venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

Profili sanzionatori dei reati fiscali dichiarativi

L’evoluzione del diritto penale tributario può essere ricollegata a due grandi fasi: quella che va dagli anni ‘20 alla fine degli anni ‘50 e quella successiva agli anni ‘50 fino ai tempi odierni.

L’origine della prima fase si fa risalire convenzionalmente alla legge n. 4 del 1929 la quale, introducendo il diritto penale tributario, ha creato in realtà una disciplina del tutto derogatoria rispetto a taluni istituti dell’ordinamento penale. La legge del ‘29 ha infatti introdotto una vera e propria “parte generale” la quale prevede principi di diritto sostanziale e processuale applicabili esclusivamente agli illeciti finanziari volti non solo a razionalizzare l’apparato punitivo tributario, ma soprattutto a rendere speciale e a separare il sistema penale tributario dal resto del diritto penale dando vita al c.d. particolarismo tributario[1]

Sono state introdotte molteplici novità quali il principio di fissità, secondo il quale si consente la modifica delle norme penali tributarie solo in presenza di disposizione espressa; quello di ultrattività delle norme penali tributarie che impedisce la retroattività delle norme penali più favorevoli al reo; il principio dell’alternatività tra illecito penale ed amministrativo che esclude – così facendo – l’applicazione di una sanzione amministrativa in presenza di un fatto costituente reato.

Sotto il profilo sanzionatorio, la stessa legge del 1929, oltre a prevedere una disciplina speciale per la prescrizione ed il concorso c.d. omogeneo dei reati, ha introdotto due tipi particolari di oblazione: la prima obbligatoria relativa alle contravvenzioni punite con la pena dell’ammenda e non superiore nel massimo a lire mille e la seconda invece discrezionale, applicabile alle contravvenzioni punite con ammenda. Ulteriore novità legislativa è stata l’introduzione della pregiudiziale tributaria, con la quale l’inizio del processo penale è subordinato alla definizione del procedimento amministrativo, meccanismo che di fatto sospende l’azione penale fino all’accertamento sull’an e sul quantumdell’imposta dovuta da parte dell’amministrazione finanziaria. Siffatta struttura dell’illecito tributario lasciava presagire la scarsa percezione del legislatore circa la gravità del fenomeno evasivo.

L’inizio della seconda fase, invece, è un vero e proprio processo di potenziamento del sistema penale tributario. Sebbene questa abbia avuto inizio già dagli anni ‘70, è con la legge n. 516 del 1982 –  c.d. manette agli evasori – che si dà linfa vitale al forte contrasto al fenomeno dell’evasione.

Il fine della riforma in questione era proprio quello di recuperare il gettito fiscale tramite alcuni stratagemmi: in primis abolire la pregiudiziale tributaria ed il principio di fissità ai quali veniva addebitata gran parte dell’ineffettività del sistema penale tributario; in secondo luogo anticipare la tutela penale introducendo dei reati di pericolo astratto ed al contempo nuove fattispecie incriminatrici contravvenzionali che puntavano ad incriminare condotte prodromiche rispetto all’evasione vera e propria come l’omessa o parziale fatturazione; ed infine il ricorso alla pena detentiva con funzione deterrente per il reo.

Tale modello così istituito si presentava assai problematico. In particolare disancorando le fattispecie incriminatrici dall’evasione ed incentrandole sulla mera violazione amministrativa, si spostava il baricentro dalla tutela del patrimonio dell’Erario e ci si focalizzava sulla funzione di accertamento dell’amministrazione finanziaria. Si assisteva quindi ad un’amministrativizzazione del diritto penale tributario che perdeva la sua identità e tendeva a svolgere un ruolo sanzionatorio delle violazioni amministrative.

È soltanto con il d.lgs 74/2000 che si approda ad un modello di tutela penale incentrato sulla dichiarazione e di nuovo focalizzato sulla tutela dell’interesse patrimoniale dello Stato a percepire i tributi.

Il sistema prospettato dalla riforma legislativa del 2000 si ispira ai principi di offensività e sussidiarietà della tutela penale, riducendo gli istituti derogatori del codice penale e concentrandosi su poche fattispecie incriminatrici di natura delittuosa focalizzate sul momento dichiarativo ed escludendo di contro la rilevanza dei fatti prodromici all’evasione[2].

Vengono introdotte le soglie di punibilità e sotto il profilo soggettivo si dà rilevanza al dolo specifico dell’evasione; inoltre sotto il profilo sanzionatorio le pene vengono munite di un apprezzabile contenuto afflittivo ed un’effettiva capacità deterrente. Nonostante tale formulazione molto più specifica e stringente il decreto legislativo n. 74 non ha sortito gli effetti sperati sul versante politico-criminale, cosicché dal 2004 al 2006 si sono avuti una serie di interventi settoriali con l’introduzione di alcune nuove fattispecie incriminatrici quali l’omesso versamento di ritenute certificate, l’omesso versamento Iva e l’indebita compensazione artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater del d.lgs 74/2000.

Sotto il profilo funzionale, tale processo di potenziamento iniziato con gli interventi del 2004 appare significativo sicché sposta l’asse della tutela penale dal momento dichiarativo a quello riscossivo che prescinde dall’elemento soggettivo del dolo specifico, inasprendo in tal modo la risposta sanzionatoria.

Penultima tappa dell’evoluzione del sistema penale tributario è il d.lgs 158/2015 il quale si inserisce in un contesto evolutivo particolarmente problematico. La riforma si preoccupa di abrogare il reato di elusione fiscale rendendolo penalmente irrilevante ed introduce una nuova fattispecie: l’art. 10bis il quale stabilisce che, ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie, le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie.

Il decreto legislativo è intervenuto in modo penetrante sul modello di tutela penale delineato nel 2000 rafforzando la tutela penale per le condotte fraudolente connotate da un disvalore particolarmente pregnante, riducendola all’opposto per quelle condotte che sebbene illecite dal punto di vista amministrativo in realtà non hanno pieno disvalore. Tale riforma, sebbene finalizzata verso la creazione di un sistema penale più equo, restringe nuovamente l’area del diritto penale rispetto agli illeciti tributari. Sempre nella prospettiva di ridurre l’area del penalmente rilevante si prevede sia l’innalzamento delle soglie di punibilità dei delitti di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione, sia l’introduzione, all’art. 13 del d.lgs 74/2000, di una speciale clausola di non punibilità del pagamento del debito tributario per i delitti di cui agli artt. 10 bis, 10 ter, 10 quater e per i delitti dichiarativi ex artt. 4 e 5 del d.lgs 74/2000 in presenza di una condotta riparatoria post factum del reo. Tale norma se da un lato ha la capacità di garantire all’erario l’effettiva riscossione del debito, dall’altro depotenzia fortemente la capacità preventiva del sistema penale tributario.

Nel medesimo anno (2015) con il d.lgs n. 128 il legislatore ha dato una forte svolta alla questione problematica dell’elusione fiscale introducendo l’art. 10bis nello statuto del contribuente di cui al d.lgs 212/2000[3].

Il d.lgs n. 128 del 2015 si iscrive nella medesima ottica della riforma attuata con il d.lgs 158/2015 sancendo l’irrilevanza dell’elusione fiscale, al contrario di quanto nel 2012 la Suprema Corte aveva statuito con la sentenza Dolce & Gabbana[4] in forza degli artt. 4 e 5 della normativa di settore.

A chiudere il cerchio delle riforme del diritto penale tributario è sopraggiunta la legge n. 157/2019 la quale sorge dalla sentita necessità di inasprire il sistema punitivo nei confronti dei reati tributari reintroducendo le pene detentive per i fatti penalmente più rilevanti. La novella legislativa si articola su quattro punti salienti: l’irrigidimento delle cornici di pena, la riduzione delle soglie di punibilità, l’introduzione della confisca allargata e l’introduzione dei reati tributari nel sistema del d.lgs 231/2001 della responsabilità penale degli enti.

Con l’ultima riforma il legislatore è intervenuto sulle cornici edittali dei reati fiscali dichiarativi mutando il quadro così delineato dalla riforma precedente del 2015 la quale aveva già attribuito a questi ultimi un apposito titolo II, capo I “Dei delitti in materia di dichiarazione”.

Si pensi all’art. 2 del d.lgs 74/2000 rubricato “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” il quale, ante riforma del 2019, puniva con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque indicava in una delle dichiarazioni relative alle imposte elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture o altri documenti; oggi tale norma a seguito della riforma prevede una pena detentiva che va da un minimo di quattro ad un massimo di otto anni. Resta pertanto confermata l’inapplicabilità dell’istituto della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. il quale prevede come pena massima per la sua applicazione cinque anni e l’art. 168 bis c.p. che statuisce la sospensione e messa alla prova sempre a causa dei tetti di pena superati. Viene inserito, inoltre, all’art. 2 un comma 2 bis in forza del quale il previgente trattamento sanzionatorio è mantenuto solo qualora l’ammontare degli elementi passivi fittizi sia inferiore 100.000 euro.

Per ciò che concerne, invece, il reato di cui all’art. 3 del medesimo decreto, Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”, si passa dalla pena detentiva di un anno e sei mesi alla reclusione da tre a otto anni, confermando anche per tale fattispecie l’esclusione dell’applicazione degli artt. 131 bis e 168 bis c.p..

Per il reato di “Dichiarazione infedele” ex art. 4 la cornice edittale è aumentata passando da uno a tre anni a due anni a quattro anni e sei mesi; in tale norma si è avuta inoltre una riduzione delle soglie di punibilità previste dalle lettere a) b) del primo comma.

Infine, anche l’art. 5 rubricato “Omessa dichiarazione” ha subito un inasprimento della pena, sicché prima della riforma del 2019 la pena detentiva prevista andava da un anno e sei mesi a quattro anni, post-riforma invece va da due a cinque anni. La riforma ha avuto un forte impatto sia sul diritto sostanziale che processuale, basti pensare all’istituto della prescrizione che ha visto di gran lunga dilatati i termini della sua applicabilità a causa dell’innalzamento del tetto di pena

Ulteriore novità introdotta con la riforma del 2019 è la confisca allargata ex art. 12 ter che dispone l’applicabilità della confisca ex art. 240 c.p. allorché l’evasione fiscale superi una certa soglia di valore e solo per alcuni delitti tassativamente individuati dalla norma stessa, lasciando in tal modo esclusi i reati ex artt. 4, 5, 10, 1 0bis, 10 ter e 10 quater del d.lgs 74/2000.

La giurisprudenza tende a negare la natura penale di tale istituto, attribuendogli la qualifica di misura di sicurezza e sottoponendolo pertanto alla regola del tempus regit actum. Di contro, la norma di nuovo conio non pone problemi di diritto intertemporale sicché si applica esclusivamente alle condotte poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione.

Il tratto problematico, però, che si palesa di primo acchito è rappresentato dalla presunzione ragionevole di provenienza illecita dei redditi sproporzionati, propria di quei reati espressione di dedizione continuativa alle attività illecite come previsti ex d. lgs 159/2011 c.d. codice antimafia. Tale meccanismo risulta eccessivo sicché è del tutto incongruente ritenere che i delitti tributari, elencati ex art. 12 ter, siano espressione diretta di una criminalità seriale.

Sotto tale profilo la sproporzionalità del regime sanzionatorio renderebbe del tutto iniqua la pena applicabile al reo la quale si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali ed in particolare con quanto previsto dall’art. 27 co 3 Cost.

Da ultimo in materia è intervenuto il d.lgs 75/2020, in attuazione della legge di delega 4 ottobre 2019, n. 117 in attuazione della direttiva UE 2017/1371 del Parlamento Europe c.d. PIF.

Con tale strumento, il legislatore ha apportato modifiche non solo al codice penale ma anche ad altre fattispecie giuridiche. In particolare inasprisce le pene previste per i reati ex artt. 316, 316-ter, 319-quater c.p., estendendo così l’area del penalmente rilevante degli artt. 322-bis e 640 c.p.

Il siffatto decreto legislativo prevede e punisce il reato di contrabbando, precedentemente depenalizzato, quando gli importi evasi superino i 10.000 euro e prevede altresì la specifica aggravante del contrabbando quando l’ammontare dei diritti non pagati superi i 100.000 euro.

Altro aspetto rilevante appare l’intervento ampliativo sul catalogo dei reati presupposto previsti ex d.lgs 231/2001. Si menzionano a titolo esemplificativo alcuni reati tributari quali quelli di dichiarazione infedele, di omessa dichiarazione e di indebita compensazione.

Novità interessante appare l’introduzione del comma 1-bis all’art 6 ex d.lgs 74/2000 in relazione ai delitti dichiarativi ex artt. 2,3,4 del medesimo decreto. L’innovazione introduce la punibilità del tentativo nell’ipotesi di atti compiuti anche nel territorio di un altro Stato membro all’interno dell’Unione Europea e finalizzati all’evasione dell’IVA per un valore non inferiore ai dieci milioni di euro

Fonte Immagine: Pixabay

[1] Ragione fiscale vs “illecito penale personale”, Alex Ingrassia, Maggioli Editore, anno 2016

[2] R. Garofoli, Compendio di diritto Penale, Parte Speciale, Nel Diritto Editore, 2018

[3] Corte Suprema di Cassazione, Relazione su novità normativa, n. 3/2020

[4] Cass. pen., Sez. II, 22 novembre 2012, sent. n. 7739

Valeria D'Alessio

Valeria D'Alessio è nata a Sorrento nel 1993. Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt'oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento. Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un'agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta. È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell'arte. Con il tempo ha imparato discretamente l'inglese e si dedica tutt'oggi allo studio del francese e dello spagnolo. Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l'interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell'anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell'escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell'ergastolo ostativo. Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense - come praticante avvocato abilitato - presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all'esercizio della professione Forense nell'Ottobre del 2020. Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell'evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.

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