Proprietà e possesso: una prospettiva comparata ed internazionale
La proprietà come forma di godimento esclusivo del bene è un diritto tanto al cuore delle sovranità nazionali da non trovare, ancora oggi, una disciplina compiuta ed uniforme a livello sovranazionale. Il rapporto di materialità pura instaurato con la res – che prende il nome di possesso – è un rapporto qualificato, stante alla base di ogni comunità, ed assai più antico della disciplina della proprietà per come è generalmente intesa oggi.
L’importanza che questi istituti hanno ricoperto all’interno delle legislazioni ha fatto sì che essi si differenziassero tanto da renderne vani i tentativi di conciliazione a livello tanto europeo, quanto internazionale.
La proprietà
Nonostante si possa ricostruire una nozione in gergo comune ed atecnico di “proprietà” come quell’insieme di rapporti insistenti su un determinato bene o insieme di beni, le nozioni in senso giuridico di “proprietà”, “propriété”, “property”, “proprietad”, “eigentum” non implicano la stessa ampiezza concettuale (sebbene sia possibile individuare un profilo comune nello ius excludendi alios). La vicenda della proprietà non si è però mai esaurita in un mero problema tecnico di disciplina; è sempre stata strettamente legata al sistema dei rapporti economici e sociali caratteristici di un dato contesto storico ed alle sue connessioni con il sistema politico[1].
Lo stesso art. 345 del TFUE (ex art. 295 del TCE) rimarca infatti l’importanza delle peculiarità nazionali affermando che “i trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri”.
L’ordinamento giuridico italiano tutela la proprietà sia all’interno del codice civile del 1942 come il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico, sia all’articolo 42 della Costituzione. Tale articolo rientra non nel titolo I, parte prima, dedicato ai “diritti fondamentali”, bensì nei “rapporti economici” di cui al titolo III, posizione che lascia spazio a perplessità in ambito europeo, ove la proprietà è espressamente riconosciuta come diritto fondamentale da parte della Convenzione EDU. Tale impostazione si riscontra anche nella Costituzione spagnola, mentre la Grundgesetz tedesca considera la proprietà un “diritto civile fondamentale”.
Sul piano sovranazionale, infatti, la collocazione del diritto di proprietà in una Convenzione dei diritti fondamentali dell’individuo (art. 1 del 1° Prot. add alla Conv. eur. dir. uomo), l’inserimento dell’art. 17 nel titolo “Delle libertà” nella Carta dir. UE e l’assenza di ogni riferimento alla “funzione sociale”, delineano una concezione della proprietà distante da quella economico-sociale dell’ordinamento interno[2].
È proprio sull’uso che i giudici italiani hanno fatto della “funzione sociale” che la Corte di Strasburgo si è incentrata. Essa ha ravvisato in più ipotesi[3] un deficit di tutela del diritto di proprietà italiano rispetto alla disciplina europea, in particolare con riguardo al fenomeno della cd. “occupazione acquisitiva”, o adverse possession. Tale istituto è stato infatti spesso configurato dalle corti italiane come un vero e proprio acquisto a titolo originario della proprietà da parte della P.A. assimilabile all’usucapione, che però consente alla stessa di eludere le garanzie procedimentali richieste nei procedimenti di espropriazione e di acquisizione sanante, senza la corresponsione di un indennizzo.
La Corte di Strasburgo prospetta infine una nozione ampia di “bene” che ricomprende ogni diritto o interesse avente valore patrimoniale, in tal modo estendendo l’ambito applicativo della norma e conseguentemente il sindacato dei giudici sovranazionali. A tal proposito, infatti, l’art. 17 della Carta europea dei diritti parifica la protezione della proprietà dei beni materiali, mobili o immobili, alla protezione della proprietà intellettuale (co. II).
Tale nozione appare più vicina al concetto omnicomprensivo di property di Common law. Sinteticamente si può affermare che nella Common law il termine property comprende una categoria più ampia di quella tradizionalmente intesa nella Civil law. La property, piuttosto che un potere di godimento e disposizione di un bene, si propone quale titolarità di diritti di natura patrimoniale, connessi ai beni immobili, mobili e immateriali, comprensiva non solo delle situazioni giuridiche soggettive riconducibili a diritti reali assoluti o relativi, ma anche di quelle che consentono una soddisfazione personale. Pretese queste ultime che, nei sistemi di Civil law, sono estranee alla sfera della proprietà e ricondotte al credito[4].
Nonostante il termine property in Common law riguardi tutte le situazioni giuridiche a prescindere dalla materialità dell’oggetto, (così che si dice ‘proprietario’ chi è proprietario non solo di un immobile, ma anche di situazioni soggettive), l’influenza anglosassone in Civil law non è stata indifferente ed ha portato, in ragione di ciò, all’uso del termine “proprietà” anche all’interno della disciplina codicistica sulle invenzioni industriali.
Il possesso
Il possesso, al pari della proprietà e di altri istituti tradizionali, è una situazione giuridica domestica, legata alle tradizioni storiche dei vari paesi. Non sorprende, anche in questo campo, l’assenza di direttive europee o regolamenti che ne uniformino la disciplina.
Il Code Napoléon ottocentesco regolava il possesso in un articolo posto alla fine del codice stesso, nella parte relativa alla prescrizione. Tale collocazione sistematica lascia intendere come il legislatore francese fosse legato alla sacralità della proprietà, e quindi relegasse la situazione possessoria a una disposizione marginale. A contrario, l’ordinamento giuridico italiano regola tale aspetto a chiusura del libro III del codice civile, dedicato ai diritti reali e alla proprietà.
Data la natura elementare ed antica del possesso, sia in civil law, che in common law, si riconosce e tutela la situazione di fatto, nonostante la differente nozione di property. Ciò che distingue il nostro ordinamento da, ad esempio, quello inglese e tedesco, è la distinzione tra la posizione di ‘detentore’ e ‘possessore’, che in diritto tedesco si esprimono con il medesimo termine besitz. Tale concezione è esito della medesima tradizione germanica che accomuna i due ordinamenti, anche se la legislazione tedesca prevede comunque una distinzione tra possesso diretto ed indiretto (ovvero posto in essere da un altro soggetto).
L’ordinamento francese (da cui deriviamo parte delle regole che caratterizzano l’azione petitoria e possessoria) ha oggi ampliato la portata dell’azione del detentore consentendogli di agire contro le molestie e turbative che invece nel nostro ordinamento rimangono formalmente appannaggio del possessore.
Conclusioni
Lo sforzo internazionale e comunitario volto all’armonizzazione della disciplina di proprietà e possesso deve oggi essere bilanciato tra il necessario rispetto delle particolarità nazionali e l’esigenza di estendere le garanzie a tutela del soggetto proprietario e/o possessore, per evitare ingiuste appropriazioni da parte delle pubbliche amministrazioni ed occupazioni abusive, ma soprattutto per consentire una reale e libera circolazione di beni e capitali in un’economia di mercato aperta, come quella europea.
[1] G. Ramaccioni, La tutela multilivello del diritto di proprietà., cit., p. 11.
[2] F. Zanovello, Usucapione “privata” e “pubblica” nella prospettiva della giurisprudenza CEDU. La tutela multilivello del diritto di proprietà, cit.
[3] In materia di occupazione acquisitiva: Corte europea dei diritti dell’uomo, 30.5.2000, Belvedere Alberghiera c. Italia, e Corte europea dei diritti dell’uomo, 30.5.2000, Carbonara e Ventura c. Italia
[4] A. Moscarini, Proprietà privata e tradizioni costituzionali comuni, cit., 227; vedi anche A. Candian, A. Gambaro, B. Pozzo, Property – Proprièté – Eigentum, Cedam, 1992.
Silvia Casu, nata a Varese nel 1995, ha conseguito il diploma di maturità in lingue straniere nel 2014, che le ha permesso di avere buona padronanza della lingua inglese, francese e spagnola.
Iscritta al quinto anno preso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano Statale, ha sviluppato un vivo interesse per la materia internazionale pubblicistica e privatistica, nonché per la cooperazione legale comunitaria, interessi che l’hanno portata nel 2017 ad aprirsi al mondo della collaborazione nella redazione di articoli di divulgazione giuridica per l’area di diritto internazionale di Ius in Itinere.
Attiva da anni nel volontariato e nell’associazionismo, è stata dal 2014 al 2018 segretaria e co-fondatrice di un’associazione O.N.L.U.S. in provincia di Varese; è inoltre socio ordinario dell’ Associazione Europea di Studenti di Legge “ELSA” , nella sezione locale – Milano.