venerdì, Marzo 29, 2024
Fashion Law Influencer Marketing

Pubblicità, moda e diritto

Pubblicità, moda e diritto

a cura di Pina Palladino

La moda e le “mode” esistono e fanno volutamente parte delle nostre vite, ci influenzano, ci condizionano, ci cambiano e, spesso, ci identificano; la stessa Coco Chanel, difatti, affermava che “la moda non è qualcosa che esiste solo negli abiti. La moda è nel cielo , nella strada: ha a che fare con le idee, con il nostro modo di vivere, con cosa sta accadendo”.

Sul punto, è necessario analizzare il rapporto che viene a crearsi tra “chi fa la moda” e “chi accetta la moda”: è proprio su questa relazione che si instaura il Fashion Marketing, ossia l’insieme di politiche e strategie mirate a tener viva e produttiva la relazione tra domanda e offerta del prodotto moda[1].

Al venditore spetta individuare le specifiche esigenze del consumatore, nonché del mercato, facendo sì che l’impresa possa produrre un bene che – per la maggiore – riuscirà a posizionarsi sul mercato, ed è, quindi, elemento determinante e caratterizzante per il successo della propria “creazione”.

Bisogna tener presente che, per il successo di un brand, oltre alla strategia di marketing, vi sono diversi fattori che l’azienda non deve sottovalutare, ossia la capacità produttiva e innovatrice della stessa, la velocità nell’adattarsi repentinamente ai cambiamenti del mercato meglio di quanto siano in grado di fare i competitors, la qualità dei prodotti – su questo aspetto e’ necessario precisare che per “qualità” si intende non soltanto la  “buona produzione” e, quindi, la capacità di produrre il bene senza difetti, ma va contestualmente interpretata come buona vendita, buon marketing e buona comunicazione, deve essere il surplus con il quale si implementa la fiducia del compratore nei confronti del prodotto.

Altri fattori che incidono sul successo di un prodotto sono l’immagine che lo stilista è riuscita a crearsi all’ interno e all’esterno della società, ed il carattere distintivo del marchio; la forza persuasiva del marchio è, difatti, in grado di condizionare la percezione del cliente su talune qualità del prodotto, mentre per l’azienda rappresenta un elemento che incide sul prezzo, sulla vendita e sulla distribuzione dei prodotti.

Il marchio, sotto il profilo giuridico, è ampiamente tutelato da una disciplina ad hoc, suscettibile al mutatis mutandis della società e che amplia il proprio spettro di tutela anche di fronte a quelle problematiche inerenti alla contraffazione, che causa ingenti problemi per le maison di moda.

Moda e mezzi di comunicazione: breve excursus storico

Le aziende che si occupano di moda iniziano ad avvertire la necessità di pubblicizzare i propri prodotti già nella seconda metà dell’Ottocento.

È però nel Novecento che si assiste ad un’accelerazione del processo, grazie all’avvento della televisione, anche se una prima estensione del fenomeno si era già registrata tramite la diffusione dei messaggi pubblicitari sui giornali e nelle sale cinematografiche.

Oggi si assiste ad una crescente digitalizzazione del fashion system, difatti tutte le maison di moda si sono gradualmente adeguate ai nuovi strumenti di comunicazione e di vendita, che sono rappresentati da internet e dai social network.

Negli ultimi anni infatti, si sono diffusi sempre più i c.d. “fashion blog”, ossia siti web personali che fungono da diario in cui gli utenti condividono idee, oggetti e pensieri, successivamente con l’avvento dei social network questo fenomeno si è evoluto in “microblogging” espressione con la quale si indica  la condivisione regolare di contenuti multimediali sui propri profili social[2].

Questi nuovi mezzi hanno condotto il fashion system a nuove strategie di marketing che si basano proprio sull’utilizzo di essi, in quanto ci si è resi conto che le scelte d’acquisto dei consumatori venivano fortemente condizionate dai giudizi dei bloggers, a tal proposito il report di Launchmetrics del 2019[3] evidenzia che il 75,7% degli esperti di moda, luxury e cosmetica crede che l’influencer marketing sia efficace nel persuadere la scelta del consumatore, al punto che le vendite di taluni prodotti, rispetto all’anno precedente, sono aumentate del 6,7%.

Questa nuova forma di pubblicità ha ribaltato ancora una volta le regole fondamentali dell’annuncio pubblicitario, dapprima modificate dallo stile di comunicazione del mondo della moda, che tende all’ostentazione del prodotto rendendolo così l’oggetto del desiderio che deve essere assolutamente posseduto dal pubblico e in seguito modificando il linguaggio pubblicitario che prima era elaborato dagli addetti ai lavori come pubblicitari e agenzie di pubblicità , mentre attualmente si fonda su canali di comunicazione orizzontali da utente a utente c.d. peer to peer.

Pubblicità: il quadro giuridico

La pubblicità rappresenta lo strumento utilizzato  per informare i consumatori e contribuire ad un sano confronto concorrenziale tra le aziende, per tale ragione si è avvertita la necessità di garantire che essa svolgesse la sua funzione di comunicazione e promozione senza indurre i suoi destinatari in inganno.

La disciplina giuridica, in materia di pubblicità in Italia, è collocata all’interno del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria [4], compito del CAP è far si che la comunicazione commerciale sia sempre più “onesta, veritiera e corretta[5] a tutela del pubblico, dei consumatori e delle imprese.

Vanno inoltre considerati il D.lgs. 145/2007[6] in materia di pubblicità ingannevole e comparativa  e il D.lgs. 206/ 2005[7]  (c.d. Codice del Consumo).

È bene definire in primis, cosa si intende giuridicamente per pubblicità, ciò è riscontrabile all’art 2 del D.lgs. 145/2007 alla lettera A, in cui si identifica con pubblicità “qualsiasi forma di messaggio che è diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività commerciale industriale, artigianale o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi”, tale locuzione è in grado di ricomprendere tutte le forme di comunicazione promozionale quali che siano le sue modalità o i suoi mezzi di diffusione.

Principio cardine, alla base della legislazione sulla comunicazione pubblicitaria, è quello della trasparenza che ritroviamo ex art. 7 del C.A.P.[8] ed ex art. 5 del d.lgs. 145/2007[9], ove viene sancito che la riconoscibilità del messaggio promozionale tende a prevenire la possibilità di confusione e pone il consumatore nelle condizioni di decodificare criticamente il messaggio, cosa che, di fatto, non accadeva con le  semplici comunicazioni o con i messaggi di natura meramente informativa.

Ed è proprio nella contrarietà a tale principio che si connota la fattispecie della pubblicità ingannevole disciplinata alla lettera b dell’art.2 del D.lgs. 145/ 2007 secondo cui è ingannevole: qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente”.

I meccanismi di controllo e sorveglianza sulla corretta esecuzione del messaggio pubblicitario sono affidati all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ed al Comitato di Controllo dello IAP.

Nel mondo della moda tale forma di comunicazione è particolarmente pericolosa poichè potrebbe disorientare il consumatore inducendolo ad acquistare un prodotto anziché un altro sulla base di false informazioni, a tal proposito valgono come esempio le decisioni PS8884 e PS9004[10] dell’AGCOM adottate nei confronti della Società Estée Lauder Clinique e del Gruppo L’Oréal.

Nella prima decisione l’Autorità ha sanzionato la Società Estée Lauder Clinique, con una multa di 400mila euro, per i messaggi pubblicitari che accompagnano la linea di prodotti Rempairerà Laser  a marchio Clinique diffusi con una pluralità di mezzi”, ovvero internet, spot tv, stampa e confezioni: nei messaggi, difatti, viene effettuato un raffronto tra i risultati ottenibili con questi cosmetici – entro tempi enfaticamente, determinati dallo stesso spot – e quelli legati a un trattamento di medicina estetica. Tale raffronto è costruito ad hoc al fine di indurre i consumatori all’acquisto del prodotto, di cui la caratteristica principale è il costo di mercato più basso, nonchè la mancanza di controindicazioni rispetto all’utilizzo del laser.

Gli studi prodotti a supporto della correttezza dei messaggi pubblicitari sono stati ritenuti non attendibili dal perito incaricato dall’Autorità, perché il paragone tra le due percentuali di miglioramento antirughe era stata rilevata in ambiti non omogenei: da un lato, un gruppo sottoposto a terapia laser medicale e, dall’altro, un campione femminile trattato con crema cosmetica.

Dalla perizia è inoltre emerso che “i due rimedi antirughe hanno meccanismi d’azione, modalità di utilizzo ed efficacia diversi e in nessun modo assimilabili”[11].

Nel caso L’Oréal, invece, l’Autorità non ha previsto sanzioni ma ha accettato “l’impegno assunto nei suoi confronti di evitare, nell’ambito di future campagne pubblicitarie di tutti i propri prodotti cosmetici, qualsiasi raffronto tra l’efficacia degli stessi con trattamenti di altra natura, in particolare di medicina e chirurgia estetica”[12].

Photoshop e la pubblicità ingannevole

Una nuova frontiera della pubblicità ingannevole riguarda l’utilizzo di software capaci di modificare le immagini utilizzate nelle campagne pubblicitarie (come ad esempio Photoshop).

In tale settore avanguardisticamente si è collocata la Francia che ha emanato nell’ottobre 2017 la “Legge Mannequin”, che prevede l’obbligo di apporre la dicitura “Photographie retouchee” sulle immagini utilizzate per le campagne pubblicitarie, nel caso in cui queste fossero state migliorate dal software, e il non adempimento di questo obbligo ha come pena il pagamento di una multa che va dai 37.500 euro fino ad arrivare al 30% del valore della campagna pubblicitaria.

Nel nostro ordinamento non riscontriamo ancora prese di posizioni di questo tipo.

Ulteriore problema è quello costituito dalla pubblicità occulta, che si configura come una particolare “species” della pubblicità ingannevole, ovvero come quella fattispecie che costituisce una sorta di raggiro “che si realizza pur sempre mediante occultamento della verità non già però con riferimento al contenuto del messaggio bensì alla sua funzione, che viene fatta apparire estranea all’ambito concorrenziale e quindi non strumentale alla vendita del prodotto”[13].

Tale meccanismo era fortemente presente nel mondo del cinema e oggigiorno rileva nel campo del Fashion Marketing, emblematico è il caso Alitalia – Aeffe, che ha visto coinvolte non solo due grandi società del panorama economico italiano, ma anche un cospicuo numero di famosissime influencer, che sono state accusate dall’Unione Nazionale Consumatori per aver messo in atto una sorta di pubblicità ingannevole nell’aver omesso nei post pubblicati, in cui erano presente i prodotti riconducibili alle due aziende,  che si trattasse di una iniziativa pubblicitaria.

Tale caso ha contribuito alla promozione di una prassi diffusasi tra gli influencer, ossia quella di specificare la natura dei loro post dando origine ad una sorta di  “codice di autoregolamentazione” in materia[14].

La pubblicità comparativa.

Ulteriore aspetto è quello relativo alla pubblicità comparativa[15], che rappresenta quella modalità di comunicazione pubblicitaria con la quale un’impresa promuove i propri  beni o servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti in modo oggettivo; i concorrenti possono essere individuati genericamente, e quindi si parla di pubblicità comparativa indiretta e, qualora dovessero essere espliciti i riferimenti ad un’altra campagna pubblicitaria si tende a parlare di pubblicità comparativa diretta. Questa seconda connotazione ha destato dubbi nel nostro ordinamento, essendo stata ritenuta illecita dai giudici che hanno interpretato tale istituto sussumendolo nell’alveo della concorrenza sleale[16], mentre ha riscontrato ampio successo nel sistema statunitense in cui ha dato luogo a celebri scontri tra imprese concorrenti[17].

Se considerata nella sua forma lecita la pubblicità comparativa, appare come uno strumento informativo fondamentale a disposizione dei consumatori, in quanto aumenta la trasparenza sul mercato e, quindi, favorisce la leale concorrenza.

La forma patologica della pubblicità comparativa si manifesta quando viene a mancare l’oggettività nella comparazione generando, di fatto, un messaggio pubblicitario illecito che potrà essere sanzionato se: è presentato in modo tale da generare confusione tra le imprese, scredita uno o più concorrenti o distorce in modo sleale le dinamiche competitive.

Alla luce di tutte queste argomentazioni, risulta evidente come l’Autoregolamentazione nel mondo della moda sia la disciplina migliore per mettere in luce le peculiarità e le esigenze che tale campo richiede e per apprestare la più completa ed esaustiva tutela.

 

[1] S. Sardella, Influencer marketing e Fashion Law, Ius in Itinere, articolo disponibile su https://www.iusinitinere.it/influencer-marketing-e-fashion-law-26606/amp

[2] M. Raco, La Digital Chart: una prima regolamentazione dell’influencer marketing, Ius in Itinere, contributo disponibile su https://www.iusinitinere.it/la-digital-chart-una-prima-regolamentazione-dellinfluencer-marketing-27135

[3]Lo Stato dell’influencer Marketing 2019, report scaricabile dal sito web https://www.launchmetrics.com/it/landing/rapporto-influencer-marketing-2019

[4] Il codice di autodisciplina pubblicitaria (CAP) è stato emanato nel 1966 dallo IAP che è l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria il quale si compone di due organi: il Giurì e il Comitato di controllo che hanno funzioni di garanzia e controllo dei messaggi pubblicitari . Le norme dettate dal CAP sono vincolanti soltanto per coloro i quali vi abbiano aderito spontaneamente, richiamando le norme stesse nel contratto di pubblicità e aderendo così al sistema auto disciplinare. Sul punto si legga il Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, disponibile sul sito internet

[5] Art. 1 CAP: “La comunicazione commerciale deve essere onesta, veritiera e corretta. Essa deve evitare tutto ciò che possa screditarla.”

[6] Normattiva https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2007;145

[7] Normattiva https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2005-09-06;206

[8] Art. 7 CAP. La comunicazione commerciale deve sempre essere riconoscibile come tale. Nei mezzi e nelle forme di comunicazione commerciale in cui vengono diffusi contenuti e informazioni di altro genere, la comunicazione commerciale deve essere nettamente distinta per mezzo di idonei accorgimenti. Per quanto riguarda talune forme di comunicazione commerciale diffuse attraverso internet, i principali idonei accorgimenti sono indicati nel Regolamento Digital Chart.

[9] Art. 5 D.lgs. La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale. La pubblicità a mezzo di stampa deve essere distinguibile dalle altre forme di comunicazione al pubblico, con modalità grafiche di evidente percezione

[10] AGCM, Bollettino 12/2014 del 24/03/2014, disponibile su https://www.agcm.it/pubblicazioni/bollettino-settimanale/2014/12/alias-6839

[11]AGCM, comunicato stampa PS8884-PS9004 – Prodotti cosmetici: Antitrust sanziona Estée Lauder Clinique per pubblicità crema antirughe con 400mila euro e accetta impegni del gruppo L’Oréal, disponibile sul sito https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2014/3/alias-6832

[12] Ibidem.

[13] Decisione del Giurì dello IAP 11/80

[14] Sul tema: e G. Fragalà, Infuencer marketing: AGCM chiude l’istruttoria e accetta gli impegni dei professionisti, https://www.iusinitinere.it/influencer-marketing-agcm-chiude-listruttoria-e-accetta-gli-impegni-dei-professionisti-21550/amp

[15] Art. 4 D.lgs. 145/2007

[16] Art. 2598 c.c.

[17] Di grandissima rilevanza e impatto in tale ambito è stato il caso scoppiato tra la Coca Cola e la Pepsi nel giorno di Halloween.

 

Fonte immagine: www.pixabay.com

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