giovedì, Aprile 18, 2024
Tax Driver

Lotta alla doppia imposizione – Profili sostanziali dell’esterovestizione

Con il termine “esterovestizione” si intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una persona fisica o di una società all’estero, in particolare in un paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo sottrarsi agli adempimenti previsti dall’ordinamento tributario del Paese di reale appartenenza (1) (Cassazione civile Sentenza, Sez. Trib., 07/02/2013, n. 2869).

Per  una definizione esaustiva di residenza fiscale si  fa  riferimento all’ Art.73 comma 3 del DPR 917/1986 che dispone : “Sono considerate residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno nel territorio dello Stato alternativamente: la sede legale;  la sede dell’amministrazione ; l’oggetto principale”. E’ inoltre sufficiente che operi uno solo dei criteri menzionati per ritenere una società quale soggetto residente fiscalmente in Italia. Il fenomeno dell’ esterovestizione si realizza quando un soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, opera una dissociazione tra residenza reale e residenza fittizia/formale allo scopo di poter beneficiare del minor grado di tassazione di un paese o territorio con un regime fiscale più vantaggioso.

Un tentativo valido  volto ad arginare il fenomeno patologico in esame è dato dal “Decreto Visco-Bersani”(2), che introduce  nel testo all’articolo 73 del TUIR  i commi 5-bis e 5-ter, recanti la disciplina della presunzione di residenza in Italia di società ed enti esteri, al ricorrere di determinate condizioni. Si presume pertanto , salvo prova contraria, l’esistenza in Italia della residenza fiscale di società formalmente estere che detengono il controllo di società italiane, se alle società estere fanno capo soggetti controllanti (anche indirettamente) residenti in Italia e siano amministrate da organi formati in prevalenza da consiglieri residenti in Italia.

In parole povere si presumono residenti in Italia quelle società che pur avendo sede legale all’estero detengono organismi di controllo verticistico o di amministrazione in Italia ex art. dell’art. 2359 comma 1 c.c (3). La norma introduce, dunque, una disciplina antielusiva volta a contrastare l’utilizzo di holding estere da parte di soggetti italiani finalizzate al controllo di società italiane.

La fiscalità internazionale ha il compito di combattere l’evasione fiscale transfrontaliera pur riconoscendo il concetto di risparmio d’imposta. Pertanto, pur potendo ogni governo nazionale legiferare in piena  autonomia in materia fiscale, bisogna che rispetti i principi nazionali di equità e assenza di distorsione. Il criterio di equità viene perseguito di concerto con il principio di capacità contributiva, ovvero il principio che intende ottenere una distribuzione equa del carico fiscale fra i contribuenti, puntando a conseguire lo stesso trattamento fiscale al verificarsi di determinate condizioni e circostanze.

L’ assenza di distorsione invece contribuisce alla generica convivenza degli equilibri sostanziali che garantiscono la corretta applicazione e l’ uniforme interpretazione legislativa volta alla tutela degli interessi e della stabilità dell’area economica europea, al fine di evitare una scellerata gestione fiscale tale da rischiare di ostacolare la libera circolazione di beni, servizi e capitali creando, di fatto, vantaggi sleali tra imprese appartenenti allo stesso comparto, ma operanti in paesi diversi.

Fonti:

  1. Cassazione civile Sentenza, Sez. Trib., 07/02/2013, n. 2869.
  2. Decreto Visco-Bersani (d.l. 223/2006) convertito in l. 248 del 2006 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche’ interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale.”
  3. Articolo 2359 c.c. rubr. “Società collegate e società controllate” – “Sono considerate società controllate:
    1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti
    esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare
    un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 
    3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano
    anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi.Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’ influenza notevole.L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in borsa.”


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