venerdì, Marzo 29, 2024
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Pegno rotativo: la Cassazione conferma il requisito della preventiva indicazione del valore economico della cosa inizialmente data in garanzia

 Sommario: 1. La controversia – 2. Il pegno (in breve) – 3. Il pegno rotativo e la clausola di rotatività – 4. La sentenza n. 12733/2021 della Corte di Cassazione

1. La controversia

In forza di diversi titoli di credito vantati nei confronti di una società attiva in campo siderurgico e assoggettata a procedura concorsuale, un istituto bancario maltese formulava istanza di ammissione al relativo passivo fallimentare. La banca, in particolare, sosteneva di vantare nei confronti dell’indicata società un diritto di credito, derivante da una linea di credito (finalizzata all’acquisto di acciaio grezzo ai fini della lavorazione/conversione in prodotti finiti e/o semi-finiti e relativa vendita) aperta in favore della stessa. Detta pretesa giuridica veniva rafforzata con una garanzia pignoratizia, avente ad oggetto gli stessi prodotti finiti e/o semilavorati. Nello specifico, il pegno in tal modo costituito assumeva i connotati del pegno c.d. rotativo, dal momento che i contraenti pattuivano la possibilità di sostituire ex ante l’oggetto della garanzia reale, senza effetti novativi.

Il giudice delegato, pur ammettendo l’istituto al passivo fallimentare, riconosceva allo stesso la qualità di creditore chirografario (e non privilegiato) ed escludeva la prelazione pignoratizia, con decisione poi confermata dal Tribunale di Trento.

La succitata banca impugnava la pronuncia della Corte territoriale, affidando le proprie censure ad un duplice ordine di motivi.

Con il primo motivo, la ricorrente sosteneva violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché dei principi e delle norme che disciplinano la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, in sostanza reputando che il Tribunale avesse errato nel considerare violato il principio della parità di trattamento dei creditori (par condicio creditorum) e quello dell’equivalenza tra il valore del bene inizialmente dato in pegno e il valore del bene che avrebbe dovuto soppiantare il primo. In particolare, ancorando la valutazione a criteri contrattuali di spessore tecnico, il valore inizialmente considerato (€ 7.376.352, 56) non era stato oltrepassato da quello realizzabile con il bene sostitutivo (pari ad € 3.400.000,00).

2. Il pegno (in breve)

Attraverso un contratto che si perfeziona con la consegna materiale della cosa o del documento (in caso di titoli al portatore o rappresentativi) al creditore, il debitore o un soggetto terzo costituiscono un pegno a garanzia dell’obbligazione contratta[1]. Il pegno può essere costituito non soltanto su beni mobili (come intuitivamente è dato pensare), ma anche su universalità di mobili, su crediti e su diritti che hanno ad oggetto beni mobili[2].

 Detta consegna, da intendersi quale elemento perfezionativo del contratto (c.d. contratto reale) determina il subentro della res nell’esclusiva disponibilità del creditore stesso. Invero, affinché un pegno sia validamente costituito, è indispensabile che si verifichi lo spossessamento della cosa a carico del debitore e a vantaggio del soggetto attivo del rapporto obbligatorio[3]. Siffatto connotato, ovverosia la circostanza della disponibilità del bene nell’esclusivo possesso[4] del creditore, soddisfa una duplice esigenza di tutela: da un lato (rapporti interni) a presidio del creditore stesso, il quale è posto al riparo da eventuali atti con cui il debitore potrebbe disporre della res gravata da pegno e, dall’altro, in favore di soggetti terzi, potenziali acquirenti o altri creditori (rapporti esterni), in tal modo informati della presenza del bene nella sfera di disponibilità di un creditore, a garanzia del credito di quest’ultimo. A tal riguardo autorevole dottrina afferma che l’impossessamento ad opera del creditore svolga una “funzione di pubblicità in senso lato[5].

In punto di effetti tipici derivanti dalla dazione in pegno di un bene, essi concretizzano la funzione di rafforzamento della pretesa giuridica spettante al creditore pignoratizio, giacché questi – in caso di debito scaduto ma non estinto – ha diritto di farsi pagare la somma a lui spettante (comprensiva di capitale e interessi), beneficiando di un trattamento preferenziale proprio sulla res oggetto di pegno. Nell’accennata disciplina di favore per il creditore si sostanzia il c.d. diritto di prelazione (ius praelationis).

La locuzione testé indicata consente di porre un collegamento diretto con il regime giuridico della responsabilità patrimoniale del debitore a fronte di una pluralità di creditori. Il relativo referente normativo (art. 2741 c.c.) reca la morfologia del concreto atteggiarsi delle pretese creditorie che si appuntano contro la garanzia patrimoniale generica di un medesimo debitore. Invero, la fenomenologia del concorso di creditori deve essere indagata fissando come imprescindibile perno quello della equiparazione dei diversi creditori (c.d. par condicio creditorum) ex art. 2741, comma 1, c.c. Nondimeno, la regola in esame sconta una deroga determinata e circoscritta nell’ipotesi in cui il soggetto attivo di un rapporto obbligatorio possa agire sulla scorta di un diritto corroborato dalla presenza di una valida ragione che lo possa elevare a riservatario di un trattamento preferenziale (id est: una causa legittima di prelazione ex art. 2741, comma 2, c.c.).

Con maggiore approfondimento dei segmenti procedurali, relativi alla realizzazione del diritto di credito del soggetto assistito dalla causa legittima di prelazione costituita dal pegno, questi addiverrà al concreto soddisfacimento della propria pretesa facendo vendere la cosa data in pegno, per incamerarne successivamente il ricavato con preferenza rispetto agli altri creditori; in alternativa, potrà domandare al giudice che la cosa gli venga assegnata in pagamento fino a concorrenza del debito.

3. Il pegno rotativo e la clausola di rotatività

La prassi bancaria ha rappresentato e rappresenta tuttora il vero humus per le nuove modulazioni che il pegno ha assunto, caratterizzate da significative deviazioni rispetto ai requisiti che segnano l’ubi consistam dell’istituto, tali da indurre una parte della dottrina a ragionare in termini di “pegni atipici[6] o di “garanzie reali atipiche[7].

Oltre ai requisiti tipici della consegna del bene oggetto di pegno (rispetto al quale, nella dimensione dell’atipicità, si delinea la figura del pegno di cosa futura), della determinatezza del credito garantito (in relazione al quale ha attecchito la figura atipica del pegno omnibus), del divieto di trasferimento del diritto di proprietà (il cui sconfinamento nel terreno atipico porta alla figura del pegno irregolare), dottrina e giurisprudenza ne individuano un altro nel connotato della specialità del bene oggetto di pegno.

La deroga al carattere da ultimo indicato ha condotto alla figura atipica del pegno rotativo, il cui tratto caratteristico è costituito dalla possibilità di sostituire l’originario bene oggetto della garanzia reale con altri beni. In forza del mentovato contratto di pegno, cui accede una clausola che prevede la sostituibilità della cosa oggetto di pegno (c.d. clausola di rotatività o di sostituzione), il creditore beneficerebbe della possibilità di assoggettare a pegno un bene diverso da quello precedentemente vincolato e tale da determinare la perpetuazione del vincolo pignoratizio, senza necessità di concludere un nuovo contratto e senza che si verifichi alcuna ipotesi di modificazione del rapporto obbligatorio tale da importare la novazione dello stesso.

La clausola di rotatività è nota da tempo nei circuiti bancari, laddove consente alla banca – nel caso in cui giungano a scadenza i titoli obbligazionari dati in pegno da un cliente – di ottenerne di nuovi, evitando qualsivoglia vicenda interruttiva del contratto di garanzia.

A ragion veduta, il principio di specialità assolve ad una specifica ratio di tutela: fissando come requisito quello del riferimento ad un preciso bene, il legislatore avrebbe inteso evitare che il creditore pignoratizio – legittimato dalla clausola contrattuale de qua a modificare il bene originariamente dato in pegno – lo sostituisse con altro di maggior valore. Nel caso indicato, difatti, il subentro di un bene di maggior valore determinerebbe un duplice simultaneo effetto: favorevole per il creditore assistito da pegno (che potrebbe far valere la propria pretesa su un bene di valore più elevato rispetto a quello originario), ma sfavorevole per i creditori c.d. chirografari (ossia non assistiti da cause legittime di prelazione), i quali vedrebbero così ridotta la parte di patrimonio del comune debitore destinata al loro soddisfacimento[8].

Alla luce di quanto esposto, pertanto, risulta evidente come il criterio effettivamente indicativo della legittimità dell’operazione di sostituzione del bene originariamente dato in pegno debba essere ravvisato non nella cosa in sé, non nella individualità del bene, bensì nel valore economico del bene, che dunque potrebbe essere sostituito soltanto con beni di pari valore rispetto a quelli originariamente vincolati[9]. In tal modo, infatti, la posizione del creditore pignoratizio non riceverebbe un beneficio ingiusto a discapito degli altri creditori in concorso e questi ultimi non sarebbero pregiudicati da alcuna manovra fraudolenta del primo.

4. La sentenza n. 12733/2021 della Corte di Cassazione

Con la pronuncia indicata in rubrica[10], il Supremo Consesso ha ribadito – in materia di pegno rotativo – l’impossibilità di prescindere dal dato costituito dall’indicazione del valore della cosa data in pegno, atteso che la sostituzione del bene originariamente assoggettato al vincolo pignoratizio può avere luogo soltanto se il nuovo bene presenti un valore contenuto entro i limiti del primo.

Invero, in base a quanto statuito dal Collegio di legittimità in plurime occasioni, la presenza di una scrittura, dalla quale risulti il pegno, è necessaria proprio per evitare ab origine il rischio che la cosa oggetto di pegno venga sostituita con altra di maggiore valore, così violando il principio della par condicio creditorum. Non a caso il codice civile (art. 2787, comma 3, c.c.) – nel disciplinare il regime della prelazione riconosciuta al creditore pignoratizio – prescrive che detto effetto tipico (di preferenza) si verifichi soltanto al ricorrere di due condizioni: 1. il pegno deve risultare da una scrittura avente data certa (se il credito garantito eccede la somma di € 2,58); 2. la scrittura stessa deve contenere una sufficiente indicazione sia del credito che della cosa data in pegno.

La Corte ricorda che la figura del pegno rotativo è stata accolta da parte della stessa giurisprudenza di legittimità – per come gemmata dalla prassi – senza, tuttavia, intaccare minimamente la regola della parità di trattamento dei creditori. Con maggio sforzo ricostruttivo, i giudici hanno chiarito che il rispetto di siffatta regola è stato assicurato per il tramite di uno spostamento di referente, relativo alla “sufficiente indicazione […] della cosa” (art. 2787, comma 3, c.c.): nel contratto di pegno, per garantire l’effettività della tutela ai creditori concorrenti, le parti (debitore e creditore pignoratizio) devono indicare sufficientemente non più “la res gravata da pegno nella sua propria consistenza fisica” ma il “valore economico della cosa originariamente posta in garanzia”. Il valore economico della res, pertanto, assurge ad unico parametro e limite non valicabile nelle operazioni di successiva sostituzione del bene.

A tal riguardo, per recuperare l’inquadramento giuridico al sostrato fattuale della vicenda, la tesi sostenuta dall’istituto bancario maltese s’impernia su un dato interessante: emergerebbe, ad un più attento esame, che il valore effettivamente realizzabile sulle cose date in pegno (specifici prodotti dell’industria siderurgica, all’evidenza sostituiti da altri) sarebbe comunque inferiore al valore della cosa assoggettata a pegno ab initio.

Stando al dictum della Corte di legittimità, la censura, però, incorre in un errore di impostazione, giacché, in materia di prelazione pignoratizia, la tutela dei creditori (attraverso l’ottemperanza alla succitata regola della par condicio) è assicurata attraverso un meccanismo congegnato dal legislatore secondo specifiche coordinate.

L’analisi delle disposizioni in materia di pegno, infatti, consente di delineare un ordinamento normativo tale da prescrivere che sia indicato sufficientemente il valore economico del bene inizialmente dato in garanzia; ne deriva che il giudice deve compiere una verifica preventiva (ex ante), onde accertare che il prefato valore sia indicato in tal modo. Per converso, stando alla tesi prospettata dalla società ricorrente, si dovrebbe considerare che, in fin dei conti, il valore comunque realizzabile dal bene sostitutivo non travalicherebbe quello del bene originario; in altri termini, il giudice dovrebbe compiere una verifica successiva (ex post), al fine di controllare che il valore (non indicato affatto o non indicato in modo sufficiente) del bene originario non sia stato oltrepassato da quello ottenuto dal nuovo bene. Ebbene, una simile lettura della disciplina pignoratizia, finalizzata alla normazione della figura del pegno rotativo, “non risponde alla scelte adottate dal sistema normativamente vigente”.

Merita, infine, di essere imbastita anche la questione delle sorti del contratto di pegno con clausola di rotatività nel caso in cui le parti non abbiano sufficientemente indicato il valore economico della cosa, in tal modo modulando la propria autonomia negoziale in senso difforme rispetto a quanto richiesto ex lege (nei termini puntualizzati dalla giurisprudenza di legittimità). Siffatta deficienza strutturale del patto di rotatività – secondo la linea di pensiero sviluppata nel tempo dalla stessa Suprema Corte – non determina la nullità del patto, incidendo invece sugli effetti scaturenti dallo stesso.

Con maggior intento chiarificatore, nel caso in cui il patto di rotatività siglato tra datore del pegno (debitore o soggetto terzo) non rechi sufficiente indicazione del valore economico della res oggetto di garanzia reale, non si produrrà l’effetto tipico del meccanismo rotativo, ossia la sostituzione del bene originario con altro bene senza alcuna interruzione del rapporto di pegno (che, di norma, grazie alla clausola de qua, rimane unitario e continuo). Viceversa, siffatta carenza strutturale determinerà, nell’orizzonte effettuale, la sterilizzazione del patto di rotatività in ordine al menzionato effetto: il bene originario sarà parimenti sostituito con un nuovo bene, ma detto pegno sarà “nuovo”.

Nel caso da ultimo indicato, si verificano quegli effetti estintivi e novativi del precedente rapporto obbligatorio di garanzia, che non si registrano, invece, in caso di pegno rotativo strutturalmente perfetto, atteso che la clausola di rotatività consente al creditore di mantenere integro il rapporto di pegno con il debitore, con l’ulteriore beneficio di sostituire il bene originario il cui valore sia esposto a progressiva riduzione.

[1] Cfr. R. GALLI, Nuovo corso di diritto civile, CEDAM, Milanofiori Assago (MI) 2017, p. 1105, in cui il pegno è definito come “il contratto di garanzia mobiliare per eccellenza”.

[2] Di solito si pone l’esempio del pegno avente ad oggetto il diritto di usufrutto su un bene mobile: cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, XIX edizione aggiornata, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2019, p. 666.

[3] È ben possibile che la cosa sia posta nella custodia di entrambe le parti, trovandosi in tal caso il debitore (o il terzo costituente) nell’impossibilità di disporre della res senza la cooperazione del creditore (art. 2786 c.c.). Può inoltre verificarsi la diversa evenienza in forza della quale un soggetto terzo, designato dalle parti, debba concretamente appropriarsi del bene oggetto di pegno.

[4] Si tenga presente che la costituzione di pegno non determina il trasferimento del diritto di proprietà del debitore (o del terzo) costituente in capo al creditore pignoratizio, bensì la titolarità del solo possesso da parte di quest’ultimo. Detta vicenda traslativa del diritto di proprietà non è una mera caratteristica del procedimento di costituzione del pegno, ma rappresenta l’oggetto di un preciso divieto (il divieto del c.d. patto commissorio) fissato ex lege (art. 2744 c.c.). La presenza di figure di pegno connotate in senso difforme – e tali da determinare il trasferimento del diritto di proprietà in capo al creditore – si giustifica collocando le stesse nell’area di atipicità dell’istituto, ovverosia al di fuori del regime normativo codicistico del pegno: non è un caso che una garanzia reale così conformata prenda il nome di “pegno irregolare”.

[5] F. GAZZONI, op. cit., p. 667.

[6] F. BOCCHINI – E. QUADRI, Diritto privato, IV edizione, G. Giappichelli Editore, Torino 2011, p. 633.

[7] R. GALLI, op. cit., p. 1105.

[8] In questi termini R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto civile, I edizione, Itaedizioni, Torino 2019, p. 763. L’A. ricorda che sono diverse le ipotesi di pegno rotativo ormai positivizzate: il pegno di strumenti finanziari dematerializzati, il pegno in materia di contratti di garanzia finanziaria (d.lgs. n. 170/2004). È prevista altresì la possibilità di trasformare il bene oggetto di pegno, come accade per il pegno su prosciutti d.o.c. e per quello sui formaggi a lunga stagionatura.

[9] Cfr. R. GALLI, op. cit., p. 1108: “La rilettura in chiave moderna delle norme del codice civile in tema di garanzie, e, in particolare, del pegno, impone, allora, di ritenere che ne sia oggetto imprescindibile il valore economico del bene e non la sua entità materiale infungibile”.

[10] Consultata al link di seguito: http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20210513/snciv@s61@a2021@n12733@tO.clean.pdf.

Francesco Zoppi

Dottore magistrale in Giurisprudenza, nato nel 1993. Dopo il conseguimento della maturità classica presso l'Istituto "F. De Sanctis" di Sant'Angelo dei Lombardi, decide di proseguire gli studi presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Napoli "Federico II". Nel mese di ottobre del 2018 consegue il diploma di laurea con votazione finale di 110 e lode (media ponderata del 29/30), discutendo una tesi in Filosofia del diritto, intitolata "Una rilettura filosofico-giuridica dell'Antigone di Sofocle", sotto la guida del Prof. Fabio Ciaramelli. L'argomento prescelto per l'elaborato conclusivo gli permette di portare a sintesi (nel limitato orizzonte redazionale della tesi stessa) i percorsi formativi seguiti e la passione per il diritto e la letteratura. Nel mese di settembre 2020 conclude il periodo di tirocinio formativo e di pratica forense presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, conseguendo i relativi titoli necessari per l'accesso all'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense e per la partecipazione al concorso in magistratura. Ha seguito corsi di formazione in vista del concorso pubblico da ultimo menzionato. Ѐ iscritto nel registro dei praticanti avvocati dell'Ordine degli Avvocati di Avellino. Collabora con l'area di Diritto Civile della rivista giuridica Ius in itinere dal mese di aprile 2021. E-mail: francesco.zoppi12@gmail.com Profilo LinkedIn: https://www.linkedin.com/in/francesco-zoppi-67a067180/

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