venerdì, Aprile 19, 2024
Di Robusta Costituzione

Prospettive per l’associazionismo senza scopo di lucro in seguito alla riforma del Terzo settore

“I corpi intermedi sono riconosciuti dalla Costituzione come pilastri portanti della vita della Repubblica. Sottolineo il ruolo decisivo del terzo settore e la necessità di tutelarlo: si tratta di una realtà capace di penetrare in maniere più efficace e puntuale nel tessuto sociale più rassicurante per i cittadini”[1]

Le associazioni senza scopo di lucro nel tessuto sociale italiano: oltre la libertà di associazione.

 

Sono con ogni probabilità la maggior parte gli italiani che abbiano legato parte del proprio sviluppo personale o professionale all’attività di un’associazione, fondazione, o altro ente senza scopo di lucro, del quale molti saranno stati soci o amministratori. Questa considerazione  induce fin d’ora a constatare una caratteristica tipica del modello di stato sociale italiano, di cui certamente beneficia anche chi, cittadino straniero e giunto in Italia da poco, necessiti di ogni tipo di supporto per il proprio inserimento: il terzo settore è welfare.

La Costituzione della Repubblica Italiana offre, con il primo comma dell’art. 18, soltanto una tutela minima, limitata al riconoscimento della libertà di associazione[2]. Se ne può comunque ricavare, nella valutazione della disciplina odierna, valorizzando il contributo offerto dal tessuto associativo al benessere comune, un compito per lo Stato che non si limita alla mera libertà negativa: non si tratta soltanto di un divieto di impedirne lo svolgimento con la forza della legge o dell’esecutivo, ma anche di promuoverne l’attuazione attraverso un sistema legislativo, amministrativo e fiscale alla portata del comune cittadino.

È noto come, nell’evoluzione dei rapporti sociali, l’associazionismo sia stato ben più che l’esercizio di una libertà, quanto piuttosto abbia ricoperto in un primo tempo la funzione di supplire alle lacune di uno Stato in costruzione, estendendosi fino a coprire alcuni fenomeni di government failure e di market failure e costituendo oggi una rete solida e variegata, che costituisce un patrimonio sociale fondamentale per un Paese che pure si caratterizza, rispetto ad altri, per un esteso stato sociale pubblico.

Di questa realtà ha preso atto il legislatore con la Legge Costituzionale n. 3/2001, la quale ha modificato l’art. 118 della Costituzione introducendo il quarto comma, a mente del quale “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Rispetto all’originaria previsione di libertà, si tratta di una presa di posizione importante nella direzione della sussidiarietà orizzontale[3], secondo una visione dei rapporti tra istituzioni e società orientata allo sviluppo condiviso, che origina dalla consapevolezza del ruolo delle associazioni all’interno dei territori e si propone di promuovere e coordinare questa realtà fattuale.

Il Consiglio di Stato, ripercorrendo le evoluzioni legislative che hanno finora disciplinato i singoli tipi associativi, si espresso in questo modo: “il marcato disallineamento realizzatosi con il sopravvenuto dettato costituzionale che all’articolo 2 promuove le «formazioni sociali ove si svolge la personalità del singolo» non ha sortito effetti per molti anni. Soltanto alla fine del secolo appena trascorso sono proliferate discipline settoriali degli enti non profit, la cui impronta regolativa – a differenza delle disposizioni del Libro I del codice civile – è connotata dall’introduzione di regimi fiscali agevolativi e dalla predisposizione di vincoli «positivi» riguardanti le attività esercitabili e la destinazione dei risultati”[4].

È su questo terreno che si sono sviluppati i numerosissimi enti no profit che oggi troviamo distribuiti in ogni angolo del territorio nazionale, di cui le associazioni rappresentano ben l’85,3%[5], due terzi delle quali non riconosciute, segnando una netta prevalenza nel campo della cultura, dello sport e della ricreazione e, sempre secondo dati Istat, in quello dell’istruzione e della ricerca[6].

Lo sviluppo disomogeneo che ha interessato la fase espansiva del no profit, però, ha portato alla disciplina frammentata che ha caratterizzato il settore fino a questo momento, la quale necessitava indubbiamente di essere riportata a unità, come si è proposta di fare le legge delega n. 106/2016.

 

Il Codice del Terzo settore e le associazioni.

 

Il Decreto Legislativo 3 luglio 2017, n. 117, approvato in attuazione della delega citata, nonostante il titolo di “Codice” del Terzo settore di cui si fregia, non porta a compimento l’operazione di riordino complessivo della materia, sostituendo la disciplina codicistica[7] come era stato previsto, ma, com’è evidente dalla lettura dell’art. 4 co. 1 CTS[8], crea un doppio binario tra gli enti che vorranno iscriversi al Registro Unico Nazionale del Terzo settore e gli altri, che potranno comunque scegliere di mantenere lo status giuridico attuale.

Se l’obiettivo di riordino e unificazione è dunque solo in parte compiuto[9], il Codice del Terzo settore persegue comunque un controllo più penetrante da parte dello Stato su detti enti, fino a questo momento piuttosto aleatorio, e pone i presupposti per una migliore collaborazione tra essi e la P.A., in ottemperanza al principio di sussidiarietà orizzontale[10].

Nell’orientare gli sviluppi del mondo associativo, il D.Lgs. 117/2017 incide principalmente sulla regolamentazione fiscale, rendendo di fatto impossibile, o almeno assai sfavorevole, la sopravvivenza all’interno della disciplina codicistica per la maggior parte delle associazioni, in quanto le attività delle stesse non saranno più decommercializzate[11], rendendo il binario del codice civile tuttora vigente, ma quasi completamente inutile[12].

Per l’associazione senza scopo di lucro che si iscriva al RUNTS, invece, le prospettive offerte dall’art. 46[13] sono principalmente due: trasformarsi in APS oppure in ETS, cioè la categoria residuale destinata agli enti non altrimenti denominati.

In comune essi hanno, ai sensi dell’art. 55, le opportunità auspicate di “co-programmazione, co-progettazione e accreditamento” verso la pubblica amministrazione, cui si aggiungono la rielaborazione ed il ripristino di tutte le imprescindibili agevolazioni fiscali – con un certo favore però per le associazioni di promozione sociale sotto il profilo della decommercializzazione dell’attività[14] – dalla normativa sulle imposte[15] alle detrazioni e deduzioni per le erogazioni liberali[16].

L’opportunità e il problema di inquadrare le associazioni non riconosciute.

 

Nel complesso, i punti di forza della riforma del Terzo settore si possono individuare sicuramente nell’armonizzazione delle discipline, seppure incompleta, che ha portato all’istituzione del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, e, per quanto già compiutamente previsto nel D.Lgs. 117/2017, nella trasparenza e nelle possibilità offerte dalla prevista interazione e collaborazione tra gli enti senza scopo di lucro e la P.A.

In questo campo, in particolare, l’art. 55 CTS prevede espressamente il dovere delle pubbliche amministrazioni di coinvolgere gli enti del Terzo settore “in attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell’amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare”, disposizione che rappresenta un forte incentivo nel senso del coinvolgimento degli enti senza scopo di lucro nel settore pubblico e nella realizzazione del welfare che essi concorrono a sviluppare.

Le associazioni oggi esistenti, specialmente quelle avviate da tempo e già dotate di una struttura associativa solida, amministratori dotati di esperienza e convenzioni già in essere con gli enti locali, prevedibilmente si adegueranno ai requisiti del RUNTS trasformandosi in ETS o in APS, compensando la maggiore complessità amministrativa[17] con le ritrovate e in parte nuove agevolazioni.

Le perplessità, però, appaiono più fondate in divenire, con riguardo alle associazioni nasciture: sia che vogliano adottare la forma giuridica di ETS, sia quella di APS, è richiesto loro uno standard organizzativo certamente maggiore rispetto al passato, invero piuttosto elevato per dei cittadini che volontariamente e senza scopo di lucro decidano di riunirsi con lo scopo di perseguire una delle finalità previste, assumendo una responsabilità anche personale cui non è scontato far fronte.

Viene dunque spontaneo chiedersi se non vi sia il rischio che le nuove e più strutturate previsioni possano rappresentare, oltre che un tentativo di riordino, anche una fonte di disincentivo al sorgere spontaneo di nuove associazioni, specialmente di quelle più piccole realtà territoriali che caratterizzano il welfare italiano.

Di fronte alla riforma ormai compiuta e in procinto di diventare pienamente effettiva, le prime risposte a questi dubbi si avranno dal monitoraggio del Terzo Settore nei primi anni successivi all’entrata in vigore del CTS e, se del caso, solo a posteriori potranno essere approntati opportuni correttivi. Un’ipotesi che varrebbe la pena considerare a questo proposito, specie a fronte di un’ipotetica definitiva eliminazione della residua disciplina codicistica, è una forma di ingresso graduale nel Registro del Terzo settore per le associazioni di nuova formazione, in modo che possano liberamente sorgere come associazioni non riconosciute con il regime più semplice e agevolato, per poi evolversi, a seconda della concreta attività e della struttura acquisita, nella forma più adatta tra quelle dell’art. 46 CTS, con un sistema ispirato alle startup con riferimento alle società di capitali.

[1] Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia di celebrazione del centenario di fondazione della Confederazione Cooperative Italiane, Roma, 14 maggio 2019

[2] Art. 18 Cost.: ”I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.

Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”.

[3] G. Tiberi, La dimensione costituzionale del Terzo settore, in Dove lo Stato non arriva. Pubblica amministrazione e Terzo settore, a cura di C. Cittadino 2008.

[4] Consiglio di Stato, Parere n. 00927, 31 maggio 2017.

[5] Istat, Censimento permanente delle Istituzioni non profit, 20 dicembre 2017.

[6] Istat, Censimento permanente delle Istituzioni non profit, 20 dicembre 2017: sono associazioni senza scopo di lucro il 95% degli enti che si occupano di cultura, sport e ricreazione; il 48,5% di quelli con finalità di istruzione e ricerca.

[7] Articoli da 14 a 35 c.c.

[8] L’ultima frase dell’art. 4. Co 1 del D.Lgs. 117/17 recita: “iscritti al registro unico nazionale del Terzo settore”, implicando che l’iscrizione non sia obbligatoria.

[9] Consiglio di Stato, Parere n. 00927, 31 maggio 2017.

[10] Supra.

[11] Art. 89 co. 4 D.Lgs. 117/17, che modifica in questo senso l’art. 148 co. 3 DPR 917/1986 (TUIR)..

[12] Consiglio di Stato, Parere n. 00927, 31 maggio 2017: parla di “svuotamento di contenuto normativo del Libro I del codice civile”.

[13] Il Registro unico nazionale del Terzo settore si compone delle seguenti sezioni:

  1. a) Organizzazioni di volontariato;
  2. b) Associazioni di promozione sociale;
  3. c) Enti filantropici;
  4. d) Imprese sociali, incluse le cooperative sociali;
  5. e) Reti associative;
  6. f) Società di mutuo soccorso;
  7. g) Altri enti del Terzo settore.

[14] Si confrontino gli artt. 79 co. 6 per gli ETS e 85 per le APS.

[15] Art. 82 D.Lgs. 117/17.

[16] Art. 83 D.Lgs. 117/17.

[17] Si vedano, per esempio, le disposizioni in tema di bilancio, artt. 13-14, lavoro, art. 16, volontariato, art. 17.

Davide Testa

Davide Testa è dottorando di ricerca presso la LUISS - Guido Carli e City Science Officer a Reggio Emilia, cultore della materia in Diritto Costituzionale e avvocato nel Foro di Padova. Dopo aver conseguito gli studi classici presso il Liceo Marchesi,  ha studiato Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Padova, svolgendo un periodo di mobilità di due semestri presso l’University College Dublin. Nel 2019 si laurea in Diritto Costituzionale con una tesi intitolata “Fondata sul lavoro: dall’Assemblea costituente alla gig economy”. A partire dallo stesso anno, collabora con l’area di Diritto Costituzionale della rivista Ius in Itinere e partecipa ai lavori del gruppo di ricerca "Progetto Città", promosso dal Dipartimento di Diritto Pubblico, Internazionale e Comunitario dell'Università di Padova. Nel 2020-2021 è inoltre stato titolare di un assegno di ricerca FSE intitolato "Urban Data Regulation – Best practices locali per un uso condiviso" presso il medesimo ateneo. Dal 2022 è dottorando di ricerca industriale presso LUISS - Guido Carli e, nell'ambito del dottorato, svolge attività di ricerca applicata presso il City Science Office attivato presso l'amministrazione di Reggio Emilia, nell'ambito della City Science Initiative promossa dal JRC della Commissione Europea. È inoltre avvocato presso il Foro di Padova.

Lascia un commento