora lontani dagli standard europei, quali sono secondo lei i motivi principali di questo gap e in che modo Confindustria cerca di superarlo?

Il gap è dovuto al fatto che il nostro Paese, più di altri, ha bisogno di innovazione, in campo imprenditoriale, nella Pubblica Amministrazione, nel sistema scolastico, nel mercato del lavoro. Come Giovani Imprenditori lo abbiamo ripetuto molte volte: qui i giovani hanno bisogno di nuova aria e nuove opportunità. Le start up e gli spin off sono poli di innovazione e di ricerca e possiedono quella flessibilità e quelle opportunità che spesso le aziende più strutturate non hanno. Tutti gli ultimi studi ci dicono che per uscire dall’attuale stallo, le imprese devono puntare sulle nuove tecnologie, sulla digitalizzazione: reti infrastrutturali di nuova generazione, commercio elettronico, servizi innovativi di comunicazione. Ma dobbiamo convincerci che le start up non sono solo le microimprese che lavorano nell’ICT: la nostra sfida deve essere invece di creare anche start up manifatturiere, siderurgiche, agroalimentari, che sappiano coniugare l’innovazione propria di questa forma di imprese con i settori che fanno grande il Made in Italy. E se le imprese non sono così grandi da potersi permettere grossi investimenti in ricerca e innovazione, quale migliore strada di affiancarsi start up che dell’innovazione fanno il proprio mestiere? 

3) In Italia negli ultimi anni la pressione fiscale è salita vertiginosamente e moltissime imprese hanno avuto grandi difficoltà nel saldare i propri debiti con l’erario. Secondo lei, le nostre istituzioni come possono aiutare gli imprenditori italiani e qual è il modus operandi più adeguato per combattere l’evasione fiscale?

La lotta all’evasione è parte integrante e imprescindibile di un programma di risanamento e di rinascita dell’economia. L’evasione fiscale penalizza l’equità e distorce la concorrenza. Nelle recenti Assise Generali a Verona, Confindustria ha indicato con chiarezza quelle che secondo noi imprenditori sono le possibili soluzioni da intraprendere. In primo luogo la politica fiscale ha bisogno di essere chiara, ferma e coerente, evitando provvedimenti non sistematici e caotici volti solo a captare consenso politico. È necessario un profondo rinnovamento nelle relazioni Fisco-Impresa con riguardo ai temi della semplificazione del sistema fiscale, della tutela dei diritti del contribuente e dell’efficienza dell’amministrazione finanziaria nel suo complesso. In secondo luogo, il fisco deve premiare i virtuosi, le imprese che investono, assumono, innovano e crescono, diventando sempre più strumento di competitività del Paese e leva di sviluppo per l’intera economia. Infine, strumenti di contrasto all’evasione più efficienti allenterebbero il peso del fisco sulle imprese sotto il profilo amministrativo. La contrazione dell’evasione diffusa consentirebbe di recuperare ingenti risorse da destinare alla crescita, anche considerando che il tax gap per talune classi di contribuenti – secondo le ultime stime del Ministero dell’Economia e delle Finanze – supera il 67 per cento per esercenti arti e professioni e imprese personali.

4) In un mondo sempre più globalizzato e standardizzato, quanto è importante far percepire il Made in Italy come valore aggiunto? In che modo le aziende italiane dovrebbero valorizzare e riqualificare il proprio Made in Italy? Quali sono le proposte mirate alla riqualifica del Made in Italy in Italia e all’estero proposte da Confindustria?

Dobbiamo sempre ricordare che, se fosse un brand, il Made in Italy sarebbe il 3° al mondo: non è una bella frase da convegno, ma il riconoscimento di un potenziale economico enorme. In questi lunghi anni di crisi sono state proprio le esportazioni del Made in Italy a tenere in equilibrio la nostra bilancia commerciale, anzi, siamo addirittura riusciti a superare i livelli pre-crisi: solo quest’anno abbiamo toccato i 417 miliardi di volume d’affari generato con le esportazioni, un record. Questo naturalmente non significa che possiamo metterci a braccia conserte pensando che ormai vada tutto bene e che meglio di così non possiamo fare. Non possiamo perché nel mercato globale chi si ferma è perduto e perché la lunga crisi e l’instabilità politica di molti paesi – compreso il nostro – spinge pericolosamente verso il protezionismo. Di fronte a questo incredibile patrimonio che è il nostro Made in Italy che, come ho detto, è più forte di ogni congiuntura negativa, dobbiamo lavorare sulle nostre imprese affinché la strada dell’internazionalizzazione sia percorribile da tutti. Pensiamo infatti alla composizione del nostro ecosistema imprenditorial: il 20% delle imprese sono molto avanti – innovative e internazionalizzate – il 60% è in una fase di mezzo e il 20% è in condizioni di grande difficoltà. Se non riusciamo a portarle tutte a livello, e se il sistema industriale arretra, verrà compromessa la tenuta sociale ed economica del Paese. Pensiamo solo al potenziale economico del Made in Italy fornito dalle nostre previsioni di export: nei prossimi 6 anni i beni “belli e ben fatti” italiani registreranno nei soli mercati avanzati una crescita in volume del 20%; quasi 12 miliardi di euro in più, raggiungendo nel 2022 i 70 miliardi di euro, ma l’incremento potrà essere addirittura del 30% se sapremo aumentare le quote di mercato. Cresciamo infatti in Europa, in Asia e negli Stati Uniti, a dimostrazione – ancora una volta – che il Made in Italy è un brand riconosciuto e apprezzato in tutto il mondo grazie al lavoro delle nostre imprese.

5) Oggi, per quanto concerne il mondo dell’impresa ci troviamo dinanzi a contesti ormai saturi e che devono necessariamente lasciar posto all’innovazione. Secondo lei qual è il settore che al momento avrebbe bisogno di un nuovo assetto organizzativo e quale sarà quello che nei prossimi anni avrà un ruolo chiave all’interno dei mercati?

Il mondo dell’industria sta cambiando a una velocità e con una pervasività, tra i settori e i contesti sociali, che non hanno precedenti nella storia per cui è difficile fare delle previsioni. Ma certamente il mercato ha i suoi ritmi, le sue regole e detta anche legge: ci sono diversi settori economici – secondo molti degli studi pubblicati ultimamente – che possono essere definiti dei veri e propri trend, sui quali oggi le aziende più grandi stanno investendo e quelle più piccole si accodano per beneficiarne il più possibile. Asset di qualità, sviluppo internazionale e con buone prospettive di crescita sono infatti l’industria del lusso (questa una conferma), il food and beverage, la grande distribuzione organizzata, la farmaceutica e certamente la manifattura, grazie alla rivoluzione di industry 4.0. Se devo però pensare ad un settore che ha bisogno di innovarsi e sul quale vale la pena puntare, penso certamente a quello del turismo, culturale e creativo, cui di recente come Giovani Imprenditori abbiamo dedicato un Convegno a Palermo. Il sistema produttivo culturale e creativo è infatti tra i più vivaci in Italia, produce 89,9 miliardi di valore aggiunto e attiva altri settori dell’economia, arrivando a muovere complessivamente il 16,7% del valore aggiunto nazionale, con 1,5 milioni di persone che vi lavorano. Purtroppo, è un settore ancora poco sfruttato da un punto di vista industriale, specie nel sud Italia. Una maggiore fruizione del patrimonio culturale potrebbe contribuire allo sviluppo e all’occupazione, specie nelle aree meridionali, socialmente più critiche, in particolare in regioni come la Sicilia turismo e cultura potrebbero da sole trainare l’economia regionale. È possibile mettere in moto modelli per porre realmente la cultura al centro delle politiche dello sviluppo economico e trarre vantaggio competitivo per il nostro paese, io scommetto su questo.

6) In Europa le politiche inerenti ad economia e libero mercato sono sempre all’ordine del giorno. Secondo lei le istituzioni comunitarie in che modo potrebbero offrire un valido aiuto allo sviluppo d’impresa, in un contesto come quello odierno dove molti confini del passato sono ormai superati?

L’Europa deve puntare tutto su questa scommessa: diventare il continente più attraente per le imprese e per farlo occorre agire, in primis, sui fattori economici. La crisi che abbiamo vissuto è stata terribile ma ha anche dimostrato come il settore industriale continui ad essere l’unica scommessa sicura per il nostro futuro perché senza industria non c’è creazione di ricchezza. In particolare, gli oltre venti milioni di PMI operanti nell’Unione Europea rappresentano un fattore determinante per la crescita, l’occupazione e l’integrazione sociale e questo è ancora più vero in Italia, il Paese europeo che ha il più alto numero di piccole e medie imprese manifatturiere. Per questo è necessario che l’Europa si rimetta sul cammino della crescita: non possiamo rinunciare all’idea di un rinascimento industriale europeo, di un piano per sostenere la competitività delle aziende del mercato interno e di creare nuovi posti di lavoro, soprattutto per i giovani. Serve in primo luogo una politica industriale comune, in grado di modernizzare il tessuto imprenditoriale europeo, mettendolo al passo con la realtà globale e fargli recuperare crescita, lavoro e competitività sulla scena internazionale, armonizzando in particolare le norme sui temi fiscali e del lavoro. Insomma, serve agire con determinazione a livello economico per non sprecare l’enorme potenziale dato da 500 milioni di cittadini e da 13 mila miliardi di euro di PIL. L’enorme potenziale di una generazione imprenditoriale nuova e coraggiosa. Un potenziale che si esprime non violando le regole ma usando tutti gli spazi di flessibilità concessi e cercando di cambiare le regole che non hanno dato risultati. Sappiamo quanto sia difficile trasformare gli anni di rigore in sviluppo, sappiamo il compito duro che ci aspetta, ma sappiamo anche che ne abbiamo le capacità, perché l’Italia rappresenta il Paese che più ha dato al continente europeo in termini di innovazione, credibilità, fiducia.

7) Un piano economico vincente deve essere lungimirante e ha bisogno di una base stabile per potersi sviluppare. Sicuramente il nostro clima politico attuale non rispecchia queste caratteristiche. Certo è, che l’aria di cambiamento si percepisce e il cambiamento spesso può essere un buon punto di partenza: quali sono i punti su cui farete maggior pressione al futuro governo?

Dobbiamo essere ottimisti, ci sono indicatori positivi, c’è la ripresa: lo dicono i numeri. Forse il clima politico è instabile, ma un governo alla fine è stato formato. Comunque la si veda è già un cambiamento essere rappresentati da una nuova classe politica dove trenta-quarantenni come noi hanno ruoli di responsabilità. Per un giudizio naturalmente occorrerà vedere i primi provvedimenti ma come Giovani Imprenditori, al nostro recente Convegno di Rapallo, abbiamo lanciato un appello: i giovani industriali ci sono, vogliamo instaurare un dialogo, essere ascoltati e lavorare insieme per dare un futuro al Paese.

A cura di Claudia Addona e Mario Nocera.

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