Quali sono i diritti della madre lavoratrice durante e dopo la gravidanza?
La gravidanza e la maternità sono fasi delicate nella vita di una donna lavoratrice, motivo per cui il nostro legislatore ha dettato una serie di regole atte a disciplinare tali periodi della vita della donna.
La normativa che contiene tutte le regole concernenti congedi parentali, permessi, riposi, misure protettive ed in generale la tutela delle lavoratrici, nonché dei lavoratori, è contenuta nel d.lgs 151/2001, ossia il Testo unico a tutela della maternità e paternità.
Il testo riporta tutte le regole che devono essere rispettate dai datori di lavoro nei confronti della donna lavoratrice che versi in stato di gravidanza, al fine di attuare una tutela completa della salute della madre e di quella del nascituro, fino ai primi anni di vita del bambino.
La lavoratrice è tenuta ad informare il datore di lavoro del proprio stato di gravidanza, mediante presentazione del certificato medico.
Con la presentazione del certificato scattano tutte le tutele previste dalla su citata norma, qui di seguito approfondite.
Prima di tutto la normativa prevede il congedo di maternità, con il quale viene fatto divieto di adibire la lavoratrice al lavoro nei due mesi precedenti la data presunta del parto, nonché nei tre mesi successivi al parto, attribuendo alla stessa il diritto a ricevere l’80% della retribuzione.
E’ ammessa la possibilità di rilasciare tale congedo in un momento anteriore rispetto ai due mesi prima della data presunta del parto, in presenza di determinate circostanze che riguardano la lavoratrice,
Laddove sussistano gravi condizioni di salute della madre, una grave infermità o, peggio, in caso di morte, la legge prevede che il congedo, con tali caratteristiche, venga riconosciuto al padre.
Accanto a tale forma di astensione, la quale è obbligatoria, il legislatore ha previsto un’altra forma di astensione, facoltativa.
Essa è concretata dal cosiddetto congedo parentale, con il quale è attribuito, ad entrambi i genitori, il diritto di assentarsi dal lavoro, facoltativamente e contemporaneamente, nei primi anni di vita del bambino. In particolare una giurisprudenza di merito ha stabilito che al lavoratore padre deve essere riconosciuto un diritto autonomo a fruire del congedo parentale, a prescindere cioè dal fatto che la madre sia una lavoratrice. (Trib. Firenze 16/11/2009)
L’istituto del congedo parentale è stato profondamente inciso nel 2015, in occasione delle diverse riforme introdotte con il Jobs Act, per cui attualmente esso è così formulato:
– è previsto che il periodo di tempo entro il quale i genitori possano usufruire di tale congedo è esteso sino ai 12 anni di età del bambino (rispetto agli 8 anni previsti precedentemente);
– è previsto che il periodo entro il quale i genitori possano usufruire del congedo avendo diritto all’indennità pari al 30% della retribuzione, è esteso sino ai 6 anni del bambino (prima la disciplina limitava il riconoscimento di tale diritto sino ai 3 anni di età del bambino);
– é stata introdotta la possibilità per il genitore di scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria del congedo parentale;
– la riduzione a 5 giorni del periodo di preavviso al datore di lavoro che il genitore deve osservare (rispetto ai 15 giorni previsti dalla disciplina antecedente).
La normativa prevede ancora una disciplina peculiare per quanto concerne la tematica del licenziamento della madre lavoratrice.
E’ previsto il divieto di licenziamento della lavoratrice madre per tutto il periodo che va dalla gravidanza sino al primo anno di età del bambino.
In caso di licenziamento operato durante tale periodo, la legge prevede che tale licenziamento sia da considerarsi nullo ed è, inoltre, previsto:
– l’ordine di reintegro della lavoratrice nel posto di lavoro;
– la condanna del datore al risarcimento del danno (nella misura della mancata retribuzione percepita dalla lavoratrice);
– il versamento dei contributi per tutto il periodo successivo al licenziamento sino alla reintegrazione;
– infine, il diritto di opzione per la lavoratrice tra reintegra o pagamento di un’indennità.
La giurisprudenza comunitaria ha affermato che tale divieto deve essere interpretato non solo nel senso che esso vieta di notificare una decisione di licenziamento giustificato in ragione dello stato di gravidanza/maternità, ma anche nel senso ulteriore di vietare di prendere decisioni preparatorie allo stesso prima della scadenza del periodo di maternità dalla legge previsto. (Corte di Giustizia CE 11/10/2007).
Ancora norme specifiche contemplano il divieto per la lavoratrice di compiere determinati lavori considerati pericolosi ed il divieto di compiere lavoro notturno; particolare attenzione deve essere riservata anche alla valutazione dei rischi, incombente questa sul datore di lavoro.
Rispetto al primo divieto vi è da dire che la normativa in questione prevede tutta una serie di lavori che è previsto sia vietato svolgere in gravidanza e per un determinato periodo di tempo dopo il parto che giunge sino ai sette mesi di età del bambino, in quanto pericolosi, insalubri o faticosi. A titolo di esempio: lavori che comportano una posizione in piedi o una posizione scomoda; lavori su scale o impalcature; trasporto o sollevamento di carichi; lavori che espongono a temperature troppo alte o troppo base; lavoro notturno.
Rispetto, invece, all’obbligo incombente sul datore di lavoro, la normativa prevede che egli realizzi una valutazione dei rischi riguardanti lo stato di gravidanza in cui si trovi la lavoratrice. All’esito di tale valutazione, il datore deve comunicare alla lavoratrice ed al responsabile per la sicurezza quali sono le misure preventive e protettive che devono essere attuate. Esempio di tali misure può essere la modifica delle condizioni o degli orari di lavoro, oppure lo spostamento ad altra mansione, conservando però la lavoratrice la stessa retribuzione.
Nata a Napoli, il 26/07/1991.
Nel marzo del 2016 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’ Università Federico II di Napoli.
Ha intrapreso il percorso di preparazione al concorso in magistratura, frequentando un corso di formazione privato presso un magistrato. Inoltre, sta perfezionando la formazione presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni legali di Napoli ed è praticante avvocato.