venerdì, Aprile 19, 2024
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Profili problematici della riscossione degli oneri condominiali

Per rafforzare la garanzia del soddisfacimento dei crediti condominiali, l’art. 63, 1° comma disp. att. c.c. prevede che l’amministratore, in base allo stato di riparto approvato dall’assemblea e senza autorizzazione di questa, può ottenere un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo.

L’autorità giudiziaria competente ad emettere il decreto in oggetto è il Giudice di Pace ovvero il Tribunale – rispettivamente per debiti di importi inferiori o superiori ad Euro cinquemila – del luogo in cui è situato il fabbricato.

Questo è solo uno degli strumenti in dote all’amministrazione condominiale per l’espletamento del potere-dovere di riscossione [1].

Premesso che, in difetto di prova documentale, potrebbe essere attivato il procedimento monitorio classico volto alla pronuncia di un decreto ingiuntivo non provvisoriamente esecutivo, non vanno sottaciute altre strade, sebbene appaiano meno agevoli.

L’amministratore, infatti, ben potrebbe risolversi per l’instaurazione di un procedimento ordinario di cognizione, preceduto da istanza di mediazione volta a concedere una sorta di rateizzazione al condomino moroso.

Ulteriore possibilità è l’attivazione di un procedimento a cognizione sommaria ex artt. 702bis e ss. del codice di rito.

Ragioni di opportunità a fondamento di tali scelte potrebbero rinvenirsi, come sottolinea attenta dottrina, nella volontà di non incrementare l’esposizione debitoria della compagine nel perdurare della morosità, cosa che avverrebbe in seguito all’attivazione del procedimento monitorio, in virtù del necessario pagamento dell’imposta di registro a carico del condominio [2].

Altra strada percorribile è quella della convenzione di negoziazione assistita. Tale strumento, utilizzabile anche quando non è condizione di procedibilità della domanda, è idoneo a fare ottenere all’amministratore un titolo esecutivo  in tempi rapidi e senza i costi di avvio di un qualsiasi giudizio [3]. Anche in questa ipotesi è possibile prevedere un piano di rientro.

Quale che sia la scelta effettuata dall’amministratore, non vi è l’obbligo per costui di far precedere l’azione volta al recupero del credito da uno o più solleciti di pagamento né da lettere di intimazione da parte di un legale.

Occorre, dunque, chiedersi come vadano ripartite le eventuali spese concernenti i compensi da corrispondere al legale del condominio per le suddette lettere di formale messa in mora nei confronti dei condomini in ritardo con i pagamenti. Il problema si pone soprattutto per il caso in cui, in seguito alle diffide in discorso, il condomino moroso estingua il suo debito nei confronti della compagine. Si segnala, sin da subito, che va sempre più affermandosi, per tali situazioni, la prassi di addebitare tali spese direttamente al moroso come maggiorazione dell’importo debitorio nella diffida medesima. La questione non è assolutamente risolvibile in maniera semplicistica dal momento in cui la Suprema Corte di Cassazione [4] ha chiarito che una eventuale delibera che procedesse in tal senso sarebbe nulla in quanto è solo con il provvedimento di condanna alle spese liquidate dal giudice nei confronti del condomino moroso che si ha “titolo” per un riparto che non segua gli ordinari criteri.

L’eco di tale orientamento ha raggiunto anche la giurisprudenza di merito

In diverse occasioni, infatti, è stata dichiarata la nullità della delibera che, in mancanza di una sentenza che ne sanciva la soccombenza, poneva a carico del condomino “virtualmente soccombente” i compensi per le lettere di formale messa in mora redatte dall’avvocato del condominio [5].

L’ordinamento, infatti, non riconosce all’assemblea alcun potere di autotutela e, pertanto, i costi “individuali” discendenti da comportamenti asseritamente illegittimi da parte di un condomino possono essere addebitati allo stesso solo in presenza di un provvedimento giudiziale [6].

Fermo restando l’obbligo per l’amministratore di curare la riscossione degli oneri condominiali, si tenga presente che costui può essere dispensato dal provvedervi in forza di una decisione in tal senso dell’assemblea (art. 1129, 9° comma c.c.). Nel silenzio e nella genericità della norma, dottrina e giurisprudenza si sono interrogate a più riprese circa la maggioranza necessaria per tale delibera. Alcuni autori fanno riferimento alla maggioranza di cui al 3° comma dell’art. 1136 c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio) sul presupposto che il successivo comma 4° della medesima norma non richiede espressamente cinquecento millesimi per tale deliberazione. Altra parte della dottrina, viceversa, ritiene necessario il quorum di cui al 2° comma dell’art. 1136 c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio) muovendo dalla considerazione che l’art. 1129 c.c. è ricompreso nell’elenco di disposizioni inderogabili di cui al penultimo comma del nuovo art. 1138 c.c..

A CURA DI AMEDEO CARACCIOLO

 

[1] Cass. Civ. Sez. VI, sentenza n. 24920, 20 ottobre 2017

[2] C. Sforza Fogliani, V. Nasini, Obbligazioni Condominiali. Ripartizione spese. Recupero crediti, 2018.

[3] R. Cusano, Il nuovo Condominio, 2017

[4] Cass. Civ. Sez VI ordinanza n. 751 del 18 gennaio 2016

[5] Trib. Belluno, sentenza n. 3189 dell’ 11 marzo 2016

[6] Trib. Milano, sentenza n. 10247 dell’ 11 settembre 2015

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