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Proroga delle concessioni portuali: vi è una norma eccezionale ma di stretta interpretazione.

Nota a Cons. St., sez. VII, 4 ottobre 2022, n. 9328 – Pres. Giovagnoli – Est. Francola.

Abstract.

L’art. 10 co. 3 d.P.R. n. 509 del 1997, nella parte in cui prevede la possibilità di proroga delle concessioni portuali, attribuisce alla p.a. una discrezionalità non solo tecnica – finalizzata all’accertamento dei presupposti indicati dalla norma – ma anche amministrativa, atteso che l’Amministrazione ha il potere di valutare l’opportunità della proroga e la sua rispondenza all’interesse pubblico.

Benché la direttiva 2006/123/CE (cd. direttiva Bolkestein) non sia applicabile ai servizi portuali, il diritto dell’Unione Europea, ed in particolare la direttiva 2014/25/UE, è comunque incompatibile con la proroga automatica delle concessioni dei servizi portuali.

L’art. 10 co. 3 d.P.R. n. 509 del 1997, che prevede la possibilità di proroga delle concessioni portuali, è norma eccezionale e di stretta interpretazione; ne consegue che è il rilascio della proroga ad esigere una motivazione rafforzata, mentre il diniego della stessa esige una motivazione semplicemente adeguata, essendo immanenti nell’ordinamento giuridico le ragioni di ordine generale giustificanti la decisione, a fronte dei prevedibili vantaggi scaturenti per l’Amministrazione e la collettività dall’eventuale instaurazione di un nuovo rapporto con un concessionario scelto all’esito di una procedura comparativa.

Sommario. 1. I fatti oggetto della vicenda. 2. Le concessioni demaniali: brevi cenni. 3. Discrezionalità tecnica e discrezionalità amministrativa. 4. Considerazioni del Consiglio di Stato. 5. Riflessioni conclusive.

  1. I fatti oggetto della vicenda

La pronuncia oggetto del presente gravame prende avvio da un ricorso promosso da una società nei confronti della Regione Liguria, del MiT nonché della Città metropolitana di Genova dinnanzi al Tar Liguria per ottenere l’annullamento degli atti con i quali il Comune di Lavagna adottava una determinazione di conclusione negativa- ai sensi dell’art. 14 quater l. n. 214/90- della conferenza dei servizi indetta per la decisione sulla proroga della concessione demaniale richiesta al fine di realizzare nuovi interventi strutturali sull’area di interesse.

In particolare, la suddetta società lamentava l’illegittimità dell’impugnata decisione sulla base dei seguenti motivi: 1) falsa ed erronea applicazione dell’art.10 D.P.R. n.509/1997, dell’art.37 cod. nav., violazione dell’art.3 Cost. sul presupposto che la normativa ivi indicata sarebbe ancora in auge, non essendo stata abrogata da altra norma nazionale, né superata dagli effetti della Direttiva 2006/123/CE in quanto concernenti servizi nel mercato interno ai quali non sarebbero riconducibili le concessioni di beni demaniali marittimi; sussisterebbero i presupposti previsti per la concessione della chiesta proroga; il gestore di un vicino porto turistico avrebbe ottenuto la proroga della concessione proprio in virtù della richiamata disposizione normativa, a riprova della sua concreta operatività ed applicabilità; la Regione Liguria ed il Comune di Lavagna, negando il rilascio del richiesto provvedimento sull’erroneo convincimento secondo cui la proroga dell’attuale concessione demaniale sarebbe in contrasto con il reale interesse pubblico dell’Amministrazione identificabile con l’esigenza di evitare il danno erariale scaturente dall’impossibilità di applicare al concessionario in proroga i maggiori canoni previsti dalla Legge Finanziaria 2007 in relazione alle pertinenze commerciali, avrebbero violato anche l’art.37 cod. nav., non potendosi identificare come pubblico il mero interesse economico dichiaratamente perseguito dalle predette Autorità nella prospettiva di voler garantire l’applicazione della più favorevole disciplina, nelle more sopravvenuta, per le casse regionali e comunali; il provvedimento impugnato non sarebbe motivato sul piano del preminente interesse pubblico contrario alla concessione della chiesta proroga, non essendo stato, peraltro, in modo alcuno contemperato l’interesse economico del richiedente;
2) violazione dell’art.41 Cost., dell’art.97 Cost. dell’art.24 Cost. ed eccesso di potere per violazione dei principi di ragionevolezza, buon andamento, imparzialità e parità di trattamento in quanto, l’omessa proroga non consentirebbe all’appellante di recuperare l’investimento già effettuato o da effettuarsi per la realizzazione delle opere indicate e preannunciate, con conseguente compromissione dell’equilibrio economico-finanziario della concessione; l’omessa proroga sarebbe indicativa di una condotta illegittima in quanto viziata da eccesso di potere per disparità di trattamento, essendo contraria alla prassi amministrativa sin lì seguita favorevole alla prosecuzione del rapporto con i concessionari di beni del demanio marittimo a fronte di ulteriori investimenti programmati o realizzati nell’ottica di garantire interventi strategici per il bene pubblico e per il territorio; il riferimento alla sentenza n.91/2017 del T.A.R. Liguria non sarebbe pertinente, poiché il potere discrezionale dell’Amministrazione soggiacerebbe, comunque, al rispetto dei principi di buon andamento e ragionevolezza che avrebbero giustificato la concessione della chiesta proroga ai sensi dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 ed, infine, irrilevante sarebbe, inoltre, il richiamo ai contenziosi intercorrenti tra le parti in causa, in ragione dalla non condivisibile prospettazione di un contrasto con l’interesse pubblico perseguito dal Comune di Lavagna del diritto di difesa esercitato dall’appellante nella qualità di concessionaria; 3) violazione del legittimo affidamento ed erroneità e falsità dei presupposti in ordine alla compatibilità dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 con i principi in tema di concorrenza poiché le molteplici riunioni istituzionali finalizzate alla conclusione di un accordo di programma (poi non stipulato) e la sottoscrizione del Protocollo d’intesa del 12 dicembre 2007 avevano ingenerato nell’appellante il legittimo affidamento in ordine alla prosecuzione della concessione, inducendolo ad investire in opere non assimilabili ad attività di mera manutenzione, anche a fronte della proroga disposta nel vicino porto; 4) erronea a falsa applicazione dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 sotto altro profilo, contrasto con il pubblico interesse, assenza o illogicità della motivazione in quanto, gli Enti interessati dalla richiesta di proroga avrebbero erroneamente considerato gli interventi eseguiti e programmati dall’appellante come attività di manutenzione straordinaria; la funzionalità degli interventi in relazione alla garanzia di una maggiore redditività dell’attività svolta dal concessionario sarebbe del tutto compatibile con l’interesse pubblico in ragione del quale è stata rilasciata la concessione; il Comune si sarebbe obbligato al riconoscimento della proroga a fronte dei maggiori investimenti preannunciati dall’appellante; non pertinenti, infine, sarebbero i richiami del Comune, nella motivazione del provvedimento impugnato, alle “numerose sentenze del Tribunale Civile (Tribunale di Chiavari in data 10/10/2003, Tribunale di Genova 16/05/2005”, in quanto non vincolanti nei confronti dell’appellante; 5) Contraddittorietà ed illogicità dell’agire amministrativo sotto altro profilo, violazione e falsa applicazione dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, eccesso di potere sotto altri profili in quanto, l’Amministrazione sarebbe incorsa in errore nel ritenere che gli interventi eseguiti e preventivati fossero prevedibili sin dal tempo del subentro dell’appellante nel rapporto concessorio, posto che, oltre al completamento dei lavori previsti nella concessione e richiesti dalla Capitaneria, erano stati eseguiti ulteriori investimenti di carattere innovativo, consistenti nel rifacimento completo della diga foranea, in quanto necessari per assicurare la piena efficienza all’approdo, anche in relazione al problema della c.d. tracimazione; 6) Violazione e falsa applicazione dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, contraddittorietà ed eccesso di potere sotto altri profili in quanto, anche il rifacimento integrale dei pontili, effettuato dal 2001-2002 ed all’epoca ancora in corso, non era prevista nella concessione originaria del 1974 in cui l’appellante era subentrata e non poteva, quindi, considerarsi neanche prevedibile, né qualificabile come manutenzione straordinaria, se si considera il costo complessivo dell’intervento pari ad € 10.183.744,35 oltre I.V.A.; inoltre, sarebbe contraddittoria la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui esprime condivisione in ordine all’effettiva rispondenza, completezza ed idoneità delle opere eseguite per poi negare la chiesta proroga; infine, 7) Violazione e falsa applicazione dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, contraddittorietà ed eccesso di potere sotto altri profili poiché l’Amministrazione avrebbe erroneamente ritenuto un’opportunità anziché una necessità la proposta di proroga implicante un intervento pienamente rispondente al superiore interesse pubblico connesso all’uso dei beni demaniali marittimi, tenuto conto, peraltro, del notevole importo dei lavori di riorganizzazione delle vasche di alaggio e varo propedeutici ad aumentare la capacità di accoglienza della struttura in favore di unità da diporto di dimensioni maggiori; la decisione controversa sarebbe in contrasto con il parere della Capitaneria di porto espresso il 27 luglio 2017, secondo cui gli interventi proposti dovevano ritenersi necessari per la sicurezza dell’intera struttura.

Infine, nella denegata ipotesi in cui i provvedimenti impugnati non fossero ritenuti illegittimi per i motivi dedotti, l’appellante domandava la condanna delle Amministrazioni intimate al pagamento di una somma a titolo di indennizzo, previa rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità dell’art.49 cod. nav. per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. qualora la richiamata disposizione codicistica fosse interpretata in senso ostativo al riconoscimento di qualsivoglia compenso o rimborso in favore del concessionario per le opere non amovibili acquisite dallo Stato.

La Regione Liguria, il Comune di Lavagna ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si opponevano all’accoglimento del ricorso.

Con sentenza n.133/2020 pubblicata il 18 febbraio 2020 e non notificata da nessuna delle parti in causa, il T.A.R. Liguria, sezione prima, rigettava il ricorso, compensando le spese processuali, in quanto a parer dell’onorevole giudicante, la prospettata violazione dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 sarebbe insussistente, avendo l’Amministrazione un potere discrezionale e non vincolato alla concessione della proroga; tale la proroga costituirebbe un atto eccezionale poiché in contrasto con la disciplina europea statuente l’obbligo di indire una gara per l’affidamento della concessione;il riferimento all’art.37 cod. nav., disciplinante il caso della presentazione di più domande di concessione e non quello diverso della chiesta proroga sarebbe del tutto erroneo; l’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 concepirebbe la proroga nell’ottica di favorire non tanto gli interessi economici del concessionario, quanto quelli pubblici dell’Amministrazione competente, non essendo un espediente idoneo a consentire l’ammortamento dei costi sostenuti dal concessionario per le opere di manutenzione e le innovazioni; alla luce delle predette argomentazioni, dunque, nessuna violazione si configurerebbe in relazione all’art.41 Cost.; così come non sarebbe illegittima la motivazione nella parte in cui considera i vantaggi legati ad una differente regolamentazione dei canoni concessori e contempera gli interessi coinvolti nell’ottica della più proficua utilizzazione del bene demaniale;  né rileverebbe, il paragone con il porto vicino, trattandosi di una fattispecie concernente un’Amministrazione diversa da quella direttamente parte in causa; il riferimento, poi, ai pregressi contenziosi indicati nella motivazione dell’impugnato provvedimento non rileverebbe ai fini del decidere, poiché il provvedimento contestato si fonda anche su altre argomentazioni non illegittime; anche gli altri motivi sarebbero privi di fondamento considerato che né l’accordo di programma (peraltro neanche concluso), né il Protocollo d’intesa del 2007, né la condivisione dell’iter amministrativo indicato dal Ministero per le Infrastrutture ed i Trasporti costituirebbero atti idonei ad ingenerare un legittimo affidamento in ordine alla proroga della concessione demaniale; la proroga del rapporto decretata con riguardo al limitrofo porto di Rapallo costituirebbe, poi, circostanza non rilevante ai fini del decidere, in quanto atto concernente un territorio differente ed imputabile ad un’Autorità Amministrativa differente; poi, con riguardo specificamente all’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, la richiamata normativa consentirebbe la proroga se satisfattiva dei preminenti interessi pubblici perseguiti dall’Amministrazione; non sarebbe possibile valorizzare le opere relative alla diga foranea per il prolungamento della durata della concessione perché già concluse al momento dell’adozione del provvedimento impugnato e, comunque, prima della scadenza della concessione stessa, non venendo, quindi, in rilievo alcun nuovo intervento rispetto al quale la proroga sarebbe funzionale; i lavori inerenti ai pontili costituirebbero opere previste in corso di rapporto, tanto che parte ricorrente ne ha confermato l’inizio nel 2001-2002, senza, però, dimostrarne le ragioni a lei non imputabili ostative al completamento entro il termine di scadenza della concessione; peraltro, il piano economico-finanziario per gli anni 2000-2024 prevedeva già il necessario intervento sui pontili in un arco di tempo più che ventennale, donde la ragione per la quale le opere in questione e quelle relative alla darsena non sono state considerate nuove ed imprevedibili, come, invece, richiesto dall’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997; l’Amministrazione avrebbe, dunque, correttamente qualificato gli interventi in esame quali opere previste e non quali nuovi interventi; non è, poi, risultata illogica la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui non riconosce la necessità degli interventi eseguiti sulle vasche di alaggio e quindi l’inidoneità degli stessi ad integrare i presupposti dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, posto che le nozioni di adeguamento delle strutture portuali e mantenimento della loro funzionalità richiamate nella norma menzionata qualificano in senso conservativo l’intervento rilevante per la concessione della proroga, rievocando una nozione di opera quale attività edile propedeutica ad adeguare la struttura alla mutata realtà tecnica e giuridica esistente al momento della cessazione del rapporto concessorio; le vasche di alaggio, sebbene idonee a favorire uno sviluppo dell’area sul piano dello sfruttamento economico per il concessionario, non integrano, dunque, la nozione di opera necessaria né per l’adeguamento delle strutture portuali, né per il mantenimento in funzione delle stesse; infine, anche le censure di incostituzionalità dedotte in relazione all’art.49 cod. nav. non supererebbero il vaglio della non manifesta infondatezza, non essendo esclusa la possibilità per il concessionario di ottenere il rimborso o un compenso per le opere non amovibili realizzate sul bene demaniale, limitandosi la norma in esame a rimettere all’autonomia privata e, quindi, alla contrattazione tra le parti l’inserimento o meno di una specifica pattuizione nella concessione; 4.2) l’art.2041 c.c. non sarebbe, poi, applicabile in quanto norma residuale superata dalla speciale disciplina contemplata dall’art.49 cod. nav.

Dinanzi alla predetta vicenda, la Società ha proposto appello al Consiglio di Stato domandando la riforma della predetta sentenza con conseguente annullamento degli atti impugnati per i medesimi motivi già dedotti in primo grado.

La Regione Liguria, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, l’Agenzia delle Dogane e l’Agenzia del Demanio costituendosi in giudizio si sono opposte all’accoglimento dell’appello in quanto inammissibile ed infondato.

  1. Le concessioni demaniali[1]: brevi cenni

La concessione demaniale è lo strumento principale per trasferire in capo ai privati l’uso di un bene pubblico.

Il rapporto sussistente tra l’ente proprietario e il soggetto ammesso all’uso del bene è di tipo pubblicistico e prende il nome di rapporto di concessione[2]. Generalmente, tale rapporto, si instaura tramite atto amministrativo ma non sono rare le ipotesi in cui è regolato contrattualmente, a seguito di atto amministrativo[3] di concessione.

Sussistono due tipologie di concessioni[4], tuttavia, per i fini che ci occupano, è sicuramente più rilevante trattare della concessione traslativa. Quest’ultima, si ha quando la PA trasferisce al privato potestà delle quali è titolare l’amministrazione (es. concessione di beni o servizi) la quale mantiene comunque poteri di vigilanza e controllo sul corretto utilizzo del bene da parte del privato. Per quanto attiene alle modalità di rilascio della concessione, che ha portato, ai contrasti tra il diritto unionale e quello interno, occorre precisare che negli ultimi anni si è assistito ad una politica di semplificazione nei rapporti tra PA e privato, con l’obiettivo di garantire il rispetto dei canonici principi ex art 97 Cost. quali buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione, nonché di rilancio dell’economia e competitività delle imprese. In questo senso anche l’art.  18 del d.l.  22 giugno 2012, n.83, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n.1347[5].

Orbene, le predette modalità di rilascio implicano, in primo luogo, la corretta scelta del concessionario mediante procedure ad evidenza pubblica al fine di individuare il contraente in possesso di pertinenti mezzi tecnici ed economici.  L’amministrazione, dal canto suo, ha poteri di indirizzo e vigilanza, preordinati alla corretta verifica e al rispetto dei principi di buona amministrazione.  Il controllo, non imitandosi esclusivamente a quanto detto, può essere anche di carattere tecnico/economico e può attenere il merito ma anche la legittimità (es: corretta osservanza delle clausole contrattuali)[6]. Ottenuta la concessione, il concessionario non è libero nella scelta bensì sempre condizionato al dovere di utilizzazione del bene (in caso di concessione di beni) o di organizzazione e corretta funzionalizzazione del servizio (in caso di concessione di servizi) entro limiti e modalità fissate dalla concessione o dalla legge. Nei rapporti con i terzi, il concessionario assume una posizione di supremazia, in conseguenza del trasferimento delle funzioni pubbliche proprie della PA.  Ciò implica che gli atti posti in essere dal concessionario hanno natura amministrativa e sono soggetti al relativo regime.

Il soggetto privato, esercente pubblica funzione agisce sempre in nome proprio e, dunque, è responsabile degli atti e fatti illeciti compiuti.

Il rapporto concessorio, poi, si estingue in via automatica, per scadenza del termine (quando la concessione è a tempo determinato o non è stata prorogata) ovvero a seguito di morte del concessionario o, ancora, per il venir meno dell’oggetto della concessione.

  1. Discrezionalità tecnica e discrezionalità amministrativa

Fatte queste premesse sull’istituto della concessione demaniale, considerato che la decisione che il Consiglio di Stato ha dato sulla questione è relativa alla corretta interpretazione dell’art. 10 co. 3 d.P.R. n. 509 del 1997, nella parte in cui prevede la possibilità di proroga delle concessioni portuali, il quale articolo attribuisce alla p.a. una discrezionalità non solo tecnica ma anche amministrativa, è evidente l’opportunità di effettuare una breve distinzione tra le due tipologie di discrezionalità, per meglio comprendere il ragionamento cui è pervenuto il Consiglio di Stato.

Orbene, due sono le interpretazioni che vengono date in dottrina circa la c.d. discrezionalità amministrativa: l’impostazione tradizionale la definisce come “la facoltà di scelta fra più componenti giuridicamente leciti per il soddisfacimento dell’interesse pubblico e per il perseguimento di un fine rispondente alla causa del potere esercitato” (VIRGA); diversamente, secondo altro orientamento, essa consiste nella ponderazione comparativa di più interessi secondari in ordine all’interesse primario (GIANNINI).

Comunque la si intenda, tuttavia, è limpido il concetto secondo cui tale tipologia di discrezionalità investe si rinviene nel qual caso in cui il Legislatore concede all’Amministrazione una limitata libertà di scelta o di valutazione in ordine all’esercizio del potere medesimo, sicché ogni manifestazione di discrezionalità risulta in parte sindacabile ed in parte insindacabile, a seconda, da un lato, del grado (ritenuto accettabile) di sacrificio del bene giuridico protetto dalla norma attributiva del potere, e, dall’altro lato, della misura in cui si ritiene di dover tutelare l’esistenza di una libertà di scelta.

Il potere discrezionale può investire diversi aspetti dell’azione amministrativa con riferimento al se, al come, al dove e al quando della stessa. Infatti, la Pubblica amministrazione può scegliere se agire o astenersi (an); può scegliere il contenuto dei provvedimenti (quid), così come la procedura da seguire per addivenire al risultato (quomodo); può inoltre decidere i tempi del proprio agire (quando). La discrezionalità amministrativa, dunque, può essere qualificata come una modalità di espressione del potere pubblicistico, che presuppone il conferimento, da parte della legge, alla Pubblica amministrazione di uno spazio valutativo e decisionale, che ha la funzione di adattare le previsioni astratte individuate, appunto, dalla legge alla realtà fattuale, nell’ottica della necessità di tutelare gli interessi dei privati coinvolti nel procedimento amministrativo e con l’obiettivo primario di curare concretamente un determinato interesse pubblico, realizzando il massimo soddisfacimento dell’interesse primario con il minor sacrificio possibile degli interessi secondari.

In quanto espressione di potestà pubblicistica, l’attività discrezionale amministrativa si muove, tuttavia, entro limiti, positivi e negativi, che necessariamente ne impediscono il trasmodare in mero arbitrio.

Diversamente qualificabile è, invece, la c.d. discrezionalità tecnica. Essa ricorre, a differenza della prima, quando la decisione della P.A. si basa su una valutazione relativa a principi ed elementi conosciuti esclusivamente da esperti. Pertanto, nell’esercizio della discrezionalità tecnica la P.A. compie una valutazione di fatti alla stregua di canoni scientifici e tecnici, senza svolgere alcuna comparazione tra l’interesse pubblico primario e gli interessi secondari (come avviene della discrezionalità amministrativa) al fine di individuare la soluzione più opportuna per l’interesse da perseguire.

Cosicché, una volta accertata la situazione nel senso voluto dalla norma, la P.A. è tenuta al comportamento previsto.

È evidente, dunque che, tra la discrezionalità amministrativa e la discrezionalità tecnica vi si una diversità concettuale di fondo: mentre la discrezionalità amministrativa consta sia del momento del giudizio (nel quale si acquisiscono e si esaminano i fatti), che del momento della scelta (nel quale si compie una sintesi degli interessi in gioco e si determina la soluzione più opportuna); la discrezionalità tecnica, viceversa, contiene il solo profilo del giudizio, risolvendosi soltanto in una analisi di fatti, sia pure complessi, ma non di interessi.

  1. Considerazioni del Consiglio di Stato

Orbene, delineati i contorni degli istituti oggetto del caso in esame, il Supremo Consesso della Giustizia Amministrativa ha articolato la sentenza partendo dalla corretta interpretazione dell’art. 10 co.3 D.P.R. n. 509/1997, in particolare soffermandosi sul fatto che la norma in esame di fatto pone due condizioni alternative per la concessione della proroga: da un lato, l’omessa realizzazione di opere previste o parti sostanziali di esse per cause non imputabili al concessionario e, dall’altro, il necessario adeguamento o la necessaria manutenzione delle esistenti strutture portuali, con la precisazione che la durata del prolungamento del rapporto concessorio, non essendo predeterminata, sarà stabilita dall’Amministrazione in ragione dell’entità dell’investimento originario e di quello aggiuntivo.

Il Consiglio di Stato precisa, però, che anche nel caso in cui vi ricorressero le due condizioni previste, l’Amministrazione non sarebbe comunque obbligata a concedere la richiesta proroga, essendole espressamente riconosciuto dalla disposizione regolamentare in esame un evidente potere discrezionale proprio nella parte in cui si prevede che, su istanza dell’interessato, le concessioni in vigore alla data del 1° gennaio 1990 possono (e non devono) essere prorogate.

Il Consiglio di Stato ha argomentato ritenendo che la norma contemperasse un’ipotesi di discrezionalità non soltanto tecnica, ma anche amministrativa.

Ciò in ragione del fatto che sebbene la valutazione dell’istanza di proroga coinvolgesse  profili anche tecnico-discrezionali, il tenore letterale della disposizione regolamentare non poteva che plasticamente essere indicativo del riconoscimento all’Amministrazione di un significativo potere valutativo che, proprio in quanto tale, deve ritenersi propriamente amministrativo, non essendo connesso, né limitato all’accertamento dei presupposti di fatto in presenza dei quali il previsto potere possa essere esercitato.

Inoltre, poiché spesso l’agire autoritativo dell’Amministrazione coinvolge interessi (pubblici e privati)- come nel caso di specie- anche confliggenti di non agevole, né (a volte) prevedibile composizione a livello normativo, le leggi attributive disciplinanti poteri pubblici solitamente riconoscono alle Autorità competenti una certa discrezionalità in relazione a quei profili dell’esercizio del potere (ed ossia l’an, il quid, il quomodo, il quando) sui quali è opportuno demandare ad una valutazione caso per caso il suo concreto determinarsi.

È stato, dunque, affermato che, in linea di principio, il potere pubblico amministrativo è discrezionale, salvo che non risulti diversamente dalla norma che lo prevede o che ne regolamenta l’esercizio.

Tuttavia, non vi è solo tale tipologia di discrezionalità, anzi ricorrono entrambe.

Laddove, infatti, l’art. 10 co.3 D.P.R. n.509/1997 subordina la concessione della proroga all’accertamento della non imputabilità al concessionario dell’omessa realizzazione (in tutto o in parte) delle opere previste o alla necessità di interventi di adeguamento o di manutenzione delle opere già esistenti si impongono valutazioni suscettibili di apprezzamenti opinabili riconducibili nell’ambito della c.d. discrezionalità tecnica.

Ma, come già ampiamente esplicato, quand’anche si accertasse la sussistenza di uno dei richiamati presupposti, l’Amministrazione competente non sarebbe obbligata a rilasciare la chiesta proroga, potendo anche negarla. Il che è indicativo di un potere discrezionale puro, o in senso ampio, implicante valutazioni di opportunità presupponenti un contemperamento di interessi (pubblici e privati coinvolti) non sindacabile in sede giurisdizionale se non per eccesso di potere dipendente da manifesta contraddittorietà, illogicità, irragionevolezza o sproporzionalità della decisione.

Sussistono, dunque, profili valutativi ulteriori rispetto a quelli espressamente desumibili dalla menzionata disposizione regolamentare ed, in quanto tali, indicativi di una significativa discrezionalità amministrativa, presupponente una motivata ponderazione degli interessi coinvolti.

Né tanto meno il Consiglio ha ritenuto di accogliere la censura circa la natura eccezionale della proroga delle concessioni affermata dal giudice di primo grado nella sentenza impugnata. Tanto alla luce di autorevole giurisprudenza italiana ed europea che ha portato il Supremo Consesso a ritenere  che allorquando non si tratti di acquisire un servizio e prevalga la sola concessione del bene pubblico in una tipica manifestazione di contratto attivo, il relativo affidamento deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica (art. 4 del d. lgs. n. 50 del 2016).

E quand’anche dalle richiamate disposizioni europee non si desumesse la sussistenza di un obbligo di gara, l’Amministrazione sarebbe comunque tenuta, in caso di interesse transfrontaliero, a rispettare le regole fondamentali del TFUE, in generale, e, soprattutto, il principio di non discriminazione.

Da qui, il carattere eccezionale della proroga disciplinata dall’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 di cui il provvedimento impugnato costituisce proiezione applicativa, con conseguente doverosa adozione di criteri di stretta interpretazione, non essendo consentita alcuna applicazione o estensione analogica della richiamata disposizione regolamentare in ragione del divieto statuito dall’art.14 disp. prel. c.c.

Il Consiglio di Stato ha, poi, ritenuto non condivisibile la censura dedotta in relazione all’omessa considerazione dell’interesse economico del concessionario quale componente rilevante sul piano degli interessi pubblici perseguiti dall’Amministrazione.

Ha argomentato rilevando che il rischio costituisce di per se’ un elemento incidente sulla concessione sin dalla sua origine, inerendo alla convenienza e sostenibilità economica dell’operazione per il concessionario.

Con riguardo, poi, all’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, il Consiglio di Stato ha osservato che l’interesse economico del concessionario è stato già considerato in astratto dal legislatore, essendo standardizzato nei due presupposti legittimanti la richiesta di proroga, in quanto preordinati a mantenere proprio l’equilibrio economico-finanziario della concessione alterato da cause non imputabili al concessionario o da fattori sopravvenuti che impongano l’adeguamento o il mantenimento della funzionalità delle opere esistenti.

Tuttavia, vi è sempre il potere discrezionale dell’Amministrazione che, a fronte di un’istanza fondata, potrebbe egualmente negare la chiesta proroga dando atto, con adeguata motivazione, delle ragioni di interesse pubblico ritenute ostative.

Nel caso di specie è emerso che l’Amministrazione ha, per vero, considerato l’incidenza dell’interesse economico del concessionario, essendosi premurata di ritenerlo non preminente rispetto a valutazioni di carattere erariale dipendenti proprio dai presunti vantaggi patrimoniali che la proroga della concessione avrebbe precluso qualora fosse stata consentita, ostando, infatti, all’applicazione dei maggiori canoni previsti per le pertinenze commerciali dalla Legge Finanziaria 2007 rispetto a quelli ancora applicabili all’entrata in vigore del D.P.R. n. 509/1997.

Il Supremo Consesso ha poi sottolineato che il carattere eccezionale della proroga esplica i suoi riflessi anche sulla motivazione del provvedimento, poiché, costituendo deroga alla regola generale contraria al prolungamento delle concessioni, impone all’Amministrazione che intende accogliere l’istanza del concessionario di adottare una motivazione rafforzata delle ragioni della decisione. Diversamente, la scelta (pur sempre discrezionale nel caso in esame) di non prorogare la concessione, in quanto conforme alla regola generale, implica soltanto la necessità di una motivazione adeguata, ma non anche rafforzata, essendo immanenti nell’ordinamento giuridico le ragioni di ordine generale giustificanti la decisione, a fronte dei prevedibili vantaggi scaturenti per l’Amministrazione e la collettività dall’eventuale instaurazione di un nuovo rapporto con un concessionario scelto all’esito di una procedura comparativa che tenga conto anche delle rinnovate esigenze della collettività da soddisfare con il peculiare utilizzo del bene demaniale ad altri concesso.

Con riguardo, poi, all’entità dell’investimento originario e di quello aggiunto, la sua rilevanza presuppone il superamento della fase di accertamento dei presupposti e di valutazione degli interessi pubblici soddisfatti dall’eventuale concessione della chiesta proroga, e poiché l’Amministrazione non ha ritenuto sussistenti i presupposti per il rilascio della chiesta proroga, il provvedimento di reiezione costituisce conseguenza di una valutazione non favorevole sull’an che preclude qualsivoglia valutazione successiva sul quantum.

Con riguardo, poi, all’erronea interpretazione dell’art.37 cod. nav., il Consiglio di Stato ha precisato che il richiamo alla norma non appare pertinente nel caso in esame, in quanto l’istanza di proroga è stata formalmente presentata dall’appellante ai sensi dell’art.10 D.P.R. n.509/1997 e tale disposizione regolamentare costituisce una norma transitoria ed eccezionale, come tale suscettibile soltanto di stretta interpretazione.

Pertanto, l’istanza dell’appellante doveva essere decisa, come lo è stata, soltanto con riferimento alla norma regolamentare evocata nella domanda di proroga e di cui il provvedimento impugnato costituisce proiezione applicativa, non potendosi desumere da una norma generale, qual è l’art.37 cod. nav., un criterio interpretativo applicabile ad una norma eccezionale ed anche transitoria, come l’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997.

Il secondo motivo di appello è stato ritenuto rilevante, non essendo stato leso dall’Amministrazione, con il provvedimento impugnato, alcun affidamento sul quale l’appellante abbia legittimamente confidato, avendo quest’ultima ritenuto di poter prescindere dagli accordi di cui al Protocollo d’intesa del 2007 per poter conseguire la chiesta proroga.

Circa il terzo motivo, il Consiglio di Stato ha precisato che quand’anche il motivo fosse fondato, non giustificherebbe, di per sé, l’accoglimento dell’appello ed il conseguente annullamento del provvedimento impugnato, previa riforma della sentenza appellata, poiché, come già chiarito, l’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 riconosce all’Amministrazione un potere discrezionale così ampio da legittimare il diniego della chiesta proroga, con adeguata motivazione, nonostante la sussistenza dei presupposti fattuali normativamente previsti e di cui l’appellante intende provare la sussistenza. Ha, comunque, argomentato concordemente con il primo giudice.

Infine, anche l’ultimo motivo, con il quale è stata eccepita l’illegittimità costituzionale dell’art.49 cod. nav. nella parte in cui non prevede la corresponsione di un indennizzo a favore del concessionario che abbia realizzato sul suolo demaniale opere non amovibili, non è stato accolto in quanto, in linea con le argomentazioni del primo giudice, la norma è contraddistinta da un’efficacia sussidiaria, essendo applicabile soltanto qualora le parti non abbiano diversamente previsto nella concessione.

La scelta, quindi, dell’appellante di subentrare in un rapporto concessorio già precostituito in cui non era prevista la corresponsione di alcun indennizzo per le opere in questione non legittima la censura sull’applicazione di una norma dispositiva non derogata per volontà delle parti. In tal senso, quindi, l’appellante patisce un pregiudizio di fatto non idoneo ad incidere sulla costituzionalità della norma in esame.

La questione, quindi, dell’eccepita illegittimità costituzionale non può essere sollevata per manifesta infondatezza.

Né poteva invocarsi l’applicazione dell’art.2041 c.c., difettando l’elemento della residualità che ne costituisce il presupposto per l’utile esperimento della relativa azione. Ed invero, il ricorso all’azione generale di indebito arricchimento è consentito, per costante giurisprudenza, soltanto a condizione che la parte interessata non abbia a sua disposizione un’azione titolata.

Nel caso in esame, il rapporto tra l’Amministrazione e l’appellante è regolamento da una concessione demaniale marittima che, in quanto tale, soggiace alla disciplina di cui all’art.49 cod. nav. e, quindi, alla libera scelta delle parti di concordare o meno un indennizzo per le opere non amovibili presenti sul bene demaniale alla scadenza della concessione stessa. Il che esclude la possibile applicazione dell’art.2041 c.c., in quanto norma sussidiaria applicabile soltanto quando non lo sia altra disposizione.

Alla luce delle su esposte considerazioni, il Consiglio di Stato, con sentenza n. n. 9328 del 4 ottobre 2022 ha rigettato il ricorso.

  1. Riflessioni conclusive

In conclusione, è ormai abbastanza nota la problematica connessa in generale alla proroga delle concessioni demaniali a ciò deve aggiungersi che l’impianto   normativo   è   indubbiamente   molto   controverso   in   termini   di   compatibilità con il valore “concorrenza”. L’obiettivo è evitare l’abuso di tale strumento.

Il  Legislatore  nazionale  fa  però  fatica  ad  escogitare  rimedi  per  risolvere  la  problematica indicata.

E ciò, nonostante l’incontestabile valore economico insito nello sfruttamento imprenditoriale dei beni demaniali, da cui deriva la creazione di  un  vero  e  proprio «mercato» delle attività legate alle relative concessioni: se esiste un mercato – e quindi esiste un potenziale guadagno dallo sfruttamento di tali  beni  pubblici –  è  naturale  porre  l’attenzione  sulla  necessità  di  applicare  meccanismi competitivi nella fase di scelta dei soggetti concessionari.

La questione è di rilevante importanza, in quanto non riguarda esclusivamente il rapporto concessorio in sé, relegato per la fattispecie in questione entro margini circoscritti, ma involge la tutela al legittimo affidamento del concessionario alla conservazione del diritto alla continuità aziendale con le implicazioni inerenti ai Comuni di comunicare, ai titolari delle concessioni demaniali, circa l’estensione della durata della concessione demaniale.

La pronuncia del Consiglio di Stato è chiarificatrice, inserendosi soprattutto in una tematica ancora più specifica: la trattazione dei servizi portuali che, sebbene sfugge all’applicazione della direttiva Bolkestein (direttiva 2006/123/CE), comunque non determina una proroga automatica delle concessioni circa tali servizi grazia all’intervento del diritto dell’Unione Europea, ed in particolare alla direttiva 2014/25/UE, che rende incompatibile tale proroga. L’obiettivo è sempre lo stesso: evitare l’abuso di questo strumento ed evitare che la concorrenza venga falsata.

Infatti, come esplicato dal Supremo Consesso, sebbene l’art. 10 co. 3 d.P.R. n. 509 del 1997, prevede la possibilità di proroga delle concessioni portuali, questa deve essere considerata come una norma eccezionale e di stretta interpretazione, attribuendo alla p.a. una discrezionalità non solo tecnica – finalizzata all’accertamento dei presupposti indicati dalla norma – ma anche amministrativa, atteso che l’Amministrazione ha il potere di valutare l’opportunità della proroga e la sua rispondenza all’interesse pubblico.

Ne consegue, quindi, che è il rilascio della proroga ad esigere una motivazione rafforzata, mentre il diniego della stessa esige una motivazione semplicemente adeguata, essendo immanenti nell’ordinamento giuridico le ragioni di ordine generale giustificanti la decisione, a fronte dei prevedibili vantaggi scaturenti per l’Amministrazione e la collettività dall’eventuale instaurazione di un nuovo rapporto con un concessionario scelto all’esito di una procedura comparativa.

[1] Il presente contributo è estratto da un articolo scritto dalla stessa autrice di questa nota a sentenza, sulla rivista scientifica spagnola Revista de Estudios Europeo gestita dall’Insituto de Estudios Europeo de Valladolid: F.Panacciulli: la proroga delle concessioni demaniali al 2033: il caso italiano v. https://revistas.uva.es/index.php/ree/article/view/6460/4640

[2] M. Fratini, Manuale sistematico di diritto amministrativo, ed. 2019-2020

[3] Secondo   autorevole   dottrina   la   qualificazione   della   concessione   come   atto amministrativo deriva dal fatto che  “ogni  qualvolta  l’amministrazione  pubblica  sia  titolare di un potere di scelta, tale cioè da rilevare in modi diversi su interessi dei terzi, l’esercizio di questo potere deve svolgersi secondo principi risultanti implicitamente o esplicitamente dalla Costituzione”. (D. Sorace e C. Marzuoli, p.288).

La concessione, in particolare, rappresenterebbe l’alternativa pubblicistica alla gestione dei beni, opere e servizi rispetto al contratto di diritto privato. Pertanto, tale strumento, sebbene non autoritativo è qualificato come provvedimento amministrativo in quanto necessariamente sottoposto ai principi cosotutuzionali di legalità, imparzialità e buon andamento.  (Cfr.  Sabino Cassese, Dizionario di  diritto  pubblico,  Giuffrè  Editore- Milano 2006).

[4] L’altra tipologia è la concessione costitutiva, che ricorre quando la situazione giuridica attribuita al privato è totalmente nuova (es. cittadinanza). Cfr. R.Garofoli, Manuale di diritto Amministrativo, ed. VIII 2020-2021

[5]La concessione delle sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari alle imprese e l’attribuzione  dei  corrispettivi  e  dei  compensi  a  persone,  professionisti,  imprese  ed  entri privati e comunque di vantaggi economici di qualunque genere di cui all’art. 12 della l. 7 agosto 1990, n. 241 ad enti pubblici e provati, sono soggetti alla pubblicità sulla rete internet…” Tale articolo, costituisce “diretta applicazione dei principi di legalità, buon andamento e imparzialità  sanciti  dall’art.  97  della  Costituzione”  e  ad  esso  devono  conformarsi  “entro il 31 dicembre 2012, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettere g), h), l), m), r) della Costituzione, tutte le pubbliche amministrazioni centrali, regionali e locali, le aziende  speciali  e  le  società  in  house  delle  pubbliche  amministrazioni”,  nonché  le  regioni ad autonomia speciale “secondo le previsioni dei rispettivi Statuti”. Ad ogni buon conto, l’art. suddetto è stato abrogato e sostituito dal d.l. 14 marzo 2013, n. 33, recante “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni” e trasfuso negli artt. 26 e 27 del decreto.

[6] M. Fratini, Manuale sistematico di diritto amministrativo, ed. 2019/2020

Francesca Panacciulli

Francesca Panacciulli nasce a San Severo il 17.09.1995. Attualmente è un Funzionario Addetto all'Ufficio Per il Processo presso la Corte d'Appello di Bari. Da ottobre 2022 è abilitata all'esercizio della professione forense. Ha conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bari, in data 15.07.2019, con votazione di 110, con tesi in diritto tributario dal titolo: "Armonizzazione Iva, tra aliquote ridotte ed elusione del tributo". La tesi è stata svolta in cotutela con l’Universidad de Valladolid (Spagna), nell’ambito del progetto “Global Thesis”, un premio di studio finanziato dall’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Dopo la laurea ha partecipato alla Summer School in “Circular Economy and Enviromental Taxation” sponsorizzata dalla medesima Università, per approfondire le tematiche legate al diritto tributario. In contemporanea, ha svolto la pratica forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari che le ha permesso di acquisire maggiori esperienze su più fronti, trattando non solo il diritto tributario ma anche di diritto amministrativo. Per accrescere l’ interesse nella disciplina suddetta, da marzo 2021 a maggio 2021 ha frequentato un corso di alta formazione in “Diritto e innovazione nella organizzazione e gestione degli enti locali” presso l’Università di Firenze. A partire dal mese di gennaio 2021 collabora con la rivista "Ius in itinere" per l'area tematica di Diritto Amministrativo.

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