Patteggiamento e reati fiscali: il nodo gordiano della previa estinzione del debito tributario per i delitti dichiarativi
L’accesso al rito alternativo del patteggiamento, in tema di reati tributari, ha dato adito a numerose questioni interpretative.
Il pomo della discordia è rappresentato dalla portata dell’art. 13 bis, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, il quale, come si descriverà in seguito, preclude l’accesso all’applicazione della pena su richiesta delle parti qualora l’imputato non abbia estinto il debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
Se inizialmente la Suprema Corte di Cassazione interpretava la disposizione sopra menzionata come ostativa all’accesso al patteggiamento per tutti i reati fiscali (in assenza dell’estinzione del debito fiscale)[1], successivamente gli Ermellini hanno sviluppato un diverso orientamento, che è andato man mano consolidandosi, affermando come l’assenza del pagamento del debito tributario, nel caso dei reati di omesso versamento (artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater D.Lgs. 74/2000), non risulti ostativo all’accesso al rito speciale disciplinato dagli artt. 444 ss. c.p.p[2].
Ciò premesso, si registra un evidente contrasto interpretativo, sia in dottrina sia in giurisprudenza, circa la necessità o meno dell’estinzione del debito tributario (prima della dichiarazione di apertura del dibattimento ed ai fini del patteggiamento) in ordine ai delitti dichiarativi: segnatamente, per i delitti di cui all’art. 4 (Dichiarazione infedele), 5 (Omessa dichiarazione), e, da ultimo inseriti, 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) D.Lgs. n. 74/2000, in quanto anche tali delitti dichiarativi, al pari dei delitti di omesso versamento, sono ricompresi tra le fattispecie che possono accedere alla speciale causa di non punibilità di cui all’art. 13 del ridetto decreto.
Occorre dunque, in via preliminare, premettere alcuni brevi cenni in ordine agli istituti rilevanti per la comprensione dei termini della questione: segnatamente, agli articoli 13 e 13 bis del D.Lgs. n. 74/2000.
1. La speciale causa di non punibilità.
L’art. 13, D.Lgs. n. 74/2000, rubricato “Causa di non punibilità. Pagamento del debito tributario”, prevede, al primo comma, che: “I reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter e 10 quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso”.
Come espressamente previsto in rubrica, l’art. 13 prevede una ipotesi di causa di non punibilità in senso stretto: qualora l’agente si sia macchiato di uno dei delitti di omesso versamento, ma cionondimeno provveda all’integrale pagamento del debito tributario entro la dichiarazione di apertura del dibattimento, il legislatore rinuncia all’opportunità di punirlo.
Trattasi di una disposizione che costituisce un incentivo al corretto adempimento delle obbligazioni tributarie, unendo alle finalità riparatorie dell’istituto, anche una funzione deflattiva dei procedimenti penali.
Identica la natura giuridica, ma differenti i requisiti, per ciò che concerne la disposizione di cui al comma secondo del medesimo articolo. Il capoverso dell’art. 13, infatti, così recita: “I reati di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano avvenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali”.
E’ da premettere immediatamente che il riferimento ai reati ex artt. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) sono frutto di una recente modifica normativa: il comma secondo dell’art. 13, infatti, è stato così innovato dall’art. 39, comma 1, lett. q-bis), D.L. 26 Ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 Dicembre 2019, n. 157. Prima di tale inserimento, dunque, la non punibilità operava per i soli delitti di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione.
Il differente disvalore sociale intercorrente tra i delitti di omesso versamento ed i delitti dichiarativi si riflette nella controspinta necessaria per ottenere la non punibilità.
Ed infatti, mentre per i delitti di omesso versamento, come dianzi osservato, è necessario, ma anche sufficiente, provvedere all’estinzione del debito tributario entro la dichiarazione di apertura del dibattimento, per i delitti dichiarativi è richiesto un quid pluris.
Per tali ultimi reati, oltre alla doverosa estinzione del debito tributario (che può avvenire tramite ravvedimento operoso, ovvero presentando la dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta dell’anno successivo) è necessario, altresì, che tale ravvedimento intervenga prima che il soggetto abbia una formale conoscenza relativa ad ispezioni od accertamenti di carattere tributario, amministrativo o penale; uno schema, quest’ultimo, utilizzato dal legislatore anche in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione per l’operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 323 ter c.p.
2. L’oggetto del contendere: l’art. 13 bis.
E’ tuttavia la norma immediatamente successiva all’art. 13 a costituire il terreno di scontro tra giurisprudenza e dottrina.
L’art. 13 bis del D.Lgs. 74/2000, rubricato “Circostanze del reato”, così esordisce: “Fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”.
Il primo comma, ordunque, prevede una circostanza attenuante ad effetto speciale: l’agente, estinguendo il debito tributario entro l’apertura del dibattimento, ha la possibilità di ottenere una sensibile riduzione di pena; e ciò, come espressamente previsto dall’incipit normativo, soltanto nei casi in cui la ridetta estinzione non determini l’operatività dell’art. 13, realizzandosi, in tale ultima ipotesi, il proscioglimento dell’imputato.
Il comma 2 dell’art. 13 bis, invece, dispone che: “Per i delitti di cui al presente decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2”.
Sorvolando sulla discutibile collocazione topografica di una disposizione su di un rito alternativo all’interno di una norma che configura una circostanza attenuante, la disposizione appare, di primo acchito, piuttosto chiara: il riferimento al comma 1, contenuto nella disposizione dianzi citata, riguarda l’estinzione del debito tributario. Ed allora, per poter patteggiare, il legislatore sembrerebbe richiedere, quale condizione ineludibile, il pagamento del debito tributario entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento.
Il comma secondo, tuttavia, si chiude con l’inciso “fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2” e cioè fuori dalle ipotesi di non punibilità previste dall’articolo 13.
Come si vedrà nel prosieguo, proprio quest’ultimo enunciato viene utilizzato da ambedue gli orientamenti contrapposti al fine di giustificarne la rispettiva bontà.
3. I dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 13 bis.
La norma in commento è parsa sin da subito contraria ad alcuni principi costituzionali e, perciò, oggetto di svariate ordinanze di rimessione da parte dei Tribunali di merito[3].
In particolare, si registrava la violazione degli articoli 3 e 24 Cost., in quanto la norma, preclusiva dell’accesso al rito speciale, avrebbe determinato una irragionevole disparità di trattamento ed una violazione del diritto di difesa, subordinando tale diritto alla maggiore o minore prosperità dell’imputato.
Le censure di costituzionalità sono state condivise anche dalla dottrina, la quale ha ritenuto come la norma creasse una disparità tra soggetti imputati del medesimo reato, a cagione delle condizioni economiche degli stessi, ed una limitazione del diritto di difesa dell’imputato non abbiente[4].
Investita della questione, la Corte Costituzionale ha tuttavia sancito la piena legittimità dell’art. 13 bis, comma 2.
La motivazione della Consulta fa leva su di un principio di intangibilità delle scelte politico-criminali del legislatore, le quali, se non debordanti in manifesta irragionevolezza, non possono soggiacere alla scure della Corte Costituzionale.
La previsione, ordunque, non violerebbe né l’art. 3 Cost., né il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., posto che, a parere del Giudice delle Leggi, “la negazione di tale facoltà (quella di accedere al patteggiamento, ndr) in rapporto ad una determinata categoria di reati non vulnera il nucleo incomprimibile del predetto diritto[5]”.
La previsione in esame, peraltro, sconta alcune critiche di carattere generale, palesate dalla dottrina e, a parere di chi scrive, pienamente condivisibili: si è osservato come l’art. 13 bis subordini un diritto spettante all’imputato ex lege ad un adempimento di ordine economico, totalmente avulso dalle finalità proprie del processo penale; nonché, come la stessa norma paralizzi la deflattività dell’istituto di cui all’art. 444 c.p.p., così incidendo negativamente sull’efficienza della giustizia penale[6].
4. L’orientamento restrittivo: no al patteggiamento in assenza dell’estinzione del debito tributario.
In giurisprudenza ed in dottrina, come ricordato al principio del contributo, convivono al momento due differenti orientamenti interpretativi circa la necessità, o meno, dell’estinzione del debito tributario ai fini dell’accesso al rito speciale ex art. 444 ss. c.p.p.
Un primo orientamento[7], più restrittivo, risolverebbe la questione in senso positivo: quantomeno per i delitti dichiarativi, sarebbe sempre necessario addivenire al pagamento del debito prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, come prospettato dall’art. 13 bis, per poter fruire del rito speciale.
Una breve premessa: la pronuncia poc’anzi richiamata sembrerebbe non occuparsi della questione controversa in tema di delitti di omesso versamento, nei confronti dei quali, come già detto, sembrerebbe potersi affermare come la giurisprudenza, a partire dal 2018[8], sia piuttosto consolidata nel ritenere non necessaria l’estinzione del debito tributario, nonostante vi siano, sul punto, alcune opinioni dottrinali che ritengono come tali conclusioni non possano dirsi persuasive[9].
Tornando alla questione di interesse, veniva portato all’attenzione della Suprema Corte un caso in cui il Tribunale di Cremona aveva applicato la pena di mesi 8 di reclusione, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., nei confronti dell’imputato per il reato di cui all’art. 2, D.Lgs. 74/2000 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti). Decisione, quest’ultima, oggetto del ricorso del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Brescia, il quale osservava come la pena applicata al reo dovesse ritenersi illegale.
Gli Ermellini osservano in primis come l’art. 2, al pari dell’art. 3, è stato introdotto all’interno dei reati “presupposto” di cui all’art. 13 (relativo alla causa di non punibilità) con D.L. 26 Ottobre 2019, n. 124.
Procedendo all’esegesi del meccanismo normativo, la Corte rileva come il pagamento del debito tributario, nel caso di contestazione del reato di cui all’art. 2, può comportare: a) la non punibilità, ex art. 13, comma 2, qualora effettuato nei modi e nei tempi previsti dalla richiamata disposizione (rectius, prima della formale conoscenza di accertamenti, ispezioni, accessi o di procedimenti penali); b) l’operatività dell’attenuante di cui all’art. 13 bis, comma 1, nonché l’esclusione delle pene accessorie, qualora intervenga prima dell’apertura del dibattimento; c) la possibilità di richiedere il patteggiamento, qualora siano scaduti o superati i limiti di tempo e di conoscenza previsti dall’art. 13, comma 2.
Così scomponendo le differenti conclusioni alle quali si può addivenire tramite l’estinzione del debito fiscale, la Cassazione si discosta dal diverso orientamento che, come si vedrà, ritiene il pagamento finalizzato alla sola non punibilità e non anche all’accesso al patteggiamento.
Nel propendere verso tale soluzione, i Giudici utilizzano un’interpretazione di tipo sistematico, affermando come: “Una conferma di tale lettura delle disposizioni di legge citate si rinviene nell’art. 13, comma 3, il quale dispone che l’apertura del dibattimento può essere rinviata dal giudice allorché il debito tributario sia stato riconosciuto dall’imputato e già rateizzato, di tal che il rimborso del debito è in corso ma non ancora perfezionato. Tale possibilità opera anche “ai fini dell’applicabilità di cui all’art. 13 bis”: si tratta di richiamo che include indubbiamente il comma 2 di tale disposizione. In sostanza, il rinvio serve a consentire all’imputato che sta usufruendo della rateizzazione del debito di poter godere della riduzione di pena e della facoltà di patteggiare. Alla luce delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene inequivoco che l’espressione “fatte salve le ipotesi di cui all’art. 13, commi 1 e 2” che chiude l’art. 13 bis, comma 2, vada letta nel senso che la sentenza ex art. 444 c.p.p. può essere ammessa allorché l’estinzione del debito sia avvenuta con tempi e modalità che non consentono la più radicale e favorevole dichiarazione di non punibilità del fatto ai sensi dell’art. 13[10]”.
Tale interpretazione sistematica, certamente condivisibile, precluderebbe, ad avviso della Corte, la possibilità di patteggiare in assenza di estinzione del debito tributario. La previsione della rateizzazione parrebbe inequivoca, stante il tenore letterale della norma, nell’estendere la sua portata anche per l’accesso al rito speciale. Diversamente opinando, si realizzerebbe una interpretatio abrogans della disposizione appena commentata.
La sentenza in oggetto, tuttavia, presta il fianco a critiche nella parte in cui cassa l’orientamento contrario[11] richiamato dal Procuratore Generale della Cassazione, affermando apoditticamente come l’orientamento richiamato dal Procuratore Generale in sede non farebbe discendere conseguenze ulteriori rispetto al tema affrontato, e di come i Giudici, in quel caso, non potevano porsi problemi di coordinamento con la nuova disciplina, introdotta successivamente con D.L. 26 Ottobre 2019, n. 124.
In verità, la sentenza citata dal Procuratore Generale riguardava una pena patteggiata per gli articoli 10 quater (Indebita compensazione) e 5 (Omessa dichiarazione), D.Lgs. n. 74/2000.
E l’art. 5, essendo un delitto dichiarativo, rientra sistematicamente nelle ipotesi di non punibilità di cui al comma 2 dell’art. 13: rectius, la medesima disposizione nella quale sono stati inseriti, da ultimo, anche gli artt. 2 e 3 dei reati fiscali.
Sicché, appare evidente come il principio evocato dal Procuratore Generale risulti estensibile anche agli ultimi reati dichiarativi inseriti, attesa la loro collocazione all’interno della stessa norma. Sul punto, la motivazione dei Giudici della Suprema Corte sembrerebbe fallace.
Anche taluni autori hanno evidenziato come il verificarsi della circostanza di cui all’art. 13 bis sia condizione necessaria per l’accesso al rito speciale. In particolare, è autorevole l’opinione di chi, richiamando altra precedente pronuncia della Cassazione[12], ritiene condivisibile l’orientamento restrittivo, definendo il tema dell’accesso al patteggiamento per i delitti dichiarativi anche in assenza del debito tributario come un “macroscopico equivoco[13]”.
5. L’orientamento prevalente: l’estinzione del debito tributario non è condizione necessaria per accedere al patteggiamento.
Vi è tuttavia un ulteriore orientamento giurisprudenziale, differente da quello poc’anzi richiamato ed al momento prevalente, il quale non ritiene necessario, ai fini del patteggiamento per i reati fiscali, la preventiva estinzione del debito tributario entro la dichiarazione di apertura del dibattimento.
Come già osservato, è necessario operare una distinzione preliminare.
Fino al 2018, la Cassazione riteneva il pagamento del debito tributario presupposto obbligato ai fini del patteggiamento, come da interpretazione letterale dell’art. 13 bis, comma 2: e ciò per tutti i reati di cui al D.Lgs. n. 74/2000[14].
A partire dall’Aprile del 2018, tuttavia, si è assistito ad un deciso revirement della Suprema Corte in tema di delitti di omesso versamento. La pronuncia che ha dato il via a tale opzione interpretativa, in particolare, affermava come: “Poiché il pagamento del debito tributario, da effettuarsi entro la dichiarazione di apertura del dibattimento (…) rappresenta (…) causa di non punibilità dei reati ex artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, lo stesso non può logicamente, allo stesso tempo e per le stesse ipotesi, fungere anche da presupposto di legittimità di applicazione della pena che, fisiologicamente, non potrebbe certo riguardare reati non punibili[15]”.
La soluzione accolta dagli Ermellini ha una base logica e sistematica apprezzabile: per i delitti di omesso versamento, infatti, le condizioni per accedere alla causa di non punibilità paiono le medesime rispetto a quelle necessarie per poter accedere al rito speciale. Ed allora, delle due l’una: o il contribuente estingue il debito nei termini previsti, beneficiando della non punibilità, oppure accede al rito speciale, anche al di fuori dei limiti previsti dalle norme della legge speciale, in quanto il pagamento potrebbe solamente rendere il reato non punibile.
Il principio così esposto è stato fatto proprio, in tema di delitti di omesso versamento, anche da numerose altre pronunce della Cassazione[16].
Successivamente, la medesima sezione della Corte ha ritenuto di estendere il principio richiamato anche ai delitti dichiarativi (segnatamente, ai reati di cui agli articoli 4 e 5, inseriti nel comma 2 dell’art. 13, D.Lgs. n. 74/2000).
Il ruolo di apripista si deve, in particolare, ad una pronuncia della Cassazione, la quale, richiamando il principio già espresso da Cass. Pen. n. 38684/2018 in tema di delitti di omesso versamento, testualmente ha affermato come: “A conclusioni analoghe deve pervenirsi con riferimento ai delitti di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 5, per i quali parimenti è previsto che il ravvedimento operoso costituisce causa di non punibilità e dunque non può configurare una condizione per accedere al rito alternativo del patteggiamento[17]”.
Sulla stessa linea si è posta una ulteriore pronuncia, la quale ha ribadito in modo ancora più vigoroso l’estensione del principio della non necessarietà dell’estinzione del debito tributario per l’accesso all’applicazione della pena su richiesta delle parti: “Ciò comporta (il pagamento del debito tributario nei termini di cui all’art. 13, ndr), come chiarito dalla pronuncia di questa terza sezione n. 38684 del 2018 (in relazione all’omesso versamento Iva, ma il discorso vale per tutte le ipotesi di reati di cui all’art. 13, commi 1 e 2 cit.), appresentando il pagamento del debito tributario, da effettuarsi entro la dichiarazione di aperura del dibattimento (…) causa di non punibilità dei reati ex artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater, ed anche dei reati ex art. 4 e 5 stesso decreto, lo stesso non può logicamente, allo stesso tempo, per queste stesse ipotesi, fungere anche da presupposto di legittimità di applicazione della pena che, fisiologicamente, non potrebbe certo riguardare reati non punibili. Sicchè, in altri termini, o l’imputato provvede, entro l’apertura del dibattimento, al pagamento del debito (…) in tal modo ottenendo la declaratoria di assoluzione per non punibilità per uno dei reati di cui agli artt. 4, 5. 10 bis, 10 ter, 10 quater, ovvero non provvede ad alcun pagamento, restando in tal modo logicamente del tutto impregiudicata la possibilità di richiedere ed ottenere l’applicazione della pena per i medesimi reati[18]”.
Una importante conferma dell’accoglimento della tesi in parola deriva, inoltre, dalla Relazione alla Legge 19 Dicembre 2019, n. 157, in materia di reati fiscali, stilata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione. In tale documento, la Relazione dà conto, condividendolo, dell’orientamento prevalente dianzi richiamato, confermando come la fruizione del rito speciale, in tema di reati fiscali, non richieda la preventiva estinzione dei debiti tributari.
L’Ufficio del Massimario, peraltro, compie un fondamentale passo ulteriore: commentando l’inserimento, ad opera della legge su cui si innesta la Relazione, degli artt. 2 e 3 tra i reati presupposto di cui all’art. 13, comma 2 (relativo, come ampiamente ripetuto, alla causa di non punibilità per i reati fiscali), afferma come l’indirizzo prevalente “sarebbe dunque applicabile anche in caso di applicazione della pena per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000) e quello di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000), ora inclusi nel catalogo di cui all’art. 13”, così estendendo il principio anche ai reati di cui agli artt. 2 e 3, D. Lgs. n. 74/2000.
L’ultima pronuncia sul tema controverso[19], pur riguardando il delitto di omesso versamento Iva, aderisce all’orientamento prevalente, richiamando anche i precedenti giurisprudenziali che hanno operato l’estensione del principio di favore anche ai delitti dichiarativi.
Non vi è ancora, al momento in cui si scrive, un pronunciamento specifico degli Ermellini circa l’espansione dei principi menzionati anche agli art. 2 e 3 dei delitti dichiarativi. Allo stato, la questione è risolta in senso favorevole soltanto della già citata Relazione dell’Ufficio del Massimario; mentre, come si è visto nel paragrafo sub.4, la Cassazione si è già mostrata contraria all’estensione in parola[20].
6. Considerazioni conclusive: un’interpretazione “a mezza via”?
Come si è visto, non vi è univocità di vedute circa i rapporti tra l’accesso al rito del patteggiamento per i reati fiscali e la necessarietà, o meno, della preventiva estinzione del debito tributario entro la dichiarazione di apertura del dibattimento, ex art. 13 bis, comma 2.
Si osserva, od ogni modo, come dal 2018 l’orientamento prevalente, sia in ordine ai delitti di omesso versamento, sia in ordine, da ultimo, ai delitti dichiarativi, reputi non necessario il pagamento del debito per poter fruire del rito speciale.
Sulla base di considerazioni di ordine logico e sistematico, la Suprema Corte ritiene come i requisiti per accedere alla causa di non punibilità di cui all’art. 13 non possano, allo stesso modo, costituire presupposto ineludibile per poter patteggiare, in quanto non sarebbe possibile applicare una pena ad un reato non punibile.
Ne conseguirebbe che il reo, non pagando il debito tributario, potrebbe sempre chiedere l’applicazione della pena, ex art. 444 ss. c.p.p.
Ritiene lo scrivente che l’orientamento richiamato, più favorevole per l’imputato, non sia del tutto condivisibile e come, allo stato (vista la normativa vigente), sia preferibile adottare una soluzione “a mezza via”.
Invero, analizzando l’art. 13, comma 1, la disposizione, in tema di delitti di omesso versamento (artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater) richiede, ai fini della non punibilità per il reato fiscale, il pagamento del debito tributario entro la dichiarazione di apertura del dibattimento.
Nel caso dei delitti di omesso versamento, dunque, il requisito per accedere alla causa di non punibilità pare identico a quello necessario all’accesso al rito speciale del patteggiamento, poiché l’art. 13 bis, comma 2, parimenti, richiede l’estinzione del debito tributario entro l’apertura del dibattimento.
Per questa prima categoria di delitti, dunque, è condivisibile l’orientamento prevalente, nella parte in cui afferma come il reo “o paga e fruisce della non punibilità” ovvero non paga, restando in tal modo impregiudicata la possibilità di patteggiare, poiché i medesimi requisiti non potrebbero rappresentare, contemporaneamente, condizione per l’accesso alla non punibilità e condizione per l’accesso al patteggiamento, che invece la medesima punibilità presuppone.
Diverso è il caso per i delitti dichiarativi (artt. 2, 3, 4 e 5) richiamati nel comma 2 dell’art. 13. Per tali ultimi delitti, invero, la norma richiede non soltanto l’adempimento del debito fiscale; in questi casi è altresì necessario, per poter accedere alla causa di non punibilità, che il pagamento avvenga “prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali”.
Per i delitti dichiarativi, dunque, non si verifica, a mio avviso, alcuna sovrapposizione dei requisiti necessari all’applicazione degli artt. 13 e 13 bis. Infatti, o il reo paga il debito tributario prima della formale conoscenza di cui all’art. 13, con conseguente proscioglimento per non punibilità; ovvero, paga il debito tributario dopo la formale conoscenza di accessi, ispezioni o di procedimenti a carico, ma prima della dichiarazione di apertura del dibattimento: in questo modo, all’imputato sarà consentito di chiedere il patteggiamento ai sensi dell’art. 13 bis, comma 2.
Tale interpretazione intermedia è stata fatta propria anche da una isolata pronuncia della Cassazione, la quale ha ritenuto come il principio dell’inapplicabilità del disposto di cui all’art. 13 bis, comma 2 ai delitti di omesso versamento, non possa estendersi alle fattispecie di cui agli articoli 4 e 5, D.Lgs. n. 74/2000[21]. La Corte ha infatti sostenuto come: “(…) operando il raffronto tra gli elementi costituivi della circostanza di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 bis, comma 1, la cui verificazione è presupposto per l’accesso al rito del c.d. “patteggiamento”, e gli elementi costitutivi della fattispecie integrante la causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 1, del medesimo D.Lgs., per i reati previsti dagli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, emerge una totale sovrapposizione. Ne discende che, per i reati appena indicati, l’estinzione integrale dei debiti tributari prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado dà luogo alla causa di non punibilità, in quanto prevista da una norma che è speciale rispetto a quella relativa alla circostanza attenuante ad effetto speciale (…) Di conseguenza, per i reati appena indicati, l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento di primo grado non può mai costituire presupposto per l’accesso al rito del c.d. “patteggiamento” perchè, se si verifica, dà luogo, in ogni caso, alla causa di non punibilità. In presenza delle indicate fattispecie, quindi, l’alternativa è o ritenere preclusa in radice la definibilità del procedimento penale a norma dell’art. 444 c.p.p., o, al contrario, ammetterla, ma senza richiedere il preventivo pagamento del debito tributario. La prima soluzione, però, sembra poco plausibile perchè il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13 bis, comma 2, nei suoi enunciati testuali, non fissa, in linea generale e programmatica, un divieto generale di accesso al c.d. “patteggiamento” per i delitti di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1. Diversamente deve ritenersi con riferimento ai reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 5 (…) E’ quindi evidente che, per i reati in questione, il pagamento del debito tributario effettuato prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ma dopo della formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, non potrà integrare la causa di non punibilità, ma solo la circostanza attenuante ad effetto speciale. Inoltre, la ricostruzione secondo cui l’adempimento del debito tributario è condizione necessaria per accedere al rito di cui all’art. 444 c.p.p., appare coerente con il dato normativo. (…) Ritenuto che, per i reati di cui al DLgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 5, il rito speciale previsto dall’art. 444 e ss. c.p.p., è ammissibile solo quando vi sia stato l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, pur se dopo la formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, deve affermarsi che la sentenza impugnata ha illegalmente determinato la pena, applicando la diminuente del rito in assenza dei presupposti necessari[22]”.
La soluzione proposta dalla pronuncia testé citata, allo stato della disciplina, parrebbe la più aderente al dato letterale delle disposizioni di cui agli artt. 13 e 13 bis. Secondo gli Ermellini, peraltro, la differente disciplina tra le due categorie di delitti sarebbe giustificabile in ordine al differente disvalore sociale intercorrente tra i delitti di omesso versamento ed i delitti dichiarativi.
Al contrario, l’orientamento prevalente, pur giustificato da ragionevoli esigenze di sistema e di deflattività dei procedimenti penali, si discosta notevolmente da un’interpretazione letterale delle norme in commento: l’art. 13 bis appare chiarissimo nel richiedere il pagamento del debito fiscale quale condizione imprescindibile per la fruizione del rito speciale. E l’adesione all’orientamento estensivo produrrebbe, di fatto, una interpretatio abrogans dell’art. 13 bis.
V’è da dire che anche gli autori contrari all’orientamento di favore rilevano come il contrasto esistente in giurisprudenza rischi di produrre trattamenti difformi tra imputati del medesimo reato: taluni, infatti, verranno ammessi a godere dei benefici del patteggiamento; talaltri, invece, verranno esclusi. E ciò a seconda di quale orientamento giurisprudenziale venga adottato nello specifico processo.
Secondo gli stessi autori, perciò, la soluzione preferibile sarebbe quella di sottoporre nuovamente al vaglio della Corte Costituzionale il capoverso dell’art. 13 bis: “In questo scenario, la soluzione più ragionevole è la più radicale[23]”.
V’è chi ha osservato come sia, peraltro, auspicabile un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite “che possa portare ordine nel caotico quadro giurisprudenziale attualmente esistente[24]”.
A parere di chi scrive, sarebbe lecito attendersi, visto il quadro, un intervento del legislatore, il quale, ponendo rimedio ai pericoli di disparità palesati dalla dottrina, dovrebbe focalizzarsi sull’espunzione dal nostro ordinamento della preclusione prevista dall’art. 13 bis, comma 2: una norma, quest’ultima, la cui ragionevolezza appare discutibile e che non avrà altro effetto se non quello di “caricare” ulteriormente la giustizia penale, amputata di uno dei suoi più importanti riti deflattivi.
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[1] Cfr., ex multis, Cass. Pen. Sez. III, sentenza n. 5448, 12 Gennaio 2018.
[2] La soluzione appena prospettata è stata accolta per la prima volta da Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 38684, 12 Aprile 2018.
[3] Trib. La Spezia, Ufficio Gip, Ordinanza 3 Dicembre 2013; Trib. Torino, Ufficio Gip, Ordinanza 15 Dicembre 2014; Trib. Treviso, Ordinanza 20 Gennaio 2015.
[4] C. Nocerino, S. Putinati, La riforma dei reati tributari, Giappichelli, 2015.
[5] Corte Cost., sentenza n. 95, 28 Maggio 2015.
[6] L. Salvini, F. Cagnola, Manuale Professionale di diritto penale tributario, Giappichelli Editore, 2021, paragrafo a cura F. Ferri; A. Perini, C. Santoriello, I reati tributari, Giuffrè, Milano, 2015.
[7] Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 26529, 23 Settembre 2020.
[8] Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 38684, 12 Aprile 2018.
[9] C.Mariani, Patteggiamento subordinato al pagamento del debito tributario: nessuna deroga per i delitti di cui all’art. 13 d.lgs. 74/2000, in Diritto Penale Contemporaneo, 8 Marzo 2019.
[10] Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 26529, 23 Settembre 2020.
[11] Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 48029, 22 Ottobre 2019.
[12] Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 47287, 21 Novembre 2019.
[13] A. Ingrassia, Patteggiamento per i delitti dichiarativi in assenza di estinzione del debito tributario tra S.C. e Corte Costituzionale, su Le Società, n. 1/2021; A. Lanzi, P. Aldovrandi, Diritto Penale Tributario, Padova, 2020.
[14] Cfr., ex multis, Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 5448, 12 Gennaio 2018.
[15] Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 38684, 12 Aprile 2018.
[16] Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 10800, 12 Marzo 2019; Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 48029, 26 Novembre 2019; da ultimo, Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 11620, 26 Marzo 2021.
[17] Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 10800, 12 Marzo 2019.
[18] Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 48029, 26 Novembre 2019.
[19] Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 11620, 26 Marzo 2021.
[20] Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 26529, 23 Settembre 2020.
[21] Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 47287, 2 Ottobre 2019.
[22] Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 47287, 2 Ottobre 2019.
[23] A. Ingrassia, op. cit.
[24] L. Salvini, F. Cagnola, op. cit., paragrafo a cura di F. Ferri, p. 140.
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Avvocato penalista, nato nel 1993.
Ha conseguito il Master universitario di secondo livello in Diritto Penale dell’Impresa, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, con la votazione di 30/30 e lode, ottenendo altresì il premio indetto dall’Associazione AODV231 destinato ad uno studente del Master distintosi per merito, ex aequo con altro partecipante.
E’ membro dell’Osservatorio Giovani e Open Day dell’Unione delle Camere Penali Italiane ed è responsabile della Commissione Giovani della Camera Penale di Novara.
Frequenta dal 2021 il Corso biennale di tecnica e deontologia dell’avvocato penalista, attivato dalla Camera Penale di Torino.
Si laurea in Giurisprudenza all’Università del Piemonte Orientale con la votazione di 110/110, discutendo una tesi in diritto penale intitolata: “La tormentata vicenda del dolo eventuale: il caso Thyssenkrupp ed altri casi pratici applicativi”.
Durante gli studi universitari ha effettuato un tirocinio di 6 mesi presso la Procura della Repubblica di Novara, partecipando attivamente alle investigazioni ed alle udienze penali a fianco del Pubblico Ministero.
Da Maggio 2018 è Praticante Avvocato presso lo Studio Legale Inghilleri e si occupa esclusivamente di diritto penale. Da Dicembre 2018 è abilitato al patrocinio sostitutivo. Ad Ottobre del 2020 consegue l’abilitazione all’esercizio della professione di Avvocato presso la Corte d’Appello di Torino, riportando voti elevati nelle prove scritte (40-35-35) ed agli orali.
Nel corso della sua attività professionale ha affrontato molte pratiche di rilievo, inerenti in particolar modo i delitti contro la Pubblica Amministrazione, i delitti contro la persona, contro la famiglia e contro il patrimonio, nonchè in tema di reati tributari, reati colposi, reati fallimentari e delitti relativi al DPR n.309/1990. Si è occupato inoltre di importanti procedimenti penali per calunnia e diffamazione. Ha sostenuto numerose e rilevanti udienze penali in completa autonomia.
E’ collaboratore dell’area di Diritto Penale di Ius In Itinere e di All-In Giuridica, ed ha pubblicato un contributo sulla rivista Giurisprudenza Penale . E’altresì autore della sua personale rubrica di approfondimento scientifico, denominata “Articolo 40”, disponibile sul sito della Camera Penale di Novara. Vanta 46 pubblicazioni sulle menzionate riviste e banche dati, tra contributi autorali e note a sentenza.
Indirizzo mail: dario.quaranta40@gmail.com