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Patto di stabilità e crescita: sospensione e prospettive future

A cura di Daniele Congedi.

Introduzione

Il dilagare del Covid-19 ha contribuito a far vacillare alcune delle granitiche certezze all’interno dell’Unione europea: da un lato la questione legata al debito pubblico e dall’altro gli stringenti vincoli del Patto di stabilità e crescita (“PSC”, o “Patto”), la cui sospensione è stata decisa nel marzo 2020[1]. Diffusamente considerato come uno degli strumenti normativi più problematici dell’ordinamento europeo, il Patto è da mesi oggetto di un dialogo tra le cancellerie europee, al fine di mettere a punto specifici accorgimenti che possano permettere di superare le criticità emerse nitidamente nell’ultimo decennio.

Le caratteristiche principali del Patto

Posta sulla scia dei c.d. “parametri di Maastricht”, la prima versione del Patto di stabilità e crescita si colloca nel contesto della nascente Unione economica e monetaria (UEM)[2]. In particolare, le sue fondamenta sono fissate nella risoluzione del Consiglio europeo del 17 giugno 1997 (97/C 236/01) e nei Regolamenti n. 1466 e n. 1467 del Consiglio del 7 luglio 1997. Il PSC è stato oggetto di una serie di emendamenti successivi, avvenute nel 2005, nel 2011 con il c.d. “Six Pack” e nel 2013 con il c.d. “Two Pack”[3].

L’attuale assetto del Patto, integrato dal Fiscal compact del 2012 (un trattato internazionale stipulato al di fuori del diritto dell’Unione), dedica ancora più attenzione al tema dell’equilibrio dei conti pubblici[4].

Nel dettaglio, il Patto di stabilità e crescita è composto da un “braccio preventivo” e da un “braccio correttivo”.

Lo scopo della struttura preventiva è di garantire politiche fiscali sostenibili attraverso il raggiungimento di obiettivi di bilancio a medio termine (“MTOs”), riguardante il saldo di bilancio strutturale che uno Stato membro si impegna a realizzare in un certo lasso di tempo (solitamente tre anni), al netto della componente ciclica e degli effetti determinati dall’implementazione di misure transitorie. Di contro, la parte correttiva mira ad assicurare l’attuazione degli opportuni aggiustamenti nei conti degli Stati che oltrepassano, o rischiano di oltrepassare, i valori di riferimento previsti nel Patto. Il mancato rispetto di questi ultimi potrebbe potenzialmente innescare una “Procedura per disavanzi eccessivi”, a meno di circostanze eccezionali e temporanee quale una grave recessione economica[5].

Nel concreto, le vigenti regole fiscali sono incardinate su due concetti fondamentali: il disavanzo (o deficit) pubblico, dato da una differenza negativa tra le entrate e le uscite dello Stato, e il debito pubblico, corrispondente al debito accumulato negli anni dal Paese che finanzia i propri disavanzi mediante l’emissione di titoli di Stato. I paletti economici stabiliti nel Patto prevedono che il disavanzo pubblico non possa sforare il 3% del Pil, mentre il debito pubblico deve al massimo ammontare al 60% del Pil; in alternativa, la parte di debito eccedente il 60% deve essere ridotta di un ventesimo all’anno, calcolato come media dei tre precedenti esercizi finanziari (oppure nel periodo di tre anni successivi all’ultimo anno con dati disponibili)[6].

Lo scenario odierno e le necessità di riformare il Patto

Il 23 marzo 2020 l’Unione europea ha optato per la sospensione del Patto di stabilità e crescita (prorogata ufficiosamente sino al 2022)[7]. In particolare, si è deciso di congelare la procedura di infrazione per il superamento della soglia percentuale del rapporto deficit/Pil nella valutazione di conformità alle disposizioni dettate dal Patto, con il fine di garantire agli Stati membri spazi di manovra per politiche fiscali espansive e, pertanto, fronteggiare anti-ciclicamente lo shock simmetrico causato dalla pandemia. Il tutto è avvenuto mediante l’attivazione, per la prima volta, della clausola di salvaguardia generale (General Escape Clause) inserita nel PSC[8].

In questo contesto, si è recentemente riacceso il dibattito sulla modifica del Patto, prospettata già prima dell’emergenza sanitaria[9].

L’esame dei livelli di debito raggiunti all’interno dell’Unione, sensibilmente cresciuti (in media del 15%, superando in molti casi il 100% del Pil) anche in seguito al ricorso da parte degli Stati all’ indebitamento verificatosi durante la pandemia, permette di constatare quanto le regole attuali del PSC – in specie, il vincolo del 3% nel rapporto deficit/Pil – non sembrino consone a gestire la situazione corrente. Il nodo della questione risiede sia nella poca semplicità delle vigenti norme europee sui conti pubblici che nella scarsa flessibilità nell’utilizzo della leva fiscale per supportare l’economia[10].

Difatti, una volta riattivato il Patto, lo stock di debito accumulatosi comporterebbe, in alcuni Stati, la necessità di adottare misure di austerità, controproducenti nelle fasi di bassa crescita, anche in presenza di debiti pubblici elevati[11]. Attualmente è la Banca centrale europea (BCE) a comprare, sul mercato secondario, la quasi totalità del debito pubblico degli Stati attraverso il Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), che consente inoltre di derogare al criterio della capital key (ossia le quote che ciascuna banca centrale nazionale detiene dell’azionariato della BCE). Tuttavia, arriverà il momento in cui essa smetterà di acquistarlo, soprattutto nel caso in cui il tasso di inflazione dovesse aumentare a causa di questa politica monetaria espansiva[12]. A quel punto la BCE si troverebbe costretta a vendere sul mercato i titoli di debito pubblico per assorbire l’enorme liquidità generata dal suo operato. In una situazione del genere i tassi di interesse sui titoli di Stato tornerebbero a crescere e il peso del maggiore debito pubblico si farebbe sentire in modo più evidente per gli Stati altamente esposti come l’Italia e la Grecia.

Dunque, premesso che in un’area economica fortemente interconnessa come quella dell’Unione sono indispensabili degli obblighi di natura fiscale, il nuovo panorama politico-economico ha riacceso il dibattito accademico ed istituzionale sulle lacune del Patto quale effettivo strumento di coordinamento economico, oltre alla sua reale efficacia nell’assicurare uno sviluppo omogeneo dell’Unione. A tal proposito, sono arrivate sul tavolo della Commissione europea una serie di proposte che tentano di limitare l’eccessivo rigore in bilancio, garantendo invece un focus più intenso sulle categorie di spesa e il relativo impatto nel medio-lungo termine.

La proposta dell’European Fiscal Board

Uno dei più interessanti progetti di riforma è quello delineato dallo European Fiscal Board (EFB), un organo consultivo indipendente della Commissione europea[13]. Nel suo rapporto dell’agosto 2019, denominato “Assessment of EU fiscal rules with a focus on the Six and Two-pack legislation”, l’EFB traccia alcune delle linee guida che potrebbero essere idonee ad affrontare gli aspetti più controversi del Patto in essere[14].

In primis, una radicale semplificazione delle regole che dovrebbero focalizzarsi esclusivamente su un unico elemento, il debito pubblico, utilizzando come parametro di controllo il rapporto tra la spesa nominale (ovvero a prezzi correnti) e il reddito potenziale, calcolato in base alla quantità di beni e servizi che un Paese è potenzialmente in grado di produrre in un anno e determinato considerando sia gli ultimi cinque anni dalla presa in esame che i cinque successivi. Allo stesso tempo, verrebbe predisposta un’unica clausola generale di flessibilità in luogo dei molteplici tipi di flessibilità ad oggi presenti nel Patto, così da snellire un procedimento certamente complesso; la facoltà di attivare la nuova formula spetterebbe a una decisione congiunta di Commissione e Consiglio, previo parere obbligatorio, ma non vincolante, di un organismo tecnico[15].

In secondo luogo, si propone una programmazione triennale, concedendo agli Stati l’opportunità di discostarsi dai target annuali di bilancio. Pur avendo l’obbligo di recuperare il maggior deficit entro il triennio, il nuovo paradigma gioverebbe alla capacità di spesa dei Paesi, rendendola più flessibile.

Un’altra idea inserita nel rapporto verte sull’introduzione della possibilità di scorporare alcune tipologie di investimenti pubblici dall’ammontare della spesa nominale (cd. golden rule), i quali non graverebbero sui meccanismi di calcolo del Patto. Si tratterebbe di piani approvati su scala europea e ritenuti sostenibili dal punto di vista economico-finanziario[16].

Infine, vi è l’indicazione di abbandonare il meccanismo delle sanzioni attualmente in vigore – mai effettivamente applicate nei confronti degli Stati che mancano di conformarsi ai dettami del Patto – sostituendolo con degli incentivi che consentirebbero l’accesso ai fondi europei solo in seguito all’osservanza delle prescrizioni previste.

Conclusioni

A poco più di un anno dallo scoppio di una pandemia che ha fatto emergere tutte le contraddizioni in seno all’Unione europea, diversi sono gli argomenti di confronto sul suo futuro. Tra questi vi è indubbiamente il bisogno di inaugurare un nuovo corso per il coordinamento delle politiche economiche e fiscali europee.

Sul tema viene in rilievo il modello di riforma del Patto di stabilità e crescita caldeggiato ultimamente dal Commissario europeo agli affari economici Paolo Gentiloni[17]. Egli, pur ribadendo il mantra delle finanze in ordine, pare porsi in continuità con quanto prospettato dall’European Fiscal Board, proseguendo altresì sull’onda delle parole pronunciate da Mario Draghi nell’ultimo “Meeting di Rimini”, quando l’attuale Presidente del consiglio evidenziò l’importanza nel distinguere tra un debito proficuo, utile a finanziare gli investimenti che generano una crescita economica duratura, e un debito inesigibile, impiegato in spesa corrente e poco propenso a un’ottica di lungo periodo[18].

Ad ogni modo, qualora si scegliesse di abbracciare un differente approccio nella regolazione delle politiche di bilancio dei singoli Stati membri, ciò non equivarrebbe a sperperare risorse in maniera improduttiva. Un’eventuale e auspicata propensione alla spesa dovrà essere accompagnata dalla lungimiranza degli investimenti di modo che venga evitata la dispersione delle risorse in mille rivoli o nella costruzione di “cattedrali nel deserto”.

 

[1] Consiglio, “Statement of EU ministers of finance on the Stability and Growth Pact in light of the COVID-19 crisis”, marzo 2020, disponibile qui: https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2020/03/23/statement-of-eu-ministers-of-finance-on-the-stability-and-growth-pact-in-light-of-the-covid-19-crisis/.

[2] Eur-Lex, “Patto di stabilità e crescita”, disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/summary/glossary/stability_growth_pact.html?locale=it.

[3] U. Villani, Istituzioni di Diritto dell’Unione europea, edizione 2020.

[4] D. Trabucco, “Gli strumenti economici-finanziari dell’Unione europea per fronteggiare le conseguenze della pandemia causata dal Covid-19”, 2020, disponibile qui: http://www.camerablu.unina.it/index.php/dperonline/article/view/7006/7958.

[5] Consiglio europeo, “Semestre europeo: una guida alle norme e ai documenti principali, dicembre 2020, disponibile qui: https://www.consilium.europa.eu/it/policies/european-semester/european-semester-key-rules-and-documents/.

[6] Camera dei deputati, “Politica economica e finanza pubblica: la regola del debito”, disponibile qui: https://temi.camera.it/leg17/post/la_regola_del_debito.

[7] Commissione europea, “Communication from the Commission to the Council”, marzo 2021, disponibile qui: https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/1_en_act_part1_v9.pdf.

[8] B. Giannini, C. Oldani, “Governance fiscale e sostenibilità del debito pubblico”, dicembre 2020, disponibile qui: https://ojs.uniroma1.it/index.php/monetaecredito/article/view/17302/16527.

[9] B. Maarad, “L’UE sospenderà il patto di stabilità anche nel 2022”, marzo 2021, disponibile qui: .

[10] C. Cottarelli, Pachidermi e pappagalli. Tutte le bufale sull’economia a cui continuiamo a credere, edizione 2019.

[11] F. Gerosa, “Schnabel (BCE) dice no all’austerità e mette in guardia dall’aumento dei rendimenti reali”, febbraio 2021, disponibile qui: https://www.milanofinanza.it/news/schnabel-bce-dice-no-all-austerita-e-mette-in-guardia-dall-aumento-dei-rendimenti-reali-202102261036163272.

[12] E. Frattola, “Come funzionano gli acquisti dei titoli pubblici della BCE?”, maggio 2020, disponibile qui: https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-come-funzionano-gli-acquisti-di-titoli-pubblici-della-bce.

[13] Commissione europea, “European Fiscal Board”, disponibile qui: https://ec.europa.eu/info/business-economy-euro/economic-and-fiscal-policy-coordination/european-fiscal-board-efb_en.

[14] Commissione europea, “European Fiscal Board: Assessment of EU fiscal rules with a focus on the six and two-pack legislation”, agosto 2019, disponibile qui: https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/2019-09-10-assessment-of-eu-fiscal-rules_en.pdf.

[15] L. Bartolucci, “La riforma delle regole fiscali europee: la proposta dello European Fiscal Board”, dicembre 2019, disponibile qui: https://iris.luiss.it/retrieve/handle/11385/191903/91058/La-riforma-delle-regole-fiscali-europee-la-proposta-dello-European-Fiscal-Board-%e2%80%93-L.-Bartolucci-1.pdf.

[16] Ivi.

[17] Commissione europea, “Remarks by Commissioner Gentiloni on the updated approach to the fiscal policy response to the coronavirus pandemic”, marzo 2021, disponibile qui: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/SPEECH_21_1012.

[18] Meeting 2020 special edition, “Incertezza e responsabilità, l’intervento di Mario Draghi al 41° Meeting”, agosto 2020, disponibile qui: https://www.meetingrimini.org/incertezza-e-responsabilita-lintervento-di-mario-draghi-al-41-meeting/.

 

 

 

 

 

 

 

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