giovedì, Marzo 28, 2024
Criminal & Compliance

Parafilie, disturbi parafilici e omicidi seriali

Introduzione.

Affrontare il discorso sulle parafilie e disturbi parafilici è alquanto complesso. Si è spesso portati ad associare determinati fatti, aberranti ai più, agli omicidi seriali, nella convinzione che certi racconti possano provenire solo da persone palesemente e deliberatamente distanti dalla nostra concezione di vissuto quotidiano, oppure da persone spiccatamente istrioniche e bizzarre. Eppure, spesso, all’interno di un setting di psicoterapia, vengono proposti racconti da persone che hanno fantasie molto particolari e ricorrenti, che diventano vere e proprie ossessioni, tanto da non permettere loro di vivere una quotidianità in modo sano. Molte volte si tratta di persone che fanno parte della nostra quotidianità, delle quali mai ci sfiorerebbe l’idea che possano nascondere pensieri che li tormentano in continuazione. Cercheremo di comprendere quali siano gli aspetti psicopatologici della sessualità, le sue molteplici sfaccettature ed il grado di intensità della manifestazione di certi comportamenti sessuali che sfociano talvolta in un disturbo vero e proprio.

Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, nella sua IV edizione (DSM-IV-TR[1]) fornisce una descrizione di parafilie e disfunzioni sessuali. Le parafilie, che in precedenza erano definite “perversioni sessuali”, vengono qui descritte come caratterizzate da “fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti sessualmente, che si manifestano per un periodo di almeno sei mesi” e che riguardano in generale:

  1. oggetti inanimati;
  2. la sofferenza o l’umiliazione di se stessi o del partner;
  3. bambini o altre persone non consenzienti.

Il DSM-5[2] invece effettua la distinzione tra parafilie e disturbi parafilici. Ed è proprio questa la differenza più rilevante tra le due edizioni. Il DSM-5 inoltre, rispetto alla precedente versione, sottolinea segnatamente la natura non patologica delle parafilie, considerandole come una tendenza, più che una malattia, cioè come il risultato di un atteggiamento. Il manuale si focalizza poi principalmente sulle caratteristiche della persona affetta dai disturbi parafilici, più che sui comportamenti messi in atto, mentre in precedenza l’accento era posto soprattutto sugli atteggiamenti e gli atti posti in essere dal soggetto, con focus specifico sul pedofilo e sulle modalità di adescamento dei minori, delle specificità dell’abuso e dell’ottenimento del silenzio da parte della vittima.

Sarà importante rilevare la considerazione in tema di imputabilità alla luce della distinzione, operata dal DSM-5, tra disturbi prafilici e parafilie.

Parafilie e disturbi parafilici: inquadramento nosografico.

Per parafilia si intende “qualsiasi intenso e persistente interesse sessuale diverso dall’interesse sessuale per la stimolazione genitale o i preliminari sessuali con partner umani fenotipicamente normali, fisicamente maturi e consenzienti”.

Alcune parafilie pongono l’accento sul tipo di pratica messa in atto, riguardano cioè l’attività sessuale del soggetto in interazione con altri soggetti, come ad esempio tagliare, legare, strangolare oppure concernono la predilezione del soggetto per attività inconsuete, come il voyerismo o il frotteurismo. Altre, invece si contraddistinguono per il fatto di porre l’attenzione sessuale verso determinate categorie di persone, come ad esempio bambini, cadaveri, animali, soggetti mutilati, oppure per la predilezione per un oggetto atipico. Casistica, quest’ultima, che comprende non solo la partica del travestitismo o il feticismo, ma anche quei comportamenti criminali legati al tema della pedofilia, che resta una delle pratiche più attenzionate e studiate da sempre, ma per la quale, tuttavia, risulta ancora impossibile delineare un profilo psicologico del soggetto pedofilo.

Disturbo mentale: sindrome caratterizzata da alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, emozionale o comportamentale di un individuo, che riflette una disfunzione nei processi psicologici, biologici o evolutivi che sottendono il funzionamento mentale.

La parafilia sostanzialmente non è un disturbo mentale[3], ma si tratta di una scelta soggettiva, condivisibile o meno, dell’oggetto sessuale. Tale scelta implica l’esclusione del coito classico tra due persone, prevedendo invece un piacere sessuale derivato da canali sessuali differenti rispetto all’accoppiamento consueto, come quello del coito.

Si tratta quindi di un comportamento sessuale atipico, laddove il concetto di atipicità è delineato entro un perimetro tracciato da dati statistici, in quanto una fantasia persistente può rappresentare una atipicità per alcuni, ma non può essere un concetto dal significato univoco ed universalmente valido allo stesso modo per tutti. La parafilia è egosintonica, la persona, cioè, vive il suo mondo sessuale in modo naturale, non sente il bisogno di doverlo cambiare, ma anzi, se così fosse, avvertirebbe degli squilibri.

Il campanello d’allarme si accende nel momento in cui la parafilia diventa la modalità esclusiva relativamente al modo di vivere la propria sessualità. Si passa dal concetto do egosintonia a quello di egodistonia.

Il disturbo parafilico viene descritto, nel DSM-5, come “una parafilia che, nel momento presente, causa disagio o compromissione dell’individuo o una parafilia la cui soddisfazione ha arrecato, o rischiato di arrecare, danno a se stessi o agli altri”[4].

La parafilia è condizione necessaria, ma non sufficiente per considerare il soggetto come affetto da disturbi parafilici; laddove però subentri una dipendenza da certe pratiche, il comportamento parafilico diventa egodistonico e si passa dunque dal termine parafilia a quello di disturbi parafilici veri e propri. Nel primo caso, il soggetto vive la sessualità in modo egosintonico, senza che ciò comporti l’intervento clinico, la persona non avverte infatti la necessità di essere supportato, trattandosi di un piccolo “vezzo” che non rende invalidante il suo modo di vivere. Nel secondo caso invece la trasgressione non è più di lieve entità, il soggetto sente di non riuscire a gestire la propria trasgressione, avvertendo invece la necessità di metterla in atto sempre più spesso, diventando l’unico modo che ha per vivere la propria sessualità. In tal caso egli comprende che la situazione sia invalidante per se stesso, ma il fulcro del problema sta nel fatto che talvolta essa diventi invalidante e devastante anche sull’altro. Il problema dunque sta laddove vengano oltrepassate e violate le libertà dell’altro.

Di conseguenza si può affermare che la pedofilia può essere considerata rientrante tra le parafilie, mentre il disturbo pedofilico si ritiene facente parte del disturbi parafilici. Per poter diagnosticare i disturbi parafilici si fa riferimento ai cluster A e B del DSM-5, i quali devono coesistere e che specificano rispettivamente la natura qualitativa della parafilia l’uno e le conseguenze negative della stessa l’altro. Laddove uno dei due criteri non sia presente, si parlerebbe solo di parafilia. Specificatamente il criterio A valuta il livello di compromissione del funzionamento del sé e del funzionamento interpersonale (empatia e intimità, durata, capacità di instaurare relazioni); il criterio B valuta invece la presenza di uno o più tratti patologici della personalità (che tengono conto dei domini patologici di personalità e cioè: distacco, affettività negativa, antagonismo, disinibizione, psicoticità).

Dal momento che, per poter diagnosticare un disturbo pedofilico, è necessaria la sussistenza di un forte disagio o di difficoltà relazionali, ci si domanda se, potendo la parafilia potenzialmente evolversi in un disturbo vero e proprio, potrebbe incidere sulla capacità di intendere e di volere, portando addirittura all’esclusione dell’imputabilità.

Per tentare di fornire una risposta è interessante rilevare la distinzione, operata dal DSM-5, tra soggetti con interesse pedofilico e soggetti affetti da disturbo pedofilico, basata sul tipo di reazione emotiva e sociale che causa la presenza di quella parafilia sulla persona agente o abusante.

Se gli individui lamentano anche difficoltà psicosocialicaratterizzate dalla loro attrazione o preferenza sessuale per i bamnbini, può essere loro diagnosticato il disturbo pedofilico. Tuttavia, se riferiscono l’assenza di sentimenti di senso di colpa, vergogna o ansia riguardo a questi impulsi e di non essere funzionalmente limitati dai loro impulsi parafilici (secondo quanto dallo stesso riferito, da valutazione oggettiva, o da entrambe le cose) e i loro stessi resoconti e la loro anamnesi psichiatrica o giudiziaria documentata indicano che essi non hanno mai agito spinti dai loro impulsi, allora questi individui hanno un interesse sessuale pedofilico ma non un disturbo pedofilico”.[5]

Alla luce di queste peculiarità e distinzioni che caratterizzano comportamenti e personalità del soggetto parafilico, si può dedurre esservi anche una conseguente differente valutazione in sede di esame di colui che ha tenuto la condotta perversa?

È cruciale rimarcare il concetto che verità processuale e verità clinica non possono in alcun modo coincidere, posto che i parametri giuridici sono assolutamente distinti da quelli psicologici, sia contenutisticamente parlando, che in relazione alle metodologie e competenze valutative richieste.

Ragionando in termini giuridici, infatti, i disturbi parafilici possono essere diagnosticati laddove il soggetto abbia messo in atto la propria perversione, non rilevando invece la mera presenza di istinti parafilici, seppur disagianti a livello interpersonale, in soggetti che tuttavia non compiono reati sessuali. All’opposto, invece, in termini psicologici, secondo il DSM-5, suddetta diagnosi potrà essere formulata anche nei confronti di individui che non abbiano concretizzato la molestia, ma che avvertano anche solo un disagio e vivano la loro situazione a livello interpersonale in modo invalidante.

In sede processuale, dunque, la funzione di analisi del comportamento sessuale, attuata clinicamente tramite strumenti diagnostici aventi la pretesa di predire determinate condotte, sarà limitata a comprendere la presenza o meno di certe fantasie o perversioni nel soggetto esclusivamente a scopi preventivi nella fase di accertamento della pericolosità sociale e valutativi della capacità di controllare le proprie tentazioni sessuali.

Parafilie e disturbi parafilici: uno sguardo al funzionamento in Italia.

Sebbene risulti complesso affrontare l’argomento sulle condotte sessualmente devianti, non si può prescindere dall’affrontare il discorso su livelli differenti, destinati spesso ad intersecarsi: naturalistico-biologico, sociologico e giuridico.

Comportamenti che appaiono “appropriati” secondo una visione naturalistica, potrebbero non esserlo da un punto di vista sociologico, in quanto contrastanti con i valori, la morale ed il costume vigenti in una certa epoca storica all’interno di una società, configurandosi dunque come condotte sessualmente devianti.

La terza dimensione, quella giuridica, considera i delitti e i crimini sessuali come quell’insieme di azioni indotte da spinta sessuale che configurano fattispecie contraria alla legge penale. Le parafilie sono dunque qualificate come tali secondo una prospettiva medica, non morale.

Nel nostro Paese si presenta un grosso problema a livello di sfera di competenza riguardo la gestione del disturbo pedofilico. Alcuni ritengono, infatti, che il sistema giudiziario debba essere il solo a poter trattare gli autori di reati sessuali, escludendo in tal senso l’ambito psichiatrico. La preoccupazione sottesa è che si potrebbe di fatto giungere ad un utilizzo della diagnosi psichiatrica di disturbo parafilico ai fini dell’esclusione della colpevolezza per infermità mentale, o quantomeno a discolpa, in favore di soggetti che abusano sessualmente di adolescenti o bambini. In sostanza non è compito del DSM-5 stabilire trattamenti e sistemi punitivi nei confronti dei soggetti con disturbi pedofilici, ma, “come per altri disturbi spesso associati a comportamenti nocivi, la diagnosi di disturbo pedofilico ha semplicemente lo scopo di identificare in modo sistematico un insieme di persone con disagio e/o disfunzione di pensieri, sentimenti, impulsi e comportamenti simili”.[6]

Sostanzialmente, il DSM-5, operando la distinzione tra parafilia e disturbo parafilico, resta uno strumento indispensabile ai fini valutativi della condotta sessuale e di comprensione del livello di perversione della personalità utili per elaborare una perizia psichiatrica. In questa logica, infatti, si potrà rilevare il differente rischio di recidiva in individui con parafilie o in coloro che sono affetti da un disturbo vero e proprio. Tuttavia, è fondamentale sottolineare come il sistema penale italiano, nell’irrorare la pena, si basi imprescindibilmente sul fatto commesso, considerando invece la personalità dell’offender esclusivamente per poter definire tipologia e qualità di pene applicabili. I soggetti affetti da parafilie o disturbi parafilici sono, nel nostro sistema, considerati non affetti da infermità mentale, dunque capaci di intendere e volere e quindi in grado di autodeterminarsi.

Da un punto di vista criminologico, è interessante notare come nella quasi totalità dei casi, i soggetti parafilici non vivano tale condizione come una malattia, ragione per cui chi commette un reato di questo genere è considerato capace dal punto di vista del diritto penale, quindi responsabile ed imputabile, escludendosi dunque la sussistenza di malattie mentali.

Classificazione all’interno del DSM 5.

Sono due gli orientamenti verso cui il soggetto parafilico si può spingere: la predilezione per attività inconsuete oppure la predilezione per un oggetto atipico.

  1. Predilezione per attività inconsuete
  • Diturbi del corteggiamento: voyerismo, esibizionismo, frotteurismo (necessità di avvicinarsi ad altra persona e toccarla, senza che ciò comporti penetrazione o altro tipo di scambio fisico)
  • Disturbi algolagnici: pratiche sessuali che implicano dolore fisico o mentale, quali il masochismo sessuale ed il sadismo sessuale.

È bene specificare che l’altra persona non è consenziente, in quanto, se lo fosse, si parlerebbe di parafilia (una sorta di gioco di ruoli tra due persone che accettano di mettere in atto fantasie sessuali atipiche) e non di disturbi parafilici.

  1. Predilezione per l’atipicità dell’oggetto. Comprende sia l’attenzione rivolta verso un altro essere umano (disturbo pedofilico), sia quei casi in cui l’attenzione è rivolta altrove (disturbo feticistico e disturbo da travestitismo).

Dalla fantasia al crimine sessuale.

I crimini di natura sessuale derivano dalla fantasia di un criminale, ma solo alcune di queste fantasie diventano atti criminosi; quindi, l’avere fantasie atipiche non significa automaticamente essere un criminale sessuale. Quest’ultimo, infatti, spingendosi ben oltre la soglia della fantasia, passa alla pratica, quale conseguenza di frustrazione intensa derivante a sua volta da sentimenti di odio e necessità di affermazione del proprio potere, come una sorta di illusorio controllo sull’altro.

È proprio il prolungamento della sofferenza della vittima ad essere fonte di piacere per l’assassino, che spesso fantastica a lungo sulla messa in atto e sulle modalità di uccisione, atto, quest’ultimo, che altro non è che la conclusione di un percorso che lo porta alla scelta di una vittima ben precisa.

Tra le principali perversioni sessuali che caratterizzano gli omicidi seriali vi sono:

  • Sadismo sessuale, laddove il piacere deriva dal dolore mentale o fisico inflitto all’altro non consenziente, con lo scopo di provocare sofferenza nella vittima.
  • Masochismo sessuale, a differenza del precedente, il piacere deriva dal subire dolore fisico o mentale e dalla sottomissione sessuale, come in una sorta di bisogno inconscio di punizione.
  • Zoosadismo, forma di sadismo in forza della quale il piacere deriva dall’inflizione di dolore (o dal guardare infliggere) oppure dall’uccidere un animale.
  • Depezzamento e feticismo, il piacere origina dal fare a pezzi il cadavere di una persona e successivamente prelevarne parti di esso. Il serial killer feticista, infatti, asporta e conserva parti del corpo solitamente zone erogene, quali i genitali oppure il seno. Questi feticci gli consentono di rivivere l’evento criminoso, prolungando il suo piacere che, una volta esaurito e svanito il ricordo, lo costringono ad una nuova caccia.

Conclusioni.

Si rileva dunque che i soggetti parafilici, con predilezioni sessuali atipiche, non sono quasi mai affetti da malattie mentali, come spesso si è portati a credere. Così come già in precedenza approfondito[7], colui che commette omicidi non è il folle che, proprio perché tale, statisticamente non commette un numero maggiore di crimini rispetto a chi è sano di mente. Parimente, un criminale sessuale non è da identificarsi con un soggetto affetto da perversioni sessuali. Più spesso invece si è portati a giungere a tali affermazioni come a voler prendere le distanze da certi reati aberranti ed efferati, rischiando di tacciare gli individui come malati di mente, che invece malati non sono affatto, rischiando al contrario di avvalorare un’ideologia che potrebbe portare all’esclusione della punibilità proprio a causa della considerazione dello stato di infermità mentale. Non è quindi corretto ritenere che gli istinti sessuali devianti o deviati, che sono alla base delle parafilie, siano più irresistibili ed intensi di quelli sociologicamente e biologicamente riconosciuti, volgarmente definiti “normali”.

[1] American Psychiatric Association, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quarta Edizione, Text Revision, DSM-4-TR, Milano, Elsevier Masson, 2007.

[2] American Psychiatric Association, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta Edizione, DSM-5, Milano, Raffaello Cortina, 2014, p. 795-813.

[3] Per disturbo mentale si intende quella sindrome caratterizzata da alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, emozionale o comportamentale di un individuo, che riflette una disfunzione nei processi psicologici, biologici o evolutivi che sottendono il funzionamento mentale.

[4] ibidem

[5] APA, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali: DSM-5. Ed. italiana a cura di Massimo Biondi, Milano, Raffaello Cortina editore, 2014, p. 811

[6]  Barnhill, J.W. (a cura di) DSM-5 Casi clinici cit., p.401.

[7]Articolo disponibile qui https://www.iusinitinere.it/follia-non-e-malvagita-e-malvagita-non-e-follia-linsussistenza-del-raptus-omicida-39396

Elisa Teggi

Laureata all'Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza nel 2006 con tesi intitolata "Il licenziamento del dirigente", ha in seguito indirizzato la propria carriera lavorativa in diversi ambiti che le hanno fornito esperienza, soprattutto grazie al contatto costante con persone e ragazzi, mantenendo un forte interesse per l'ambito criminologico. Questo l'ha portata a voler conseguire ulteriore laurea in Criminologia con tesi dal titolo "Staging ed occultamento di cadaveri", nel 2021, per poter indirizzare completamente il proprio lavoro in questa direzione. Attualmente lavora nel territorio piacentino in ambito criminologico - sociale, di prevenzione delle condotte devianti, in contatto con il servizio sociale, occupandosi specificatamente dei minori. Esperta di Scienze Forensi, si mantiene in costante aggiornamento e continua formazione su aspetti forensi e criminologici, prestando attenzione, in chiave critica, ai processi mediatici, cercando di interpretare le motivazioni sottese al fenomeno. La frase che funge da sfondo ad ogni suo lavoro è: "Non si tratta di fascinazione del male, si tratta di dare centralità alla persona, alla vittima e alle cause devianti, studiando il criminale prima del crimine, il folle prima che la follia, con l'obiettivo di rieducare e reintrodurre in società. Dalla parte della giustizia sempre e per sempre".

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