sabato, Aprile 20, 2024
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Politica economica. Le diverse scuole di pensiero

La politica economica rientra nella strategia degli interventi che lo Stato mette in pratica per garantire il benessere economico della popolazione, dandosi alcuni obiettivi specifici, quali: crescita dell’occupazione; sviluppo geografico; equidistribuzione delle risorse; lotta all’inflazione.

Alla base della politica economica vi sono i dieci principi di economia che sono suddivisi in tre macro-aree, nella prima rientrano i quattro principi delle decisioni individuali, nella seconda i tre principi fondamentali dell’interazione tra individui e infine nell’ultima i tre principi che regolano il sistema economico. Sulla teoria dell’economia politica ci sono diverse scuole di pensiero, le più importanti sono la teoria neoclassica e la teoria keynesiana; i primi, a differenza degli autori classici, si concentravano sulla scarsità delle risorse e sui problemi della loro attribuzione per raggiungere il massimo livello di efficienza e di benessere, divenendo centrali le questioni dello scambio – il momento in cui gli attori economici vendono e acquistano beni – e del mercato – luogo in cui avviene lo scambio.

I neoclassici espongono, rigorosamente, la teoria della “mano invisibile” di Smith, in cui si ipotizza che gli attori economici generano ordine sociale e sviluppo nonostante non agiscano intenzionalmente; infine, importanti sviluppi sono stati dati da Alfred Marshall e Joseph Schumpeter, il primo si focalizza sullo studio della formazione del prezzo nei singoli mercati, determinato dai meccanismi regolatori di domanda e offerta e dipendendo dall’utilità del bene e dal costo che bisogna sostenere per realizzarlo; il concetto è stato sintetizzato dalla croce marshalliana in cui esiste un mercato in equilibrio quando, per un dato prezzo, domanda e offerta sono in equilibrio; il secondo, invece, si concentra sulla crescita economica che è influenzata dalla capacità di introdurre dei cambiamenti all’interno del sistema di produzione, questo perché il profitto non è altro che la remunerazione per l’abilità dell’imprenditore di introdurre modifiche nei processi aziendali, infatti secondo Schumpeter, il principale compito del sistema finanziario è quello di promuovere l’innovazione.

I teorici neoclassici, nella composizione delle loro teorie, riconoscono la necessità di ottenere un aiuto dallo Stato per cercare di porre rimedio ai fallimenti del mercato, causati dalla tendenza delle imprese a strutturarsi sulla linea del monopolio[1], un caso di fallimento riguarda la produzione e il consumo di beni che presentano economie e diseconomie esterne, ovvero sono situazioni in cui le imprese o il consumatore generano, attraverso il loro comportamento, costi o benefici per cui è impossibile determinare un equivalente, come ad esempio nei beni pubblici o produzioni inquinanti; beni pubblici ed esternalità sono dei casi di fallimento dei mercati in quanto impediscono il funzionamento di quest’ultimi poiché nascondono i prezzi che i consumatori sarebbero realmente disposti a pagare per ottenerli. Un ultimo caso di fallimento è inerente alla distribuzione dei redditi, questo perché le imprese potrebbero ottenere dal punto di vista produttivo un risultato efficiente, ma non a livello sociale, subentrando un problema di scelta tra efficienza ed equità.

Su queste ipotesi possiamo osservare che i teorici neoclassici assegnano allo Stato un ruolo più complesso del semplice garante, in quanto attraverso il liberismo e la mano invisibile sono utili quando permettono l’allocazione delle risorse e equidistribuzione del reddito che sia più desiderabile collettivamente; rientra in questo discorso il concetto di “ottimo paretiano” formulato da Vilfredo Pareto, secondo il quale un gruppo sociale ottiene il massimo benessere senza peggiorare le condizioni dei singoli individui che compongono il gruppo, raggiungendo quindi il benessere collettivo, questa  condizione si verifica quando ci troviamo in un sistema economico organizzato sulla base dei principi della concorrenza perfetta.

Innovativi sono stati gli sviluppi apportati alla politica economica da John Maynard Keynes,che diede vita alla “rivoluzione keynesiana”; sostituì la legge di Say[2] – neoclassica – con il principio della domanda effettiva secondo il quale la produzione delle imprese trova un limite nella domanda del consumatore, poiché superando tale limite si sviluppa surplus, dovendo ridurre attività e occupazione; su queste considerazione Keynes introduce il concetto di disoccupazione di massa, che è il risultato di un livello insufficiente di domanda aggregata e per arginarlo – secondo l’economista – bisogna affidarsi all’intervento di un soggetto esterno al mercato, lo Stato, che ha come obiettivo il “pieno impiego” e il controllo sulle aziende per evitare lo spreco di risorse; inoltre ha spostato il centro focale sul ruolo macroeconomico della spesa pubblica, ovvero aumentando la domanda di beni e servizi aumenterà proporzionalmente la produzione e l’occupazione. Su queste basi nasce la politica di bilancio che è il mezzo più efficiente per ridurre i limiti del sistema economico, di eliminare il difetto strutturale dell’incapacità di realizzare il pieno impiego ed è l’insieme degli interventi grazie ai quali lo Stato gestisce le proprie entrate e spese.

 

Fonti:

[1] Il monopolio è una forma di mercato caratterizzata da un unico venditore capace di esercitare il controllo sul mercato di quel determinato bene.

[2] Teoria economica secondo la quale è l’offerta a creare la domanda, ovvero secondo Jean-Baptiste Say in un contesto macroeconomico non può esserci sovrapproduzione, ovvero una carenza di domanda rispetto all’offerta.

 

www.ginnasi.it – La teoria neoclassica e la rivoluzione keynesiana.

www.treccani.it – Dizionario di Economia e Finanza Treccani.

Mankiw Gregory N., Taylor Mark P., Principi di economia, Zanichelli, novembre 2011.

Roberta Iacobucci

Laureata in Sociologia all'Università di Napoli "Federico II", tesi di laurea in Statistica per la ricerca sociale sulla comparazione degli indicatori economici e sociali che si usano per misurare il grado di povertà di un Paese. Laureata con lode in Comunicazione, Valutazione e Ricerca Sociale presso l'Università di Roma "La Sapienza", tesi di laurea in Sociobiologia e Teoria dei giochi, per l'analisi dell'agire strategico cooperativo in riferimento al suo grado di funzionamento all'interno della società. Area di interesse: Politica Economica

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