martedì, Aprile 16, 2024
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Perché la Corte Penale Internazionale non interviene in Siria?

La Corte Penale Internazionale (CPI), istituita il il 17 luglio 1998 con trattato internazionale – il c.d. Trattato di Roma –  è un organo giurisdizionale che si occupa di giudicare i criminali responsabili dei reati più seri per la comunità internazionale (crimina iuris gentium). In particolare, la sua competenza è limitata alla prosecuzione dei seguenti crimini: il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra ed il crimine di aggressione (recentemente definito nella Conferenza di Kampala). [1]

Le continue violazioni di diritti umani e del diritto umanitario perpetrate  nel corso del conflitto siriano dai vari attori in campo, ed in particolare dal governo di Bashar Al-Assad, nei confronti del popolo siriano rientrerebbero nelle fattispecie di “crimini contro l’umanità” e “crimini di guerra”. La domanda che potrebbe sorgere, allora,  è la seguente: perché la Corte Penale Internazionale non interviene?

Ebbene, la CPI è un organo giurisdizionale creato tramite trattato, significa che sono gli Stati a decidere se essere parte o meno del meccanismo di giustizia internazionale: se uno Stato non firma il Trattato di Roma, è, tendenzialmente, fuori dal mirino della Corte. La Siria, come prevedibile, è tra gli Stati non firmatari dello Statuto della CPI, nè ha accettato la giurisdizione della CPI con apposita dichiarazione (come previsto ex art. 12, par. 3).

Tuttavia, un modo per portare gli autori responsabili dei crimini in Siria dinanzi alla Corte Penale Internazionale, in realtà, esiste: lo strumento da utilizzare sarebbe un deferimento tramite il Consiglio di Sicurezza (CdS).  Infatti, la giurisdizione della Corte Penale Internazionale può essere attivata in tre modi: tramite segnalazione di uno Stato Parte, su iniziativa del Procuratore della CPI (l’organo di accusa) o su segnalazione del Consiglio di Sicurezza. Nei primi due casi, però, vi è un limite: possono essere riportate questioni soltanto se avvenute nel territorio di uno Stato Parte o se commesse da un cittadino di uno Stato Parte (anche se sul territorio di uno Stato terzo). Queste restrizioni non valgono nel caso del deferimento tramite Consiglio di Sicurezza: bisogna sempre che i reati siano quelli elencati nell’art. 5 e che siano stati commessi dopo l’entrata in vigore dello Statuto di Roma, ma non vi è più il limite della territorialità e della nazionalità. Il Consiglio di Sicurezza può attivare la Corte Penale Internazionale sulle violazioni commesse da qualsiasi Stato, che sia parte o no dello Statuto. Il problema, in questo caso, non è giuridico, ma politico: in seno a quest’ultimo, le cinque potenze permanenti godono del diritto di veto, che possono utilizzare a proprio piacimento per bloccare l’adozione di una risoluzione. È quanto avviene in rapporto alla questione siriana: essendo alcuni Stati del CdS anche protagonisti del conflitto in Siria, in particolar modo la Russia, aperta sostenitrice del governo di Assad, entrano in gioco interessi “personali”. Come ha denunciato Richard Dicker dell’organizzazione non governativa Human Rights Watch si bada più a proseguire i nemici e proteggere gli amici che ad assicurare la giustizia internazionale. [2]

In relazione alla Siria, nel 2014 fu avanzata una proposta di risoluzione su iniziativa della Francia, supportata da 65 paesi, tra cui l’Italia, per deferire la questione dinanzi alla Corte Penale Internazionale, ma Russia e Cina bloccarono il progetto. Ancora oggi, la situazione è in stallo, nonostante nei suoi rapporti il Segretario Generale dell’ONU (ultimo rapporto del 19 aprile 2018 [3]) inviti il CdS ad attivare la CPI.

Il rischio è che a pagarne il prezzo siano, ancora una volta, i siriani, che dopo 7 anni di guerra civile, dovranno anche sopportare il peso dell’impunità.

 

[1] Art. 5 dello Statuto di Roma 

[2] “UN Security Council: Address Inconsistency in ICC Referrals” in https://www.hrw.org/news/2012/10/16/un-security-council-address-inconsistency-icc-referrals, 1 maggio 2018

[3] Report of the Segretary General, Implementation of Security Council resolutions 2139 (2014), 2165 (2014), 2191 (2014), 2258 (2015), 2332 (2016), 2393 (2017) and 2401 (2018), S/2018/369, 19 aprile 2018, par. 45

Foto: Khaled Khatib (Afp)

Claudia Cantone

Laureata con lode e menzione presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Napoli "Federico II", ha conseguito il dottorato di ricerca in "Internazionalizzazione dei sistemi giuridici e diritti fondamentali" presso l'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli". Durante gli anni di formazione, ha periodi di ricerca all'estero presso l'Università di Nantes (Francia), l'Università di Utrecht (Olanda) e il King's College London (Regno Unito). Avvocato presso lo studio legale "Saccucci & Partners", specializzato nel contenzioso nazionale e internazionale in diritti umani e diritto penale europeo e internazionale. Indirizzo mail: claudia.cantone@gmail.com

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