giovedì, Marzo 28, 2024
Litigo Ergo Sum

Ordinanza per il pagamento di somme non contestate

L’istituto dell’ordinanza di pagamento di somme non contestate, previsto dall’art. 186 bis c.p.c., rientra nei cosiddetti provvedimenti anticipatori o interinali, ossia provvedimenti sommari (non cautelari) contraddistinti dalla particolarità di innestarsi in un processo a cognizione piena già instaurato, per anticipare, in toto o in parte, gli effetti di una sentenza di accoglimento della domanda.

Fanno parte di questo genus, oltre all’ordinanza di cui si tratta, i provvedimenti ex artt. 186-ter, 423, 666 c.p.c. e quello previsto dall’art. 18, co. 11°-13°, l. n. 300/1970, riguardante l’impugnazione del licenziamento illegittimo.

L’art. 186 bis c.p.c. prevede che il giudice istruttore, sui stanza di parte e fino al momento della precisazione delle conclusioni, può disporre con ordinanza il pagamento delle somme non contestate dalle parti costituite.

Qualora l’istanza sia proposta fuori dall’udienza, si prescrive, in attuazione del principio del contraddittorio, che il giudice disponga la comparizione delle parti, assegnando un termine per la notificazione.

Bisogna, anzitutto, chiarire i presupposti che rendono possibile l’utilizzo di questo provvedimento. In primo luogo, la relativa domanda deve avere ad oggetto il pagamento di una somma di denaro. In secondo luogo, il debitore deve essersi costituito, il che esclude la possibilità che tale ordinanza venga pronunciata nei confronti della parte contumace. Infine, si richiede che il debitore medesimo non abbia contestato una parte della pretesa avversaria.

In relazione a quest’ ultimo punto, è possibile ritenere che oggetto della “non contestazione” siano i fatti costitutivi del diritto di credito e non il diritto o la fondatezza della domanda nel suo complesso. Il che implica il potere-dovere in capo al giudice di verificare la sussistenza del credito, potendo egli anche negare l’ordinanza di condanna nel momento in cui rilevi un fatto impeditivo, estintivo o modificativo del diritto.

La maggiore dottrina, inoltre, ritiene che la “non contestazione” non possa consistere in un comportamento meramente omissivo del preteso debitore, giungendo alla conclusione che l’ordinanza in questione possa essere pronunciata solo quando ci sia un positivo riconoscimento, quantunque implicito, circa la fondatezza (parziale) della domanda. Da ciò consegue che qualunque contestazione, anche fondata su ragioni processuali, vale ad escludere l’ordinanza anticipatoria.

Quanto all’efficacia e al regime di stabilità, tale provvedimento è soggetto alla disciplina delle ordinanze revocabili di cui agli articoli 177, 1°-2° co. e 178 1°co., motivo per cui è revocabile e modificabile nel corso del processo, sia dal giudice istruttore che dal collegio.

Contro l’ordinanza in questione non è esperibile alcuna impugnazione, neppure il ricorso per cassazione straordinario ex art. 111, 7° co. Cost., circostanza che ha sollevato alcuni dubbi di legittimità costituzionale. Difatti, l’ordinanza anticipatoria, non essendo autonomamente impugnabile, potrà essere fatta caducare solo impugnando la sentenza che definisce il giudizio e che assorbe, sostituendola, l’ordinanza in esame, accogliendo o rigettando la domanda.

L’assenza di rimedi per il debitore assume rilevanza soprattutto in quanto il provvedimento di cui all’art 186-bis vale come titolo esecutivo e conserva la sua efficacia in caso di estinzione del processo, prima che questo pervenga alla sentenza.

Quanto a quest’ultima circostanza, parte della dottrina ritiene che il provvedimento, non essendo idoneo al giudicato, non possa fare stato circa l’esistenza del credito e che dunque il debitore possa liberamente esperire una successiva azione mirante ad accertare l’inesistenza di tale credito, potendo egli altresì opporsi all’esecuzione eventualmente promossa sulla base dell’ordinanza.

L’art. 186-bis è stato introdotto dal legislatore del 1990, il quale si è ispirato a quanto già previsto in precedenza, seppure con alcune lacune, dall’art. 423, 1° co. c.p.c. nell’ambito del processo del lavoro. Tale disposizione, difatti, prevede un provvedimento del tutto analogo a quello introdotto con l’art. 186 bis, al quale ultimo si può fare dunque ricorso per integrarne la scarna disciplina.

L’unica sostanziale differenza che intercorre tra i due istituti è ravvisabile nella previsione dell’art 423 c.p.c. secondo cui il giudice può pronunciare l’ordinanza di condanna “in ogni stato del giudizio” e non dunque fino al momento della precisazione delle conclusioni, come diversamente accade nel rito ordinario.

Salvatore Solano

Salvatore Solano, avvocato, ha contribuito a fondare la rivista giuridica "Ius in itinere", con la quale collabora dal 2017. Email: salvatoresolano94@gmail.com

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