venerdì, Marzo 29, 2024
Labourdì

Precarietà a tempo indeterminato – l’Italia al tempo dei voucher 2.0

precarietà

 

A cura di Elvira Ricotta – Bocconi – students  Advocacy and Litigation

 

Immaginiamo una casa bellissima, magari sulla riva del mare, e magari anche con un immenso giardino al suo ingresso. Immaginiamone le fondamenta, e supponiamo che d’un tratto esse crollino. Tonfo, salto verso il suolo, la casa non c’è più.

Prendiamo ora l’Italia, e vediamola bella, ricca, vivace. Vediamo la sua Costituzione, l’articolo 1, ‘la Repubblica fondata sul lavoro’.

Precarietà, disoccupazione, lavoro nero, e d’un tratto buio, il lavoro (e forse che non la bella Italia?) non ci sono più.

 

Gli italiani sono, sin dall’alba della loro storia, lavoratori e sognatori, emigranti pronti a sfidare il presente alla ricerca di afferrare un futuro migliore.

Con lo scorrere del tempo, il boom economico a cavallo tra i ‘50 e i ‘60, la Fiat, gli impieghi statali e la zia di paese che diventa bidella, partire

non è più stato necessario, e l’Italia ha allestito un competitivo e soddisfacente mercato del lavoro.

 

Ma la legge vichiana dei corsi e ricorsi storici ci ha riportati gravitazionalmente verso il basso, e gli ultimi decenni sono stati di nuovo licenziamenti, partenze, precarietà, conseguenza immediata di anticorpi troppo poco forti per la globalizzazione e la crisi economica.

L’Italia, che nel rispetto dell’articolo 4 della sua Costituzione dovrebbe riconoscere a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto’, risponde con una mediocritas che di aureo ha ben poco: i voucher, anche detti ‘buon lavoro’, di nuovo

ufficialmente in vigore dal 10 luglio 2017, tormentone delle testate giornalistiche e semplicemente tormento di chi si rassegna all’assenza del contratto a vantaggio di una assunzione temporanea via SMS.

 

I voucher, per esempio, sono delle modalità di pagamento per prestazioni occasionali e contributi, con un valore di 10, 20, o 50 euro, e il loro utilizzo corrisponde per sommi capi ai coupon del supermercato:

registri il lavoratore sul sito dell’Inps, ne comunichi i dati, compri i voucher (è possibile l’acquisto di voucher preconfezionati) e li rilasci al dipendente che dovrà poi riscuoterli, entro un tempo massimo di due anni presso l’ufficio postale o gli enti preposti alla riscossione.

L’utilizzo dei voucher è regolarizzato attraverso dei limiti di carattere quantitativo: il datore non può superare 5000 euro annui, mentre il lavoratore non potrà avere più della metà dei compensi dallo stesso committente.

Tutti gli altri diritti, meno quantitativi ma senza alcun dubbio grandemente qualitativi, vengono taciuti dalla normativa sui voucher (eccetto il diritto al riposo settimanale, privilegiato nella memoria del legislatore a discapito delle ferie, della malattia e della maternità).

Il ‘buon lavoro’ appartiene ad una delle modalità attualmente più utilizzate per il reclutamento del personale nell’ambito dei servizi e della ricerca, con una forza contrattuale che scavalca stage e tirocini, contratti di somministrazione o di staff leasing. Anche l’occhio più critico non può negare che la soluzione del voucher (piccola compressa da ingerire dopo la laurea), presenta un foglietto illustrativo non poi così malvagio per l’inserimento nel panorama lavorativo: fra i diplomati che lavorano nel 2015 il 13.8% ha o un voucher, o un contratto a progetto, o  di prestazione d’opera, o una borsa di studio/lavoro, a discapito del 33.9% di disoccupazione giovanile registrato nel 2012.

Questo contratto-flash, figlio della libertà di iniziativa economica del buon art. 41 della Costituzione, rispecchia l’intermittenza e l’irregolarità della domanda di lavoro, ma supporre la sua uscita di scena farebbe altresì temere a molti una paralisi del mercato economico e un invecchiamento del tessuto occupazionale.

Non è figlio unico nel continente europeo: in Francia il lavoro occasionale viene regolarizzato attraverso gli chèque emploi service universel (CESU), tuttavia limitati alle prestazioni a domicilio e per un tempo massimo di otto ore settimanali o quattro settimane consecutive; in Belgio, invece, il legislatore ha architettato la creazione di titres-services, ma ancor più limitati a servizi di stiratura e pulizia tra le mura domestiche. Solo qui in Italia, dalla vendemmia allo studio del commercialista, il voucher è un passepartout.

E certamente esso è la burocratizzazione delle esigenze di azienda e dipendenti, la  risposta al lavoro nero e all’evasione, ma se l’evasione fiscale si arresta, ‘l’evasione di sogni, braccia e cervelli’ non incontra fine.

Un provvedimento che disciplina la gestione del lavoro temporaneo, rende di conseguenza permanente la precarietà, l’incertezza del domani: ‘la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese’ (art. 3, 2-Costituzione Italiana).

Ciascun cittadino ha diritto ad un’occupazione che sia piena e liberamente scelta, e se non è compito dell’Italia trovare un impiego a ciascun membro del suo popolo, è invece un suo dovere agevolare prestazioni continue e regolari, premiando rapporti di lavoro solidi, leali e legali, sani e duraturi, che invogliano ciascun cittadino a mettere radici sulle autentiche fondamenta di una Repubblica Sovrana.

Immaginiamo adesso una casa bellissima, magari sulla riva del mare e anche con il giardino, e senza dubbio ove tutti lavorano. Vediamo le fondamenta. Sono salde, solide.

Miglioramento, libertà, progresso, produttività, rispetto. L’Italia vola sempre più su.

 

 

Riferimenti

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