giovedì, Aprile 18, 2024
Diritto e Impresa

Orientamenti in materia di fusione inversa per incorporazione

a cura della Dott.ssa Elena Terrizzi

1. L’istituto della fusione

 Ai sensi dell’art. 2501, comma 1, cod. civ. «la fusione di più società può eseguirsi mediante la costituzione di una nuova società (c.d. fusione in senso stretto o propria) o mediante l’incorporazione in una società di una o più altre (c.d. fusione per incorporazione o impropria)». Con il termine “fusione” si intende dunque l’unificazione di due o più società in una sola, comprensiva tanto dei rispettivi patrimoni quanto delle preesistenti compagini sociali. In altri termini, nell’ipotesi di fusione in senso stretto, le società partecipanti al procedimento daranno vita ad un’unica nuova società, mutando al contempo la propria individualità in un nuovo assetto organizzativo; di contro, nella fusione per incorporazione, soltanto alcune delle società preesistenti mutano la propria struttura giuridica, proseguendo la propria attività per il tramite della società incorporante «che resta in vita»[1]. La ratio dell’istituto in esame è dunque quella di promuovere la concentrazione di soggetti giuridici che esercitano attività d’impresa, sì da incrementarne l’efficienza e la competitività sul mercato, evitando al contempo le lungaggini (ed i costi) del ricorso a procedure di liquidazione seguite dalla contestuale costituzione di una nuova società avente la medesima compagine sociale delle preesistenti.

In merito alla natura giuridica di tale istituto è d’uopo precisare che, anteriormente all’intervento di riforma ad opera del d.lgs. 2003, n. 6, la fusione veniva considerata alla stregua di un fenomeno successorio (c.d. successione universale inter vivos), comportante l’estinzione delle società preesistenti con costituzione di una nuova società[2]. Contro l’indirizzo tradizionale della fusione intesa come successione, la dottrina nettamente prevalente[3] e l’orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione[4] sostengono oggi che la fusione non comporti l’estinzione delle società partecipanti al procedimento, consistendo piuttosto in una vicenda meramente evolutiva e modificativa dello statuto sociale. In termini pratici, l’istituto così inteso comporta manifesti vantaggi, anche di natura fiscale, concernenti la continuità dell’attività d’impresa[5].

2. Fusione inversa per incorporazione di società interamente possedute (art. 2505 cod. civ.)

Ai sensi dell’art. 2505 cod. civ., è possibile ricorrere al procedimento di fusione c.d. “semplificata”  nell’ipotesi in cui una società titolare di tutte le azioni o quote di un’altra (società incorporante) incorpori la società interamente posseduta (società incorporata). Alla fusione per incorporazione di società interamente posseduta (c.d. forward merger) non si applicano dunque, per espressa previsione di legge, le disposizioni di cui all’art. 2501-ter, primo comma, nn. 3) (rapporto di cambio), 4) (modalità di assegnazione delle azioni), 5) (data alla quale le azioni o quote parteciperanno agli utili), ed agli artt. 2501-quinquies (relazione degli amministratori sul rapporto di cambio) e 2501-sexies (relazione degli esperti sul rapporto di cambio). La ratio di tale istituto risiede nell’assenza della necessità di determinare il rapporto di cambio delle azioni o quote in quanto la società incorporante è al contempo socio unico (ossia, possiede il cento per cento del patrimonio) della società incorporata. Di conseguenza, assente la previsione del rapporto di cambio, non si ritiene necessaria neanche la redazione delle relazioni da parte degli amministratori e degli esperti, le quali, di regola, sono rispettivamente finalizzate, la prima, a giustificare sotto il profilo giuridico ed economico il progetto di fusione ed in particolare il rapporto di cambio (art. 2501-quinquies), la seconda, a dar conto della congruità del rapporto di cambio delle azioni o delle quote (art. 2501-sexies).

Ci si è chiesti dunque se, ricorrendo ad un’interpretazione analogica, sia possibile estendere la disciplina di cui all’art. 2505 cod. civ. anche ad istituti caratterizzati da una eadem ratio (ossia, dalla non rilevanza del rapporto di cambio), pur non rientranti specificamente nei requisiti di cui al predetto articolo. In tale contesto, risulta particolarmente interessante l’orientamento espresso dal Consiglio Notarile di Milano, secondo cui è legittima l’assunzione di una delibera di fusione ex art. 2505 cod. civ., anche qualora ab origine non sussista il presupposto del possesso totalitario, purchè l’avveramento di tale requisito sia accertato al momento della stipula dell’atto di fusione. In altri termini, la possibilità di procedere alla fase successiva del procedimento di fusione (ossia, alla stipula dell’atto di fusione) è subordinata al verificarsi del presupposto ex art. 2505 cod. civ. (acquisizione del possesso totalitario), il quale potrà dunque realizzarsi come evento futuro rispetto alla delibera di approvazione del progetto di fusione[6], costituendo una condizione sospensiva all’attuazione dell’intera operazione. Conformemente a quanto sinora esposto, il procedimento semplificato di fusione sarebbe applicabile per analogia in tutti quei casi in cui, pur concretandosi uno scambio di azioni o quote, non possa verificarsi una reale variazione della partecipazione dei soci. Nel rispetto dei limiti di cui sopra, si potrà dunque legittimamente ricorrere al principio di analogia nelle ipotesi di: «(a) fusione di due (o più) società interamente possedute da una terza (o comunque da un unico soggetto); (b) fusione di due (o più) società, una delle quali interamente posseduta da una terza, e l’altra posseduta in parte da quest’ultima e per la restante parte dalla prima; (c) fusione di tre (o più) società interamente possedute “a cascata” (A possiede il 100% di B, la quale possiede il 100% di C); (d) fusione di due (o più) società i cui soci siano i medesimi, secondo le medesime percentuali ed i medesimi diritti; (e) fusione per incorporazione (c.d. “inversa”) della società controllante nella controllata interamente posseduta»[7].

Ai fini della nostra analisi, è oggi pacifico l’orientamento – avallato da parte della prevalente dottrina[8] e della costante giurisprudenza – secondo cui si legittima l’applicazione estensiva dell’art. 2505, comma 1, cod. civ. anche  alle ipotesi di fusione inversa (c.d. reverse merger), vale a dire per il caso in cui la società interamente controllata (es. Beta S.p.A.) incorpori la società controllante (es. Alfa S.p.A.)[9]. Nella prassi, la ratio del ricorso a tale istituto si giustifica principalmente in merito alla rilevanza della quotazione in borsa delle società interessate, nonché alla particolare composizione del patrimonio della società controllata (si pensi, ad esempio, alla sussistenza di rapporti intrasmissibili o di beni per i quali devono essere rispettate specifiche formalità di iscrizione)[10]. Mediante l’istituto di fusione inversa, ai soci della società controllante-incorporata (nel nostro esempio, Alfa S.p.A.) verranno dunque attribuite proporzionalmente le azioni o quote della società controllata-incorporante (Beta S.p.A.) in sostituzione delle partecipazioni dai primi anteriormente possedute, le quali saranno di conseguenza annullate. Più nello specifico, poiché nel patrimonio della società controllante-incorporata (Alfa S.p.A.) è presente il cento per cento delle azioni della società controllata-incorporante (Beta S.p.A.), quest’ultima, a seguito della fusione inversa per incorporazione, assegnerà ai soci della società controllante-incorporata (Alfa S.p.A.) le azioni (proprie) che precedentemente componevano il patrimonio della società incorporata. Di conseguenza, l’operazione si concretizza mediante l’assegnazione di azioni (proprie della società controllata-incorporante), senza che sia ex se necessario alcuno specifico aumento del capitale sociale. In estrema sintesi è lecito desumere che, nelle ipotesi in cui non vi sia ragione di temere che la fusione possa comportare una lesione della consistenza della partecipazione dei soci delle società partecipanti al procedimento, non vi è ragione di predeterminare un apposito rapporto di cambio, in quanto i soci della società incorporata diverranno titolari di azioni o quote della società incorporante in misura proporzionalmente uguale a quella di cui essi erano anteriormente titolari (nella società incorporata). In altri termini, l’unificazione dei patrimoni delle società interessate dalla fusione garantirà che il valore effettivo della partecipazione sociale non subisca pregiudizievoli variazioni[11].

3. Fusione inversa per incorporazione di società possedute al novanta per cento (art. 2505-bis civ.)

Maggiori difficoltà concernenti l’estensione analogica del procedimento semplificato sussistono in materia di fusione inversa per incorporazione di società possedute al novanta per cento. Ai sensi dell’art. 2505-bis, comma 1, cod. civ. «alla fusione per incorporazione di una o più società in un’altra che possiede almeno il novanta per cento delle loro azioni o quote non si applicano le disposizioni degli articoli 2501-quater, 2501-quinquies, 2501-sexies e 2501-septies, qualora venga concesso agli altri soci della società incorporata il diritto di far acquistare le loro azioni o quote dalla società incorporante per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso». Diversamente da quanto previsto nell’ipotesi di cui all’art. 2505 cod. civ., la fattispecie semplificatoria in esame esclude dunque la necessità di una situazione patrimoniale aggiornata (art. 2501-quater), della relazione degli amministratori (art. 2501-quinquies),  della relazione degli esperti (art. 2501-sexies) nonché del deposito degli atti di cui all’art. 2501-septies, salva l’espressa previsione di un correttivo che garantisca il diritto di exit. La posizione dei soci di minoranza subisce dunque un sacrificio nei termini in cui, da un lato, si attribuisce agli stessi il diritto di conoscere il rapporto di cambio proposto con il progetto di fusione, dall’altro, tuttavia, essi non saranno legittimati ad ottenere la relazione redatta dagli esperti in merito alla congruità del predetto rapporto di cambio. In altri termini, ai sensi dell’art. 2505-bis, i soci di minoranza di una società controllata da altra società almeno per il novanta per cento devono necessariamente godere del diritto di far acquistare le proprie azioni o quote dalla società incorporante, ma sarà ben possibile (e lecito) che, in assenza di una valutazione di congruità disposta dagli esperti, il valore di vendita/acquisto, pur determinato nel rispetto dei criteri stabiliti per il recesso, sia tuttavia inferiore al valore effettivo delle partecipazioni stesse. I profondi contrasti sorti in dottrina circa la possibilità di estendere per analogia l’applicazione di tale disciplina derivano pertanto dalla peculiarità dell’istituto in esame (ossia, dal predetto possesso quasi-totalitario). Secondo un orientamento[12], l’eccezionalità della norma non renderebbe applicabile il principio di analogia né alle ipotesi di fusione propria (mediante creazione di una nuova società), né a quelle di fusione inversa per incorporazione (mediante incorporazione della società controllante da parte della controllata), potendosi tuttavia ricorrere a tale strumento in via diretta nell’ipotesi in cui il requisito del possesso quasi-totalitario sussista per il tramite di una società fiduciaria[13]. Di contro, l’orientamento della dottrina minoritaria[14]  – e per taluni, indirettamente, anche del Consiglio Notarile di Milano[15] – ritiene che le medesime osservazioni generali favorevoli ad un’interpretazione analogica ed estensiva dei procedimenti di semplificazione (di cui al paragrafo precedente) possano applicarsi  anche all’istituto in esame. In altri termini, secondo l’opinione di chi aderisce a tale ultimo orientamento minoritario, il procedimento di cui all’art. 2505-bis cod. civ. sarebbe applicabile non solo alle ipotesi in cui una società sia posseduta al novanta per cento a mezzo di società fiduciaria o per interposta persona, bensì anche nell’ipotesi in cui la società posseduta al novanta per cento (c.d. società controllata-incorporante) incorpori in via diretta la società che possiede il novanta per cento del suo capitale (c.d. società controllante-incorporata). In tal modo, si legittimerebbe dunque il ricorso ad una fusione inversa per incorporazione anche in assenza del requisito del controllo totalitario di cui all’art. 2505 cod. civ.

4. Conclusione

In considerazione dei rilievi di cui sopra, se da una parte è pacifico l’orientamento che ammette l’applicabilità per analogia del procedimento semplificato ex art. 2505 cod. civ., dall’altro, l’opportunità di accogliere o meno l’estensione analogica della disciplina di cui all’art. 2505-bis cod. civ. dipenderà dunque dal modo in cui si intende interpretare e risolvere il difficile bilanciamento di interessi intercorrente tra società e soci. Ciò in quanto, in assenza di un orientamento pacifico sul tema, è lecito ritenere che l’esclusione della relazione degli esperti (prevista dell’art. 2505-bis cod. civ.) sia suscettibile di arrecare un potenziale pregiudizio nei confronti della posizione dei soci di minoranza, i quali vedranno sì garantirsi il diritto alla conoscenza del rapporto di cambio proposto nel progetto di fusione, ma non quello di far acquistare le proprie azioni o quote dalla società incorporante per un corrispettivo pari al loro valore effettivo.

[1] CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2009, 640; si veda anche SANTAGATA-SCOGNAMIGLIO, Fusione e scissione, Torino, 2004.

[2] Cfr. Cass. 22 marzo 2010, n. 6845, in Red. Giust. Civ. Mass. 2010, 3: «Nel regime precedente alla modifica dell’art. 2504-bis cod. civ. ad opera del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, la fusione di società determina una situazione giuridica corrispondente alla successione universale e produce l’estinzione delle società partecipanti alla fusione o della società incorporata […]»; Cass. Civ. S.U., 28 dicembre 2007, n. 27183, in Foro.it, 2008, 10, 2920: «La fusione di società mediante incorporazione avvenuta prima della riforma del diritto societario […] realizza una situazione giuridica corrispondente a quella della successione universale e produce gli effetti, tra loro indipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione, nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo a questa, della società incorporante […]».

[3] Sul punto, MAGLIULO, La fusione delle società, Milano 2005, 1 ss.; GUERRERA, Trasformazione, fusione e scissione, in Diritto delle società, Milano, 2003, 456; GENGHINI-SIMONETTI, Le società di capitali e le cooperative, 2015, II, 1300. Dello stesso orientamento anche la prassi notarile: ATLANTE, La fusione, in Consiglio nazionale del notariato. Studi e materiali, Milano, Supplemento 1/2004, 481 ss.; Comitato Triveneto dei Notai, massima L.A.21 (Ammissibilità della fusione “propria” a favore di una società di persone di nuova costituzione con unico socio).

[4] Cass. S.U. 2006, n. 2637, in Rivista del Notariato, 2006, 1136: «[…] la fusione tra società non determina, in ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di funzione paritaria […] risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo».

[5] CAMPOBASSO, ibidem.

[6] L’orientamento in merito alla possibilità di adottare validamente una delibera di fusione ex art. 2505 cod. civ., pur nella momentanea assenza del presupposto della partecipazione totalitaria è accolto anche dal Comitato dei Notai del Triveneto, massima L.A.4 (Sussistenza dei requisiti per le fusioni semplificate): «Possono legittimamente essere adottate le delibere di fusione utilizzando le procedure semplificate previste dagli artt. 2505 e 2505 bis c.c., anche nel caso in cui al momento di tali delibere non sia ancora posseduto dall’incorporante rispettivamente l’intero o il 90% del capitale dell’incorporata. Tale possesso deve infatti necessariamente sussistere solo al momento della stipula dell’atto di fusione».

[7] Consiglio Notarile di Milano, massima n. 22 (Presupposti della procedura semplificata della fusione).

[8] MAGLIULO, La fusione di società, cit., 368 ss.; CAMPOBASSO, Diritto commerciale, cit. 648.

[9] Si veda sul punto l’orientamento del Comitato Triveneto dei Notai, massima L.A.5 (Fusione inversa semplificata): «La procedura semplificata di fusione di cui all’art. 2505 c.c. può essere attuata anche nel caso della cosiddetta “fusione inversa”, nell’ipotesi cioè in cui l’incorporante sia interamente posseduta dall’incorporata».

[10] SPOLIDORO, Effetti patrimoniali e rappresentazione contabile della fusione inversa, in Le Società n. 3/2000, 334.

[11] BONFANTE-DE ANGELIS-SALAFIA, Società di persone – Società di capitali – Cooperative – Consorzi – Start Up, V, 2017, 2360.

[12] GENGHINI-SIMONETTI, Le società di capitali e le cooperative, cit., 1377.

[13] Sul punto MAGLIULO, La fusione delle società, cit., 594 ss.

[14] Si veda BONFANTE-DE ANGELIS-SALAFIA, Società di persone – Società di capitali – Cooperative – Consorzi – Start Up, V, 2017, 2362; CIAN-TRABUCCHI, Commentario breve al Codice Civile, 2018, 3182.

[15]Consiglio Notarile di Milano, massima n. 98 (Incorporazione di società posseduta al novanta per cento dalla controllante totalitaria dell’incorporante).

Dott.ssa Elena Terrizzi

Dottoranda in Diritto e Impresa presso la LUISS Guido Carli.

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