Patto di stabilità: l’apprendista dimissionario deve risarcire il datore di lavoro per la formazione svolta
A cura di Federico Fornaroli
Il c.d. patto di stabilità torna a presenziare le aule di tribunali in ordine ad una controversia alquanto particolare, poiché ha visto coinvolto un apprendista, il quale è stato condannato al risarcimento in favore del precedente datore di lavoro per avere rassegnato le proprie dimissioni volontarie antecedentemente al periodo minimo di durata del rapporto di lavoro, previamente convenuto specificatamente.
In altre parole, l’apprendista è risultato reo di aver violato il preciso impegno a non cessare il proprio rapporto di lavoro entro il termine del periodo formativo (se non per giusta causa) e, così, il Tribunale di Roma adito, con sentenza n. 1646 del 9/2/2024, ha statuito la legittimità delle pretese aziendali di vedersi risarcire “una somma pari alla retribuzione corrisposta per ogni giornata di formazione erogata fino al momento del recesso”, stante la clausola appositamente pattuita nel contratto di apprendistato professionalizzante.
Per il ché, correttamente, il datore di lavoro ha vantato la suindicata richiesta di trattenere il succitato importo, in ragione della sussistenza di un c.d. patto di stabilità, debitamente suffragato dalla ricorrenza di un mutuo interesse per le parti in questione e, dunque, ragionevolmente bilanciato in termini sinallagmatici: il datore sostiene le spese per la formazione e, di riflesso, il lavoratore si impegna a non dimettersi prima di una certa data.
Peraltro, al riguardo, giova evidenziarsi come non sia stata ritenuta meritevole di pregio la circostanza per la quale la formazione sia stata espletata durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, giacché essa può essere impartita sia “sul luogo di effettivo lavoro” sia “in aula”, senza limitazione alcuna in ambo i contesti.
Sicché, l’apprendista di cui si discute è stato condannato alla restituzione di oltre € 9.000 per retribuzioni versate relativamente ai giorni di formazione (così era stato concordato al momento dell’instaurazione del rapporto di apprendistato), senza che la tesi difensiva dal medesimo apportata – consistente nell’esistenza di una clausola vessatoria non specificatamente sottoscritta ex art. 1341 c.c. – abbia avuto considerazione, proprio perché disallineata rispetto ai sopra delineati principi regolanti il summenzionato patto di stabilità, che, invero, sono ascrivibili alla fattispecie in oggetto.
Sul punto, altresì, si noti che la suindicata penale è stata reputata coerente ed equa con la natura della stessa e del patto di stabilità giudicato, poiché armonica con i costi a carico dell’azienda per gestire la formazione dell’apprendista.
Pertanto, la pronuncia in parola si inserisce nel solco di quelle decisioni concernenti il patto di stabilità e orientate a significare come il medesimo non necessiti a tutti i costi di un corrispettivo in denaro per bilanciare i reciproci interessi e posizioni delle parti coinvolte, dovendosi, invero, compiere una valutazione più ampia e complessiva, come già significato in passato dalla Suprema Corte di Cassazione nel 2017, con sentenza n. 14457 del 9 giugno.
Di talchè, la nozione del patto di stabilità – di matrice più giurisprudenziale che normativa – ne esce rafforzata e ancora più appealing per quelle società che volessero implementare politiche di c.d. “retention” nei confronti dei propri lavoratori, specialmente quelli più apicali, andando anche a saggiare ipotesi applicative più “fattuali” e meno ancorate al riconoscimento di un corrispettivo in denaro in favore dei medesimi, con conseguente risparmio di costi aziendali.
Del resto, l’obiettivo precipuo del patto di stabilità, sotto il profilo datoriale, è quello di assicurarsi le prestazioni lavorative del dipendente interessato per un determinato periodo di tempo e, quindi, di farne, appunto, oggetto di c.d. “retention”.
Ad ogni modo, si tratta di una verifica attenta e verosimilmente comportante una negoziazione specifica con il lavoratore interessato, che, da ultimo, dovrà tramutarsi in una precisa stesura degli afferenti termini e condizioni contrattuali, onde evitare criticità e contestazioni di sorta.