giovedì, Marzo 28, 2024
Diritto e Impresa

Più trasparenza sull’origine degli alimenti: il caso Lactalis

a cura di Francesca Michetti

Sì all’etichetta di origine del latte se si dimostra l’esistenza di un nesso fra la qualità del prodotto e la sua provenienza. È quanto stabilito dalla Corte di giustizia Ue nella causa C‑485/18 – Groupe Lactalis contro Premier ministre di Francia et al.[1] – instaurata su rinvio pregiudiziale del Conseil d’État (Consiglio di Stato francese) circa la corretta interpretazione del Regolamento (UE) n. 1169/2011 – Informazioni ai consumatori sugli alimenti[2]. La normativa europea non osta, dunque, all’adozione di disposizioni nazionali che impongono ulteriori indicazioni d’origine o di provenienza, purché vengano rispettate determinate condizioni.

Il caso

Nel 2016, la Groupe Lactalis proponeva ricorso dinanzi al Conseil d’État francese contro il Premier ministre, il ministre de la Justice, il ministre de l’Agriculture et de l’Alimentation nonché il ministre del’Économie et des Finances, per ottenere l’annullamento del decreto n. 2016-1137, del 19 agosto 2016, relativo all’indicazione dell’origine (francese, europea o extra-europea) del latte nonché del latte e delle carni utilizzati come ingredienti in alimenti preconfezionati.

A sostegno delle proprie argomentazioni, la Lactalis deduceva, in particolare, due motivi, relativi alla violazione, da parte di tale decreto, degli artt. 26 (Paese di origine o luogo di provenienza), 38 (Disposizioni nazionali) e 39 (– Disposizioni nazionali sulle indicazioni obbligatorie complementari) del Regolamento n. 1169/2011.

In avvio di giudizio, il Conseil d’État – in applicazione dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte di giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali:

  • Se l’articolo 26 del regolamento n. 1169/2011 («Paese d’origine o luogo di provenienza»), debba essere considerato, nei limiti in cui rende obbligatoria l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza del latte e del latte usato quale ingrediente, come «materia espressamente armonizzata» da detto regolamento ai sensi dell’articolo 38, paragrafo 1; e, in caso affermativo, se debba essere interpretato nel senso che esso osta al riconoscimento agli Stati membri della facoltà di adottare disposizioni che impongono ulteriori indicazioni obbligatorie sulla base dell’articolo 39 di detto regolamento;
  • se, ove le disposizioni nazionali siano giustificate dalla protezione dei consumatori ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 1, del regolamento n. 1169/2011, i due criteri di cui al paragrafo 2 – vale a dire l’esistenza di un «un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza», da un lato, e gli «elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni», dall’altro – debbano essere letti congiuntamente. In particolare, se il giudizio sull’esistenza di tale nesso comprovato possa essere fondato su elementi soltanto soggettivi, concernenti il valore dell’associazione che la maggior parte dei consumatori può stabilire tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza;
  • se l’articolo 39, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011 debba essere interpretato nel senso che la nozione di «qualità dell’alimento» include la capacità dell’alimento di resistere al trasporto e ai rischi di alterazione nel corso del tragitto, cosicché tale capacità possa rilevare nel quadro della valutazione dell’esistenza di un «nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza», di cui alla suddetta disposizione.

La pronuncia della Corte

Per quanto riguarda, in primo luogo, la questione se l’articolo 26 del regolamento n. 1169/2011 debba essere considerato come «materia espressamente armonizzata» da detto regolamento, occorre constatare che nessuna disposizione di quest’ultimo elenca tali materie. Pertanto, l’identificazione delle stesse deve essere effettuata «nel rigoroso rispetto del tenore letterale del regolamento n. 1169/2011»[3].

Orbene, il regolamento n. 1169/2011 prevede, in maniera armonizzata, l’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti diversi da talune categorie di carni, e quindi del latte e del latte usato quale ingrediente, nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore i consumatori (art. 26).

Tuttavia, la Corte osserva che detta armonizzazione non osta a che gli Stati membri adottino disposizioni che prevedono ulteriori indicazioni obbligatorie d’origine o di provenienza, purché siano rispettati i requisiti di cui all’articolo 39 del regolamento n. 1169/2011:

  • in via preliminare, dette ulteriori indicazioni obbligatorie possono riguardare solo «tipi o categorie specifici di alimenti» e non tali alimenti considerati indistintamente (par. 32);
  • siffatte indicazioni devono altresì essere giustificate da uno o più motivi attinenti alla protezione della salute pubblica, alla protezione dei consumatori, alla prevenzione delle frodi, alla protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza e delle denominazioni d’origine controllata, nonché alla repressione della concorrenza sleale;
  • Inoltre, la loro adozione è possibile solo ove esista un «nesso comprovato tra talune qualità degli alimenti di cui trattasi e la loro origine o provenienza» e ove gli Stati membri forniscano elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni.

Con riguardo alla seconda questione, la Corte sottolinea come la struttura e la formulazione dell’articolo 39, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011 lascino intendere chiaramente l’intento legislativo di separare nettamente i due requisiti, assegnando a ciascuno di essi un obiettivo distinto nonché un ruolo diverso nell’attuazione della disposizione in esame. Infatti, laddove il requisito relativo a un «nesso comprovato» tra talune qualità degli alimenti e la loro origine o provenienza mira a stabilire, a monte, l’esistenza di tale nesso in ciascuna fattispecie; il requisito relativo alla percezione condivisa dalla maggioranza dei consumatori interviene a valle, in modo accessorio e complementare rispetto al primo, nella misura in cui impone allo Stato membro interessato di fornire la prova che una siffatta informazione è dotata di un valore significativo agli occhi della maggioranza[4]. Pertanto, in presenza di disposizioni nazionali che siano giustificate dalla protezione dei consumatori, i due requisiti di cui all’ articolo 39 non devono essere intesi congiuntamente, bensì devono essere esaminati in successione[5]. Ne consegue che l’esistenza di un siffatto nesso comprovato non può essere valutata solo sulla base di elementi soggettivi, attinenti al valore dell’associazione che la maggior parte dei consumatori può stabilire tra talune qualità dell’alimento di cui trattasi e la sua origine o provenienza.

 Infine, per quanto attiene alla nozione di “qualità” degli alimenti (art. 39, paragrafo 2, del regolamento n. 1169/2011), la Corte osserva che tale nozione rinvia esclusivamente alle qualità che sono legate all’origine o alla provenienza di un dato alimento e che distinguono, di conseguenza, quest’ultimo dagli alimenti che hanno un’altra origine o un’altra provenienza[6]. Ciò non include la capacità di un alimento, come il latte o il latte usato quale ingrediente, di resistere al trasporto e ai rischi di alterazione nel corso del tragitto. Capacità che, si noti, non è collegata, in modo comprovato, a un’origine o a una provenienza precisa ma ben può essere posseduta da alimenti simili non aventi tale origine o provenienza[7]. Pertanto, tale capacità non può rilevare ai fini della valutazione dell’esistenza di un eventuale «nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza».

Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte di Giustizia ha ritenuto che le disposizioni nazionali francesi in materia di obbligo di indicazione in etichetta dell’origine del latte non violino il Regolamento n. 1169/2011. La decisione finale spetterà in ogni caso al Conseil d’État francese.

Etichetta più trasparente: sono gli italiani a chiederlo

Negli ultimi anni, è aumentata sensibilmente l’attenzione verso l’origine e la provenienza dei prodotti alimentari. Nove italiani su dieci vogliono conoscere l’origine delle materie prime dei prodotti agroalimentari e chiedono etichette chiare e trasparenti[8]. È quanto emerge dalla consultazione pubblica online sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari avviata dal Ministero delle politiche agricole lo scorso dicembre 2014. Lo conferma l’indagine promossa da Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) con il Mipaaf, tra il dicembre 2018 ed il gennaio 2019, per valutare quanto fosse maturato nel tempo l’interesse dell’opinione pubblica italiana per la trasparenza delle etichette.

I dati indicano che per l’83% dei partecipanti l’origine italiana è l’elemento che influenza maggiormente la scelta di un prodotto al momento dell’acquisto; oltre il 95%, inoltre, chiede che l’origine della materia prima sia indicata in maniera più chiara e leggibile in etichetta[9].

Permangono, tuttavia, alcuni dubbi circa la compatibilità con l’ordinamento UE delle numerose disposizioni nazionali sull’indicazione obbligatoria dell’origine/provenienza di alcuni alimenti. Ricordiamo infatti che, in Italia, l’obbligo di indicazione dell’origine degli alimenti non riguarda soltanto il latte ma anche altri alimenti ed ingredienti, fra i quali il grano per la pasta [10] nonché il riso [11] e il pomodoro [12]; e che esso è previsto in qualsiasi caso, non solo nel caso in cui l’etichetta possa essere fuorviante.

In particolare, le confezioni di pasta secca prodotte in Italia devono obbligatoriamente indicare in etichetta le diciture relative al paese di coltivazione del grano e al paese di molitura; quanto alle confezioni di derivati del pomodoro, sughi e salse prodotte in Italia, è obbligatoria l’indicazione del paese di coltivazione e del paese di trasformazione del pomodoro; idem dicasi per l’etichetta del riso che deve indicare il paese di coltivazione, il paese di lavorazione e il paese di confezionamento del riso. E per latte, pasta, riso e pomodoro, l’obbligo di etichettarne l’origine è stato prorogato – con decreto ministeriale del 1° aprile 2020[13] – fino al 31/12/2021.

Da ultimo, segnaliamo il Decreto del 6 agosto 2020 che stabilisce le indicazioni obbligatorie in etichetta del luogo provenienza delle carni suine trasformate, entrato in vigore di recente (il 15 novembre 2020) ed introdotto in via sperimentale fino al 31 dicembre 2021[14].

La normativa nazionale muove nella direzione di una sempre maggiore trasparenza e comprensibilità delle informazioni per tutti i consumatori, «rafforzando così la tutela dei produttori e dei rapporti di filiere fondamentali per l’agroalimentare Made in Italy»[15].

 

[1] Corte di Giustizia UE, Sez. 3^, sent. 1° ottobre 2020, causa C‑485/18, Groupe Lactalis v. Premier ministre, Ministre de l’Agriculture et de l’Alimentation, Garde des Sceaux, ministre de la Justice, Ministre de l’Économie et des Finances http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=234147&mode=req&pageIndex=1&dir=&occ=first&part=1&text=&doclang=IT&cid=16768108

[2] Regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione (GU 2011, L 304, pag. 18).

[3] Corte di giustizia UE, Sez. 3^, sentenza 1° ottobre 2020, causa C‑485/18 (punto 25).

[4] Corte di giustizia UE, Sez 3^, sentenza 1° ottobre 2020, (punti 36; 37; 38).

[5] Corte di giustizia UE, Sez 3^, sentenza 1° ottobre 2020, (punto 3).

[6] Corte di giustizia UE, Sez 3^, sentenza 1° ottobre 2020, (punto 50).

[7] Corte di giustizia UE, Sez 3^, sentenza 1° ottobre 2020, (punto 51).

[8] Etichetta trasparente: necessaria per 9 italiani su 10. Il sole 24 ore, 2015, disponibile qui: https://st.ilsole24ore.com/art/food/2016-10-28/etichetta-trasparente-necessaria-9-italiani-10-131616.shtml

[9] Ponti C., Rosso F. Quando occorre indicare il paese d’origine nelle etichette alimentari; dalla normativa al consumatore. Agrifood.tech, 2020, disponibile qui: https://www.agrifood.tech/food-supplychain/quando-occorre-indicare-il-paese-dorigine-nelle-etichette-alimentari-dalla-normativa-al-consumatore/

[10] Decreto 26 Luglio 2017, Indicazione dell’origine, in etichetta, del grano duro per paste di semola di grano duro, disponibile qui: https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2017-08-17&atto.codiceRedazionale=17A05704&elenco30giorni=true

[11]Decreto 26 Luglio 2017, Indicazione dell’origine in etichetta del riso, disponibile qui: https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2017-08-16&atto.codiceRedazionale=17A05698&elenco30giorni=true

[12] Decreto 16 Novembre 2017, Indicazione dell’origine in etichetta del pomodoro, disponibile qui: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/02/26/18A01366/sg

[13] Decreto 1° aprile 2020, Proroga delle disposizioni obbligatorie di indicazione dell’origine, in etichetta, del grano duro per paste di semola di grano duro, del riso e dei derivati del pomodoro, disponibile qui: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/07/08/20A03521/sg

[14] Decreto 6 agosto 2020, Disposizioni per l’indicazione obbligatoria del luogo di provenienza nell’etichetta delle carni suine trasformate, disponibile qui: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/09/16/20A04874/sg

[15] Comunicato stampa Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, disponibile qui: https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11589

 

Francesca Michetti

Francesca Michetti. Nasce a Chieti nel 1992. Laureata in giurisprudenza presso la LUISS Guido Carli con 110/110 e lode. Durante la stesura della tesi, dal titolo “Il divieto di perizia psicologica sull’imputato”, sviluppa un particolare e profondo interesse per lo studio del complesso rapporto tra il diritto, la psicologia e le neuroscienze. Spinta dal desiderio di avvicinarsi alla conoscenza scientifica del comportamento umano e dei meccanismi cognitivi e celebrali che lo governano, intraprende il dottorato in Business and Behavioral Science presso l’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara. Si descrive come una persona curiosa, riflessiva, precisa e determinata: le piace andare oltre la superficie di tutte le cose, alla ricerca del senso più profondo, di sé e degli altri.

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