venerdì, Marzo 29, 2024
Uncategorized

Il potere di partecipazione dei privati nel procedimento di pianificazione urbanistica

pianificazione

Il procedimento di pianificazione urbanistica è tanto importante quanto complesso e non si possono nascondere le lungaggini che ormai l’hanno caratterizzato.
Il legislatore voleva sì instaurare un sistema di “scelta partecipata”, ma non immaginava che ciò avrebbe reso tutto più difficile e farraginoso.

Come ogni procedimento amministrativo, anche quello relativo al Piano Regolatore Generale (o Piano Urbanistico Comunale) doveva rispettare tutte le fasi di formazione del provvedimento previste dal diritto urbanistico. E dopo aver approfondito le fasi dell’iniziativa e il relativo potere di cui essa è caratterizzata[1], è necessario analizzare anche le fasi successive, ossia quella dell’istruttoria e quella deliberativa.

La fase della “istruttoria” è di fondamentale importanza nei procedimenti di pianificazione urbanistica. È in questa fase del procedimento che comincia a delinearsi la volontà dell’amministrazione nel caso concreto, soggetta a mutamenti e verifiche fino al momento in cui non verrà tradotta in un formale atto giuridico finale scaturente dalla selezione tra le varie soluzioni in concreto emerse. Nell’istruttoria procedimentale prende forma una prima ipotesi di provvedimento, attraverso l’acquisizione e la preliminare valutazione dei fatti e degli interessi.
Nei procedimenti di pianificazione territoriale, vi è sempre un’attività  preliminare di determinazione degli indirizzi, generalmente dettati dall’organo che ha potere decisionale e sono rivolti all’ufficio che conduce l’istruttoria al fine di guidarne l’attività; anche quando manca quest’atto, che prende il nome di “delibera programmatica”, l’attività di fissazione dei criteri di impostazione del piano è comunque indispensabile e di fatto sempre individuabile. Le attività istruttorie sono finalizzate all’acquisizione di “elementi conoscitivi” utili alla decisione.

Questi consistono: in primo luogo, nella cosiddetta analisi delle vocazioni territoriali, sotto il profilo fisico, economico-sociale, storico-culturale, paesistico, nonché giuridico; in secondo luogo, nell’assunzione di pareri necessari o facoltativi di altre amministrazioni a contenuto prevalentemente tecnico. Inoltre, tali attività, comportano l’acquisizione di “elementi valutativi”, momento in cui si colloca la “redazione”,ossi la prima, ma provvisoria stesura del piano.
I procedimenti di pianificazione territoriale sono di norma caratterizzati da un’istruttoria che si forma in contraddittorio con gli interessati: vengono, cioè, sollecitati i privati a partecipare in quanto soggetti esterni all’amministrazione procedente. Le loro deduzioni prendono il nome di osservazioni ed opposizioni e sono viste come forme di intervento che si concretizzano in memorie scritte, le quali rivestono una funzione di garanzia, ovvero una finalità di collaborazione. Per l’amministrazione vi sarebbe solo l’obbligo di prenderle in esame e di indicare, anche in forma sintetica e cumulativa, le ragioni del loro eventuale non accoglimento.
La disciplina poc’anzi trattata è assai datata, tant’è vero che negli ultimi anni, la partecipazione, è mossa sempre più da ragioni di “controllo sociale”. Inoltre essa potrebbe essere anche più  costruttiva rispetto a quanto le viene assegnato in realtà. All’uopo, conviene constatare che spesso vengono previste forme di “partecipazione attiva[2], che per convenzione e comodità, la dottrina chiama “consultazioni”: si tratta di suggerimenti ed accorgimenti in merito all’impostazione da dare al piano da parte di organismi rappresentativi della cosiddetta società civile, quali sindacati, organizzazioni di imprenditori, associazioni politiche, ambientalistiche, culturali e così via.
Vi sono tuttora casi in cui il diritto positivo non prevede forme di partecipazione procedimentale alla formazione di atti con funzione di pianificazione territoriale.
Le ipotesi riguardano prevalentemente istituti ormai obsoleti come il “programma di fabbricazione” (P.F.) e il “programma costruttivo per l’edilizia economica e popolare” (P.E.E.P.); ma la fattispecie più conosciuta è quella riguardante la “localizzazione[3] delle opere pubbliche mediante procedimenti speciali”, ove spesso non è previsto l’intervento di privati. Ciò fa porre in dubbio l’intero sistema sulla partecipazione disciplinato dalla legge 241/90[4]: basti pensare all’art. 19 TU espr.[5] (Testo Unico sulle espropriazioni per pubblica utilità) che ammette in via generale la possibilità per i comuni di adottare varianti ai piani territoriali in sede di approvazione di progetti di opere pubbliche.  La questione sul “giusto procedimento” riguardo le opere pubbliche, è affrontata dall’art. 11 TU espr.[6] il quale prevede che al proprietario del bene su cui si intende apporre il vincolo preordinato all’esproprio, va inviato l’avviso dell’avvio del procedimento, sia nel caso di adozione di una variante al piano regolatore per realizzare una singola opera pubblica, sia nel caso che il vincolo sia disposto mediante una conferenza di servizi, un accordo di programma, ovvero un altro atto che possa  comportare la variante al piano urbanistico. Questa rappresenta senza dubbio, una partecipazione in funzione difensiva di posizioni proprietarie.

La fase decisoria o deliberativa si presenta spesso pluristrutturata, nel senso che ad essa prende parte più di un’amministrazione e perciò spesso la decisione si articola attraverso atti emessi a distanza di tempo l’uno dall’altro.
La dottrina parla, infatti, di “atto complesso” o  “derivante da procedimento composito”, questo perché tra il primo termine dell’atto complesso (l’adozione) ed il secondo termine (l’approvazione) il provvedimento può subire, e subisce normalmente, svariate modifiche.
Per quanto riguarda tale fase procedimentale è importante notare che gran parte della dottrina[7] sostiene che solo al momento della deliberazione vera e propria del piano può ritenersi raggiunto l’obiettivo auspicato dall’amministrazione e tutto quello che vi è stato fino a tale momento, era finalizzato meramente alla sua redazione tecnica. Altra parte della dottrina[8], riesce a sottolineare la natura giuridica del provvedimento, affermando che si tratta di un atto di natura decisoria: ciò consente, non solo di riconoscere le criticità delle due sub-fasi di adozione e approvazione, ma anche di evidenziarne i soggetti protagonisti delle stesse, comprendendo definitivamente quanto sia importante la concertazione degli interessi e delle esigenze nei procedimenti amministrativi in questione. Si tratterà comunque di “decisioni d’intesa”, le quali vanno comunque tenute distinte da quelle in cui l’atto preliminare è modificabile da parte di quello finale.

Dunque è evidente quanto la partecipazione dei privati sia importante in un sistema così congeniato. Ciononostante è importante notare come ci si trovi in una “morsa”, nella quale, da un lato, ci sono le esigenze di speditezza e certezza del procedimento amministrativo e dall’altro, la necessità di garantire i principi di trasparenza e partecipazione in favore dei privati. Una morsa che sembra stringersi sempre più soprattutto in caso di osservazioni dei privati, in quanto pare che in virtù di tale evenienza, il procedimento venga a intricarsi sempre più. E allora viene da chiedersi: “il legislatore sta facendo tutto il possibile per garantire la partecipazione? O c’è una velata e costante speranza che il procedimento proceda sempre senza l’intervento di soggetti esterni?

[1] Cfr. articolo precedente al seguente link.

[2]Cfr. URBANI P., CIVITARESE MATTEUCCI S., (2013). Diritto urbanistico – Organizzazioni e rapporti. Giappichelli Editore, Torino. Pag.121.
Art. 9 Legge sul procedimento amministrativo (Legge 7 agosto 1990, n. 241).

[3]Cfr. CASSESE S., (2000). Trattato di diritto amministrativo – Tomo terzo, Diritto amministrativo speciale – Finanza pubblica e privata, La disciplina dell’economia. Giuffrè Editore, Milano. Pag. 256.
[4] Legge sul Procedimento Amministrativo.

[5] Art. 19 (1) L’approvazione del progetto.

<< 1. Quando l’opera da realizzare non risulta conforme alle previsioni urbanistiche, la variante al piano regolatore puo’ essere disposta con le forme di cui all’articolo 10, comma 1, ovvero con le modalita’ di cui ai commi seguenti. (L)
2. L’approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte del consiglio comunale, costituisce adozione della variante allo strumento urbanistico.
3. Se l’opera non e’ di competenza comunale, l’atto di approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte della autorita’ competente e’ trasmesso al consiglio comunale, che può disporre l’adozione della corrispondente variante allo strumento urbanistico.
4. Nei casi previsti dai commi 2 e 3, se la Regione o l’ente da questa delegato all’approvazione del piano urbanistico comunale non manifesta il proprio dissenso entro il termine di novanta giorni, decorrente dalla ricezione della delibera del consiglio comunale e della relativa completa documentazione, si intende approvata la determinazione del consiglio comunale, che in una successiva seduta ne dispone l’efficacia.>>.
(1) Articolo così sostituito dal Dlgs. 27 dicembre 2002, n. 302.

Si veda anche Cfr. URBANI P., CIVITARESE MATTEUCCI S., (2013). Diritto urbanistico – Organizzazioni e rapporti. Giappichelli Editore, Torino.

[6] Art. 11. (1)La partecipazione degli interessati.

<< 1. Al proprietario, del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all’esproprio, va inviato l’avviso dell’avvio del procedimento:
a) nel caso di adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di una singola opera pubblica, almeno venti giorni prima della delibera del consiglio comunale;
b) nei casi previsti dall’articolo 10, comma 1, almeno venti giorni prima dell’emanazione dell’atto se cio’ risulti compatibile con le esigenze di celerita’ del procedimento.
2. L’avviso di avvio del procedimento e’ comunicato personalmente agli interessati alle singole opere previste dal piano o dal progetto. Allorche’ il numero dei destinatari sia superiore a 50, la comunicazione e’ effettuata mediante pubblico avviso, da affiggere all’albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo, nonche’ su uno o piu’ quotidiani a diffusione nazionale e locale e, ove istituito, sul sito informatico della Regione o Provincia autonoma nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo. L’avviso deve precisare dove e con quali modalita’ puo’ essere consultato il piano o il progetto. Gli interessati possono formulare entro i successivi trenta giorni osservazioni che vengono valutate dall’autorita’ espropriante ai fini delle definitive determinazioni.
3. La disposizione di cui al comma 2 non si applica ai fini dell’approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi ricompresi nei programmi attuativi dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443.
4. Ai fini dell’avviso dell’avvio del procedimento delle conferenze di servizi in materia di lavori pubblici, si osservano le forme previste dal decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554.
5. Salvo quanto previsto dal comma 2, restano in vigore le disposizioni vigenti che regolano le modalità di partecipazione del proprietario dell’area e di altri interessati nelle fasi di adozione e di approvazione degli strumenti urbanistici.
(1) Articolo così sostituito dal 
Dlgs. 27 dicembre 2002, n. 302 >>.

[7] Cfr. SALVIA F., (2012). Manuale di diritto urbanistico. Cedam, Padova. Pag. 64.
[8] Cfr. CASSESE S., (2000). Trattato di diritto amministrativo – Tomo terzo, Diritto amministrativo speciale – Finanza pubblica e privata, La disciplina dell’economia. Giuffrè Editore, Milano. Pag. 2545.

Lascia un commento