lunedì, Marzo 18, 2024
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Paternità legale e principio del favor veritatis

Il rapporto di filiazione viene a crearsi per effetto del concepimento o in conseguenza di un altro fatto idoneo a stabilire un vincolo assimilabile a quello derivante dalla procreazione. Il rapporto di filiazione ha subito per effetto della legge n. 219/2012 una profonda modificazione volta ad unificare gli effetti che da esso derivano: invero, la riforma de qua sostituendo il precedente articolo 315 del codice civile con quello recente ha equiparato i figli legittimi a quelli naturali.

Secondo l’orientamento dottrinale maggioritario il sistema della filiazione sarebbe ancora caratterizzato da rilevanti differenze quanto al regime del figlio nato fuori dal matrimonio ovvero in costanza di esso, riscontrandosi una unificazione tra le due categorie soltanto in relazione alla disciplina dei diritti e dei doveri dei figli ex art. 315 ter c.c., nonché al regime di responsabilità genitoriale ex articoli 316 e 337 ter c.c., permanendo al contrario forti divergenze sulle regole dell’attribuzione dello status di figlio e sulle azioni di Stato a tutela di esso. Tale orientamento dottrinale volto ad evidenziare la sostanziale differenza nell’attribuzione dello status filiationis a seconda della nascita o meno nell’ambito del rapporto di coniugio si fonderebbe sul principio di presunzione di paternità, che attribuirebbe un ruolo preminente al padre legale rispetto al padre biologico laddove si instauri un vincolo matrimoniale[1]. Questa distinzione sarebbe avvalorata dall’articolo 30 della Costituzione che, rimettendo al legislatore il compito nell’individuare le norme inerenti alla ricerca della paternità, non andrebbe a privilegiare né la figura del padre legale né quella del padre biologico.

 Al contrario, sarebbe il legislatore codicistico a dettare una disciplina di maggior favore per il riconoscimento del figlio da parte del padre legale, intendendosi per esso colui che pur in assenza di un legame biologico viene riconosciuto tale dalla legge in base all’operare di una presunzione legale,laddove sussistano determinate condizioni.  Invero, ciò andrebbe desunto dall’articolo 231 del codice civile che contiene il principio di presunzione di paternità del marito, ritenuto ex lege padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio.

Ne deriva che in forza della disposizione de qua, il figlio nato o concepito in costanza di matrimonio sia ex lege figlio del coniuge, prescindendo così dalla paternità biologica e quindi dalla verità di essa.

Tale fenomeno di divergenza tra il legame biologico e quello di paternità legittima si verificherebbe anche nell’ambito della filiazione adottiva: in tal caso, pur mancando  un collegamento biologico coi genitori, per effetto dell’atto di adozione non si porrebbe alcuna problematica circa il riconoscimento o meno del figlio, atteso che in presenza di tale atto pur essendo incontestato che il genitore non è legato da alcun vincolo biologico, l’atto di adozione farebbe prevalere il vincolo giuridico con esso realizzatosi e per l’effetto eliminerebbe ogni pretesa del presunto genitore biologico a rivendicare tale status, potendo soltanto il figlio ricercare le proprie origini nei modi e nei limiti garantiti dalla legge e secondo i principi affermatisi a livello europeo.

Pertanto, l’ordinamento ammette il configurarsi di una paternità legale che non necessariamente coincide con quella biologica, e quindi una figura paterna che non necessariamente corrisponde a quella dell’autore dell’atto procreativo, pur riconoscendo a quest’ultimo idonee azioni da esperire al fine di veder riconosciuto il proprio diritto allo status di padre. Tuttavia, nell’impianto del codice civile sembrerebbe prevalere lo stato soggettivo del padre legale proprio in virtù della presunzione ex art. 231 c.c.: tale presunzione è stata peraltro ampliata dal legislatore con il d.lgs. n. 154/2013 che ha inteso come figli del coniuge non soltanto quelli che sono stati concepiti o sono nati in costanza di matrimonio, ma anche quelli concepiti nei 180 giorni prima della celebrazione di esso. Nel medesimo senso depone l’articolo 323 c.c. che estende la presunzione di paternità legale anche laddove il figlio sia nato quando non sono ancora trascorsi 300 giorni dall’annullamento, dallo scioglimento e dalla cessazione degli effetti del matrimonio. Sicché, emergerebbe dal codice civile la chiara tendenza del legislatore a favorire l’acquisizione dello status di figlio legale e quindi a favorire la figura del padre legale laddove l’individuo sia nato in costanza di un rapporto di coniugio o comunque nell’immediata vicinanza temporale di esso, del suo annullamento o scioglimento, senza necessariamente richiedere la coincidenza di esso con la figura del padre biologico.

 A sostegno della discrasia tra il riconoscimento di qualità di padre legale e quella di padre biologico porrebbe il raffronto tra la norma dell’articolo 250 del codice civile in tema di riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio e quella dell’articolo 231 del codice civile: soltanto nel primo caso, non operando alcuna presunzione di paternità ex lege, il padre biologico sarà gravato ai fini del riconoscimento dalla necessaria sussistenza del consenso del minore che abbia compiuto più di quattordici anni, ovvero di quello della madre nel caso quest’ultimo sia infraquattordicenne, sempre che ciò non sia pregiudizievole del supremo interesse del minore. Sulla base di ciò, autorevole dottrina ha desunto la volontà del legislatore di far prevalere la figura del padre legale anche al fine di preservare la stabilità dei rapporti famigliari venutisi a formare pur in assenza di un’effettiva paternità biologica, ritenendo che non sempre il favor veritatis, e quindi la verità biologica siano il modo migliore per preservare l’interesse del minore. In virtù della prevalenza di tale ultimo principio che va sempre assicurato, l’articolo 244 del codice civile comma sesto prevede che l’azione di disconoscimento della paternità possa essere promossa altresì da un curatore speciale nominato dal giudice, su istanza del figlio minore che ha compiuto quattordici anni ovvero del pubblico ministero o dell’altro genitore, laddove il figlio sia minore. Questa disposizione in passato veniva invocata dalla giurisprudenza per fondare l’interesse del minore, il quale veniva a coincidere esclusivamente con la verità biologica e dunque con l’effettiva conoscenza delle proprie origini biologiche.

Infatti, va osservato che in precedenza la giurisprudenza della Corte Costituzionale[2]ha avuto modo di pronunciarsi sull’argomento con due differenti pronunce dalle quali emergerebbe una tendenza della giurisprudenza ad avallare l’identità biologica, intesa come diritto soggettivo fondamentale del genitore a vedersi attribuita la genitorialità come forma di espressione dell’individuo nella società ove la sua personalità si esplica richiamandosi così all’art 2 della Costituzione, ed al contempo ha affermato la necessità di far prevalere la verità materiale su quella giuridica e quindi il diritto dell’individuo a vedersi attribuita un’identità biologica veritiera come irrinunciabile componente della sua identità individuale, dovendosi in concreto assicurare la coincidenza tra lo status di padre biologico e quello di padre legittimo. La Corte Costituzionale in tale occasione sottolineava altresì la necessità del legislatore di intervenire sulla disciplina delle azioni volte ad assicurare il corretto emergere dell’identità biologica, attesa la disciplina di maggior favore nei confronti del padre legittimo e l’impossibilità del padre biologico di procedere al riconoscimento del minore infraquattordicenne in assenza dell’assenso della madre di questi, prospettandosi un vulnus del diritto alla difesa costituzionalmente garantito ex articolo 24 Cost.,  e quindi di un diritto, quale quello dell’identità biologica ed alla conoscibilità delle proprio origini ormai recepito anche  dalla giurisprudenza europea.

Orbene, le norme del codice civile fanno emergere uno stato soggettivo del padre legale coincidente con quello del marito della donna che ha dato alla luce un figlio in costanza del matrimonio e portano all’attualità la problematica relativa alla necessità di unificare non soltanto l’attribuzione dello status di figlio a prescindere dal momento temporale del matrimonio che funge da discrimen, ma anche la problematica attinente alla sostanziale diversità delle azioni promuovibili per la rimozione dello status filiationis. In particolare, mentre la dichiarazione di riconoscimento ex. art. 263 c.c. può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse, quindi anche dal padre legittimo, oltre che dall’autore del riconoscimento e da chi è stato riconosciuto quando sussiste un difetto di veridicità, potendo così promuovere l’azione ex art 263 c.c. tanto il padre legittimo quanto quello biologico, ciò non vale per quest’ultimo quanto all’azione di disconoscimento. Invero, quest’ultima per espresso dettato dell’articolo 243 bis c.c. può essere esercitata esclusivamente dal padre legale in favore del quale opera la presunzione di paternità e non anche da quello biologico, potendo esperire l’azione di disconoscimento della paternità legittima anche la madre oltre che il figlio medesimo: dunque, legittimati attivi a tale azione sarebbe esclusivamente i componenti del nucleo familiare venutosi a formare in forza del rapporto di coniugio. La dottrina minoritaria riteneva invece che il padre biologico potesse sollecitare il pubblico ministero nella promozione dell’azione ex articolo 244 ultimo comma del codice civile, non configurandosi così alcuna menomazione del diritto alla difesa del presunto padre biologico.

Al contrario la dottrina maggioritaria riteneva sussistente una preclusione all’esperibilità di tale azione da parte del padre biologico e ciò in funzione della prevalenza del principio del supremo interesse del minore.

Quest’ultimo, si arguisce soprattutto dal regime delle azioni proponibili dal minore e volte a vedersi riconosciuto lo status di figlio ovvero preordinate alla sua rimozione. In particolare, l’azione di dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità ex articolo 269 del codice civile volta ad ottenere il riconoscimento di essa da parte del figlio che è pertanto imprescrittibile riguardo ad esso ex art. 270 c.c.

Ciò in quanto, come a più voci sostenuto sia in dottrina che in giurisprudenza, il riconoscimento dello stato di figlio non ha rilevanza soltanto a livello biologico, ma è al più avvertito come un diritto all’identità dell’individuo che ha necessità di ricercare le proprie origini e di riconoscersi con esse. Nel senso di una corretta ricerca delle origini biologiche e dunque della coincidenza tra verità giuridica e verità materiale si pongono le azioni di contestazione dello Stato di figlio ex art. 240 cc, con la quale il padre legittimo che risulti tale dall’atto di nascita potrà contestare lo stato di figlio legittimo, potendo proporre tale azione chiunque ne abbia interesse e dunque anche colui che si reputa essere possibile padre biologico. Quanto al figlio che voglia conoscere le proprie origini biologiche e vedersi attribuito uno status filiationis coerente con esso, questi potrà esperire l’azione di reclamo dello stato di figlio ex art. 249 cc.

  Sicché, è significativo come il diritto allo stato di figlio e quello alla ricerca delle proprie origini, siano considerati da un lato così pregnanti da consentire al figlio di esperire le opportune azioni al fine di vedere dichiarato il proprio status, ed al contempo però il legislatore li limiti in virtù dell’interesse del minore. Questo perché in giurisprudenza si è sottolineato come, laddove il riconoscimento da parte del genitore possa gettare discredito sul minore stesso in virtù della reputazione del genitore biologico, non necessariamente deve prevalere il favor veritatis se esso contrasta col supremo principio dell’interesse del minore, ciò in considerazione del fatto che gli effetti della sentenza che dichiara la filiazione sono quelli di accertare la maternità o la paternità retroattivamente.

Alla medesima logica dell’interesse del minore sono poi ispirate le azioni di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ex articolo 264 del codice civile.

Sul punto è intervenuta la giurisprudenza di legittimità sancendo che tanto il rinvio all’interesse del minore operato dall’articolo 250 del codice civile comma 3 nell’ambito del riconoscimento, quanto quello presente nell’azione di dichiarazione della paternità e della maternità, fonderebbero la prevalenza di tale interesse del minore sul diritto soggettivo del genitore a vedersi riconosciuto tale status.

La giurisprudenza di legittimità con tale recente arresto giurisprudenziale supera il precedente orientamento, volto a qualificare il diritto allo status di genitore come un diritto soggettivo primario costituzionalmente garantito ex art. 30  e come tale non passibile di compressione alcuna: si afferma così in giurisprudenza la necessità di operare un bilanciamento tra il diritto soggettivo primario del genitore a vedersi riconosciuta la propria genitorialità e l’interesse del minore ad un corretto sviluppo[3]. Pertanto, alla luce del mutato indirizzo giurisprudenziale, non necessariamente la verità sull’identità biologica coincide con il corrispettivo interesse del minore, venendo così compressa laddove ciò possa compromettere il corretto sviluppo psicofisico del minore e l’identità che si è venuto a formare, tenendo conto dunque della condotta di vita del genitore biologico.

Così superata la presunzione di assolutezza del favor veritatis e dell’identità biologica, la giurisprudenza di legittimità perviene ad affermare la necessità di un bilanciamento in concreto tra l’esigenza di verità della paternità biologica e la stabilità del legame con il genitore presunto legittimo, imponendo in concreto di valutare l’interesse del minore: ciò in quanto l’articolo 30 della Costituzione non attribuirebbe un valore preminente alla paternità biologica rispetto a quella legale, richiedendosi così un necessario bilanciamento degli interessi in gioco. Sicché il supremo interesse del minore non si identifica più necessariamente con la verità biologica, potendo portare invece ad una prevalenza della paternità legale.

Proprio il principio del Supremo interesse del minore affermatosi a livello europeo e convenzionale sembra essere divenuto il principio cardine che guida l’attività interpretativa della giurisprudenza di legittimità.

Invero,nell’affermare il suddetto principio di diritto i giudici della Cassazione si rifanno all’articolo 8 della Convenzione EDU relativa al rispetto della vita familiaree privata[4], dove l’ingerenza del giudice nella valutazione dell’interesse del minore viene consentita proprio al fine di assicurare il rispetto della vita privata e familiare e quindi la stabilità del minore ed il suo corretto sviluppo psico-fisico.

La ratio dei procedimenti di riconoscimento, di disconoscimento, nonché  di dichiarazione di paternità o maternità è quella di instaurare un coinvolgimento del minore che la giurisprudenza di legittimità ritiene conforme al principio europeo del supremo interesse del minore così come espresso dall’articolo 24 comma 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea all’interno della quale si legge che tutti gli atti che riguardano i minori devono avere riguardo a preservare l’interesse superiore dello stesso che viene considerato come preminente, e che si sostanzia altresì nella possibilità di mantenere relazioni personali  e contatti diretti con i proprio genitori, salvo che ciò non contrasti con il suo interesse.

Ne deriva che dal comma 3 dell’articolo 24 della Carta di Nizza si ricava come non necessariamente la ricerca della verità biologica corrisponda all’interesse del minore, sicché nell’applicazione al caso concreto il giudice dovrà effettuare un bilanciamento di interessi, potendo far prevalere l’identità che il minore si è costruito nella propria realtà familiare e la paternità legale.Principio, quello dell’interesse del minore già affermato dalla Corte di Strasburgo la quale, in alcune recenti pronunce, aveva già messo in evidenza la possibilità di consentire che il minore mantenesse in maniera immutata la struttura della famiglia includente il padre legittimo ed altresì costruisse rapporti significati con il padre biologico, potendo in tal modo conoscere le proprie origini. In tal modo, la giurisprudenza veniva ad assicurare la tutela del minore nel contesto familiare alla luce del principio del supremo interesse del minore affermatosi in ambito europeo, ed altresì gli altri diritti riconosciuti dalla convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989.

[1]V. MARIA CHIARA, “Padri presunti e padri invisibili. Filiazione e ricerca della paternità nel diritto italiano tra Otto e Novecento”, gennaio 2015, disponibilequi:https://jusvitaepensiero.mediabiblos.it/news/allegati/Chiara%20Maria%20Valsecchi%20-%20Jus%20Online%201-2015.pdf

[2]Contenuto disponibile:

[3]Contributo disponibile qui: https://renatodisa.com/disconoscimento-di-paternita-favor-veritatis-sul-favor-minoris/

[4]G. MARIA CRISTINA, “Il bilanciamento tra paternità biologica e legame genitoriale nell’azione di disconoscimento di paternità”, 03 luglio 2017, disponibile qui:

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