venerdì, Marzo 29, 2024
Di Robusta Costituzione

Qui sta il busillis: gli ulteriori nodi da sciogliere della riforma costituzionale in itinere

Come anticipato nel precedente contributo Sostanza e ripercussioni della riforma costituzionale, riprendiamo la disciplina della proposta di legge costituzionale A.S. 1089 allo scopo di far luce sui passaggi oscuri.

“Quando una proposta di legge è presentata da almeno cinquecentomila elettori e le Camere non la approvano entro diciotto mesi dalla sua presentazione, è indetto un referendum per deliberarne l’approvazione. Se le Camere la approvano con modifiche non meramente formali, il referendum è indetto sulla proposta presentata, ove i promotori non vi rinunzino. La proposta approvata dalle Camere è sottoposta a promulgazione se quella soggetta a referendum non è approvata.” Art. 71, comma 3 Cost.[1]

  • L’iter prende le mosse dall’iniziativa di un comitato promotore -la cui individuazione è affidata alla legge di attuazione- che elabora una proposta di legge popolare su cui raccogliere le firme dei cittadini. Non è espressamente previsto che il testo debba presentarsi redatto in articoli[2] tanto meno il termine entro cui debba essere completata la raccolta delle sottoscrizioni sia in vista del controllo preventivo della Consulta (al raggiungimento di 200.000 firme), sia in relazione al deposito del documento. Dovrebbe, tuttavia, esserlo: indispensabile è la scansione dei tempi tant’è che, per il referendum abrogativo, è previsto un termine complessivo di 3 mesi[3] entro il quale è compresa la vidimazione e la convalida dei certificati su cui raccogliere le firme.

Serie perplessità si nutrono circa il potere di rinuncia al referendum esercitabile dal Comitato quando la proposta sia stata approvata dalle Camere con modifiche non meramente formali.

Tale controllo, come si dirà più avanti, è di competenza di un organo terzo -individuato, anch’esso, dalla legge di attuazione- la cui decisione è impugnabile proprio dal Comitato innanzi al Giudice delle Leggi nella forma dell’art. 134 Cost.

Allo stesso modo, la legittimazione a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato è conferita al Comitato che, in occasione di referendum -in questo caso- abrogativo, intenda difendere il quesito originario avverso l’ordinanza emessa dall’Ufficio centrale del referendum a norma dell’art. 39 della L. n. 352/1970: “Se prima della data dello svolgimento del referendum, la legge o l’atto avente forza di legge, o le singole disposizioni di essi cui il referendum si riferisce sono stati abrogati, l’Ufficio centrale per il referendum dichiara che le relative operazioni non hanno più corso”. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 69/1978, ha dichiarato l’illegittimità della predetta normativa limitatamente alla parte in cui non prevede che, se l’abrogazione degli atti o delle singole disposizioni oggetto della richiesta referendaria è accompagnata dalla previsione di nuova disciplina sempre della stessa materia che non modifichi i principi ispiratori della complessiva disciplina preesistente né i contenuti essenziali dei singoli precetti, il referendum si effettui sulle nuove disposizioni legislative. Trattasi di caso estremo di pronuncia additiva con cui la Corte ha reagito alla tendenza degli organi legislativi ad eludere il confronto con il corpo elettorale.[4]

Ebbene, così come il Comitato, in occasione di consultazione popolare ex art. 75 Cost., difende il quesito da non convincenti ipotesi di “abrogazione sufficiente”[5] in caso di ius superveniens, ugualmente, durante lo svolgimento del nuovo iter rinforzato, i promotori sono legittimati a sollevare conflitto di attribuzione allo scopo di proteggere l’originario progetto dagli stravolgimenti legislativi evidentemente non rilevati dall’organo terzo competente. Pertanto, non si comprende a che titolo il Comitato possa decidere di rinunciare alla consultazione popolare quando la proposta sia stata sostanzialmente incisa. Di certo non in nome dei firmatari[6] come, diversamente, avviene nel caso della difesa della proposta originaria tramite conflitto di attribuzione (essendo il consenso insito della sottoscrizione).[7]

Contrariamente alle riflessioni sull’esercizio del potere di rinuncia, chi scrive guarda con favore alla modifica dei regolamenti parlamentari, allo scopo di disciplinare le modalità di partecipazione dei promotori ai lavori delle Camere relativi al progetto di legge formulato.[8]

Seppur questi agiscano “in piena ed assoluta autonomia e discrezionalità e quindi senza poter essere in alcun modo né controllati, né autorizzati dai cittadini che hanno precedentemente firmato l’atto di iniziativa popolare”,[9] il rischio che tradiscano la volontà dei sottoscrittori si misura con gli indiscutibili vantaggi della loro presenza in seno alle discussioni sulla proposta di legge: potranno orientare il dibattito parlamentare (che è ben diverso da coartare gli organi rappresentativi) e, nel caso di dubbi, chiarire le incertezze. Quale miglior interpretazione di quella autentica?

E qualora il contributo dei promotori si sia discostato dal volere dei firmatari, questi ultimi saranno sempre liberi di bocciare il progetto in sede referendaria.

 

  • Considerevole è il passaggio della riforma che definisce l’oggetto del referendum, disciplina che ha conosciuto una notevole variazione a seguito dell’approvazione della proposta dalla Camera dei Deputati. Il progetto A.C. 1173, come originariamente depositato, così recitava: “Se le Camere approvano la proposta in un testo diverso da quello presentato e i promotori non vi rinunziano, il referendum è indetto su entrambi i testi. In tal caso l’elettore che si esprime a favore di ambedue ha facoltà di indicare il testo che preferisce. Se entrambi i testi ottengono la maggioranza dei voti validamente espressi, è approvato quello che ha ottenuto complessivamente più voti”.

Di nuovo, rappresentati contro rappresentanti, Ali contro Frazier: uno scontro tra pesi massimi che attenterebbe alla stabilità della nostra forma di governo. Si potrebbe, pertanto, considerare perfezionamento il passaggio alla normativa della proposta A.S. n. 1089 giacché ridurrebbe “ad una forma accettabile” il conflitto con le assemblee rappresentative che, tuttavia, mettiamoci l’anima in pace, è spirito che pervade qualsivoglia consultazione popolare. C’è, dunque, chi sostiene che si tratti di miglioramento,[10] ma attenzione a considerarlo tale. L’eliminazione dell’alternativa referendaria tra proposta d’iniziativa popolare e quella, sostanzialmente diversa, deliberata dal Parlamento non evita ma cela a mala pena tale dinamica oppositiva, insorgendo, poi, la primaria esigenza di garantire eguale conoscibilità  del progetto di impulso popolare e di quella approvata dalle Camere o della normativa vigente -in caso di inerzia scaduto il termine di 18 mesi-.[11] Peraltro, l’esigenza di assicurare un confronto ad armi pari spiegherebbe per qual motivo il testo approvato dalle Camere, con modifiche di carattere sostanziale, è soggetto al controllo di ammissibilità -meglio, costituzionalità- della Consulta. In ultimo, appaiono oltremodo drammatiche le paventate conseguenze politiche qualora sia accordata preferenza alla proposta d’iniziativa popolare. Tutt’altro che automatico, difatti, è lo scioglimento anticipato delle assemblee rappresentative, scrupolosamente vagliato, di volta in volta, dal Presidente della Repubblica con il consenso del Presidente del Consiglio che controfirma il decreto di scioglimento.

Ci si chiede, pertanto, se “il rimedio non sia peggiore del male”[12] e se, conseguentemente, non sia auspicabile il ritorno alla precedente formulazione che, mettendo l’elettore dinanzi alla scelta di due testi -“quello ex parte societatis e quello ex parte potestatis”- può fregiarsi di rendere più trasparenti i termini della decisione.

 

“Il referendum non è ammissibile se la proposta non rispetta la Costituzione, se è ad iniziativa riservata,[13] se presuppone intese o accordi, se richiede una procedura o una maggioranza speciale per la sua approvazione,[14] se non provvede ai mezzi per far fronte ai nuovi o maggiori oneri che essa importi e se non ha contenuto omogeneo.” Art. 71, comma 4 Cost.

 

  • Veniamo alle condizioni di ammissibilità del referendum O forse, no. Perché, più correttamente, i limiti in esame vanno qualificati come vincoli posti all’esercizio del potere di iniziativa.[15] Il vaglio del Giudice delle Leggi al raggiungimento di 200.000 sottoscrizioni verte, infatti, sul progetto rispetto al quale la consultazione popolare si pone come meramente eventuale: la declaratoria di inammissibilità della Consulta, prima ancora dell’inesperibilità del referendum, sancirebbe l’improcedibilità della proposta.

Ma andiamo, ora, alla sostanza: è opportuno integrare il novero delle materie sottratte al referendum propositivo. In prima battuta, va esternata l’esclusione della consultazione popolare per le leggi, dotate di copertura costituzionale in qualità di norme interposte, in attuazione degli obblighi internazionali e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario ex art. 117 Cost. Seppur sia pacifico che tale limite rappresenti naturale svolgimento dell’osservanza del dettato costituzionale, la dottrina, quasi all’unanimità,[16] è concorde nella sua esplicitazione onde evitare che, future ed eventuali interpretazioni restrittive possano giungere a difformi conclusioni con effetti di non poco conto sul principio pacta sunt servanda.[17]

Analogo discorso vale per le leggi a contenuto costituzionalmente vincolato[18] e, ancor di più per quelle a contenuto costituzionalmente necessario (la legge elettorale,[19]ad esempio), la cui esistenza è indispensabile per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali della Repubblica.

Anche la materia penale -in termini di introduzione di nuove ipotesi delittuose e incremento delle pene previste per le fattispecie già esistenti- dovrebbe essere sottratta alla disponibilità dei promotori al fine di impedire che il nuovo istituto possa essere sfruttato in chiave giustizialista sull’onda “un approccio emotivo o populistico alla punibilità”.[20]

Le leggi di spesa sono ammissibili solo ove diano indicazione dei mezzi per far fronte ai nuovi o maggiori oneri che esse importano. Il vaglio è di competenza della Consulta che, controllando altresì che il progetto sia conforme a Costituzione, verificherà se la normativa e le relative coperture sono rispettose del vincolo del pareggio di bilancio ex art. 81 Cost. Trattandosi di operazione che richiede specifiche conoscenze tecniche di cui il Giudice delle Leggi è sprovvisto, è auspicabile che, nell’esercizio di tale funzione, sia assistito da un organo competente quale la Ragioneria di Stato, la Corte dei Conti o l’Ufficio parlamentare di Bilancio. La riforma, all’art. 71, comma 6, specifica che “spetterà alla legge di attuazione stabilire le modalità di verifica dei mezzi per far fronte a nuovi o maggiori oneri anche in relazione al loro eventuale adeguamento da parte dei promotori”. Il passaggio evidenziato tiene conto del fatto che le individuate fonti di copertura finanziaria sono, presumibilmente, destinate a rimodulazione una volta decorso il termine di 18 mesi per la celebrazione del referendum.[21] Si pongono gli stessi dubbi insorti circa la legittimazione del Comitato all’esercizio del potere di rinuncia. In questo caso, ancor di più: le modifiche apportate non solo non hanno alcun tipo di legame con la volontà dei sottoscrittori, ma incidono anche su un testo che è già stato sottoposto al vaglio, positivamente concluso, della Consulta.

A onor del vero, in dottrina, c’è chi propende per la radicale soluzione dell’inammissibilità, tout court, delle proposte di leggi di spesa che, sebbene accompagnate dalle relative coperture, sono tali da incidere, sempre, sulla legge di bilancio (non sottoponibile a referendum propositivo in quanto ad iniziativa riservata ex art. 81, comma 4 Cost.).[22] Meglio, a giudizio di chi scrive, escludere dall’iter rinforzato le sole il cui ambito di operatività sia strettamente collegato alla manovra di bilancio, in analogia con la disciplina del referendum abrogativo.[23]

Ora, partendo dall’assunto per cui “anche l’abrogare puramente e semplicemente non è ‘non disporre’, ma ‘disporre diversamente’ e costituisce, pertanto, esercizio di potestà normativa”,[24] in altre parole, dall’identità tra abrogare e positivamente normare, è auspicabile estendere le limitazioni cui soggiace il referendum abrogativo alla nuova consultazione popolare: tale parallelismo andrebbe ad evitare che, mediante l’uso in chiave abrogativa del referendum propositivo, si possano eludere i limiti posti dall’art. 75, comma 2 Cost. Per tal motivo si strizza l’occhio al “ripescaggio” della proposta A.C. 726,  nella parte in cui vieta il ricorso al referendum propositivo quando l’iniziativa abbia finalità meramente abrogativa.[25] A ben vedere, seppur diversamente “vestite”, le condizioni di ammissibilità delle consultazioni referendarie finiscono, quasi, per coincidere: le leggi di bilancio sono escluse in quanto ad iniziativa riservata a norma dell’art. 81, comma 4 Cost; lo sono, altresì, le leggi di amnistia e indulto giacché richiedono una procedura o una maggioranza speciale ai fini dell’approvazione ex art. 79, comma 1 Cost.;[26] parimenti inammissibili le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali giacché facilmente inquadrabili tra quelle che suppongono accordi e intese. Rimangono fuori le sole leggi tributarie. Durante i lavori che hanno portato alla formulazione dell’art. 75, i padri costituenti hanno, ovviamente, discusso delle condizioni di ammissibilità referendarie. Dubbi sono stati sollevati in merito alle leggi di bilancio e di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali. Mentre, ferma, sempre, è stata l’esclusione della materia tributaria.[27] Appare, infatti, inopportuno affidare temi così delicati alla legislazione popolare, sovente “dalla pancia” guidata: concreto sarebbe il rischio di penalizzare le future generazioni, data la tendenza dell’elettorato a orientarsi sempre secondo logiche di bisogno contingente.[28] Condivisa dall’ordinamento di altri Stati è la decisione di non porre nelle mani della democrazia diretta la materia tributaria: secondo l’art. 87 della Costituzione spagnola “Non è ammessa l’iniziativa in materie riservate alla legge organica, tributaria o di carattere internazionale, né in tutto ciò che concerne la prerogativa della grazia”. La Costituzione bulgara sancisce, all’art. 74, che “l’iniziativa popolare è esclusa in materia tributaria, internazionale, di amnistia e indulto”.

In ultimo, un dubbio amletico: tassativo o non tassativo l’elenco delle condizioni di procedibilità ex art. 71, comma 4? “In linea con l’esperienza dei referendum abrogativi, nessun elenco può dirsi esaustivo”. La giurisprudenza costituzionale ha, infatti, elaborato limiti e criteri di ammissibilità/legittimità ulteriori rispetto alle previsioni dell’art. 75, comma 2 Cost.[29] che, peraltro, rappresenteranno un “convitato di pietra” nel giudizio preventivo della Consulta sulle proposte di legge popolare presentate ai sensi del nuovo art. 71, comma 3 Cost.[30]

 

La proposta sottoposta a referendum è approvata se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi, purché superiore a un quarto degli aventi diritto al voto. Art. 71, comma 5 Cost.;

 

La proposta soggetta a referendum è approvata se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi purché supe­riore a un quarto degli aventi diritto al voto. Art. 75, comma 4 Cost.

 

  • “Il quorum cambia volto e si trasforma in altro da sé: da soglia quantitativa che radica la validità della deliberazione popolare,[31] in valore minimo che sorregge la singola opzione.”[32] Il nuovo quorum deliberativo -comune ad entrambe le consultazioni popolari- prevede che la proposta è approvata qualora ottenga la maggioranza dei voti validamente espressi, purché superiore ad un quarto degli aventi diritto al voto. Si andrebbe, così, a “disinnescare” lo strumento dell’astensione che, più volte, è stato “artatamente sollecitato” ed utilizzato per vanificare la consultazione. [33] Ricorderei, peraltro, che l’astensione -pur non auspicabile dal momento che il voto, come Giano bifronte, è diritto, ma anche dovere- rimane lecita fintanto che da terzi non indotta. La condotta è penalmente rilevante a norma dell’art. 98 del T. U. delle Leggi recanti norme per la elezione della Camera dei Deputati.[34]

Se la scelta dell’eliminazione del quorum -prima[35]– e della sua riduzione -poi- prende  le mosse dalla necessità di reagire alla strumentalizzazione dell’astensione in funzione oppositiva che ha neutralizzato o, comunque, assai depotenziato lo strumento del referendum abrogativo, è convinzione di chi scrive, e non solo,[36] che tale esigenza potesse essere parimenti soddisfatta senza consegnare la decisione referendaria nelle mani di una minoranza.

Appare, infatti, incoerente con il principio democratico consentire, in luogo della partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto, che un ristretto gruppo di cittadini -il 25% + 1- possa introdurre nell’ordinamento un atto legislativo vincolante per la collettività tutta. Calzanti sono le considerazioni della Corte costituzionale sulla disciplina del voto, e che non possono non valere anche per quello referendario. Cosi come inammissibili sono le norme che “producono una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.”;[37] parimenti inammissibili vanno considerate quelle norme che, prive della previsione di un quorum strutturale, ovverosia di una disposizione che garantisca una partecipazione sufficientemente consistente dei cittadini alla consultazione, producano l’effetto, antidemocratico, di vincolare l’intero corpo elettorale ad una decisione adottata da una minima parte degli stessi.

Inoltre, considerato che scopo della riforma è addivenire ad un’equilibrata integrazione tra democrazia diretta e rappresentativa, va evidenziato che l’art. 71, comma 5 Cost., irragionevolmente, finirebbe per sottoporre le manifestazioni legislative dei rappresentati e dei rappresentati a diverse regole deliberative che, contrariamente alle premesse, porterebbero ad agevolare le forme della democrazia partecipata.[38]

Pertanto, in una prospettiva de iure condendo, ci si augura che, in Senato, l’attuale disciplina del quorum sia sostituita con quella della proposta di legge A.C. n. 726: “La proposta soggetta a referendum popolare propositivo è approvata se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi e se ha partecipato alla votazione un numero di elettori almeno pari alla maggioranza degli elettori che hanno preso parte alla precedente votazione per l’elezione della Camera dei deputati.” Tale previsione mutua una soluzione adottata dall’art. 75 dello Statuto toscano relativamente alla quale la Consulta[39] ha ricordato che “non appare irragionevole, in un quadro di rilevante astensionismo elettorale, stabilire un quorum strutturale non rigido, ma flessibile, che si adegui ai vari flussi elettorali, avendo come parametro la partecipazione del corpo elettorale alle ultime votazioni del Consiglio regionale, i cui atti appunto costituiscono oggetto della consultazione referendaria”.

Tale quorum partecipativo pone sullo stesso piano rappresentanti e corpo elettorale e la differente base di calcolo -flessibile-[40] è capace di adeguarsi alle trasformazioni dei comportamenti di voto, anche quando da terzi incitati…

Qualora il revisore non voglia cogliere il suddetto input, si ricordi, perlomeno, di specificare, all’art. 75, comma 4 Cost., chi sono gli aventi diritto al voto: gli elettori della Camera[41] o del Senato?

Alle elezioni politiche del 2018 lo scarto tra gli uni e gli altri è di oltre 2.700.000 elettori.[42]

 

  • Giunti a questo punto, è possibile trarre le conclusioni circa il rapporto tra le consultazioni popolari a norma degli artt. 71 e 75 Cost. evidentemente recto e verso della stessa medaglia. I confini, tuttavia, non sono definiti: il referendum abrogativo è stato utilizzato ben oltre la sua ratio originaria, proprio in chiave propositiva complice l’avallo della Corte Costituzionale dei così detti referendum manipolativi, i quali, mediante il ritaglio di singole parti di articoli, di parole, addirittura segni di interpunzione, tentano di dare all’atto normativo un significato diverso, anche distante da quello originario.[43] L’uso propositivo del referendum abrogativo è, evidentemente, un mezzo del tutto insufficiente per alterare la legislazione vigente: è come se al Parlamento fosse imposto di modificare una legge mediante la sola struttura sintattico-grammaticale e le singole parole dell’atto vigente.

L’uso improprio dell’istituto è stimolato dall’assenza di efficaci strumenti di carattere propositivo come quello che, attualmente, si intende introdurre. Non a caso, già nel 2013,  la Commissione “Quagliariello”[44] sosteneva che “la natura meramente abrogativa del referendum ha posto  delicati problemi poiché ha impedito lo sviluppo di strategie legislative elaborate dal corpo elettorale, limitato dalla necessità di operare, appunto, con lo strumento della sola abrogazione. Per superare tale limite, l’istituto del referendum abrogativo è stato conformato nel tempo diversamente dall’intento originario, come dimostrato dalle numerose richieste referendarie cosiddette “manipolative”. Proprio la storia dell’istituto conferma l’esistenza dell’esigenza di superarne i limiti aprendo la strada a più intense forme di legislazione popolare purché coerenti con il principio della rappresentanza politica.”

La riforma in parola, mediante l’introduzione dell’iniziativa legislativa popolare “indiretta” restituisce al referendum abrogativo la propria identità scongiurandone improprie torsioni propositive. In questo senso, si ribadisce l’opportunità di positivizzare il divieto di ricorrere all’iter rafforzato con finalità squisitamente abrogative e, ancor di più, si comprende la necessità di estendere le limitazioni dell’art. 75, comma 2 al referendum propositivo: riportata nei ranghi, la consultazione abrogativa risulta meno pervasiva della nuova fattispecie la quale è assoggettata, con la sola eccezione delle leggi tributarie -da rivedere- a condizioni di procedibilità molto più stringenti e così non poteva che essere: “il più non può che contenere il meno”.[45]

I confini, ora, sono chiaramente tracciati: mediante il nuovo strumento si intende consentire l’espressione di una volontà popolare alternativa e direttamente sostitutiva rispetto a quella formulata dal Parlamento mentre il referendum abrogativo si limita a consentire l’esternazione di una volontà popolare meramente correttiva rispetto a quella manifestata in passato dai titolari del potere legislativo.[46]

 

 

“Con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera sono disciplinati l’attuazione dell’iniziativa legislativa esercitata da almeno cinquecentomila elettori e del relativo referendum, il concorso di più proposte di legge di iniziativa popolare, il loro numero massimo, le modalità di verifica dei mezzi per far fronte a nuovi o maggiori oneri anche in relazione al loro eventuale adeguamento da parte dei promotori, le modalità per assicurare eguale conoscibilità della proposta di iniziativa popolare e di quella approvata dalle Camere o della normativa vigente, nonché la sospensione del termine previsto per l’approvazione della proposta nel caso di scioglimento delle Camere” Art. 71, comma 6 Cost.

 

  • È indubbio: le assemblee rappresentative molto avranno da fare, per qualcuno, anche troppo. La “patata bollente” sarebbe stata scaricata sul legislatore d’attuazione per via dell’inconcludenza del dibattito presso la Camera dei Deputati su diversi punti nevralgici essenziali al concreto funzionamento del nuovo meccanismo propositivo.[47]

Peraltro, la dottrina non è nemmeno concorde sulla forma della legge d’attuazione.

Quella ex art. 138 Cost. sarebbe opportuna per via della, già sottolineata, delicatezza degli argomenti da trattare. Tuttavia, traendo nuovamente ispirazione dalla disciplina del referendum abrogativo, per non inutilmente appesantire il dettato costituzionale, ben si potrebbe lasciare alla legislazione ordinaria la definizione degli strumenti attuativi della riforma. Unica controindicazione, l’eventuale conflitto d’interessi in cui ricadrebbe il legislatore stante la pervasività dell’istituto rispetto alla propria attività.[48] Si potrebbe rimediare inserendo nel testo della proposta di legge costituzionale un limite temporale entro il quale completare l’attuazione della riforma evitando che si trasformi in carta morta.[49] In ogni caso, la legge attuativa si qualificherà come rinforzata e pertanto non sarà modificabile attraverso il procedimento ex art. 71, comma 3.

Lungo questo percorso alla scoperta della riforma, ci siamo già imbattuti in -quasi- tutti i temi che la legge di attuazione dovrà sviluppare. Manca la definizione dell’organo terzo competente circa la valutazione delle modifiche apportate dalla Camere alla proposta originaria. Ne parleremo in ultimo assieme al ruolo della Consulta in questo iter. Restano dei suggerimenti, dei nodi che andrebbero in questa fase sciolti prima che, a cose fatte, giungano al pettine:

  1. In analogia con il regime cui è sottoposta la consultazione ex. art. 75 Cost., si potrebbe sottoporre l’iniziativa popolare rinforzata a limiti temporali sancendo il divieto di referendum propositivo nell’ultimo anno di legislatura oppure nei sei mesi successivi al suo inizio[50] nonché l’impossibilità di riproporre il medesimo progetto per cinque anni se bocciato dall’elettorato.[51]
  2. Quale destino attende i progetti dichiarati inammissibili, in tutto o in parte, dal Giudice delle Leggi? Delle due l’una: o si ammette l’effetto abortivo dell’iter,[52] oppure, lo si “degrada”[53] a procedimento a norma dell’art. 71, comma 2 Cost.,[54] lasciando alle Camere il compito di rimodulare il testo epurandolo dei passaggi incostituzionali sempre che, ovviamente, la contrarietà al disposto costituzionale sia la causa dell’improcedibilità. A giudizio di chi scrive, tale sorte è quella cui dovrebbero andare incontro anche le proposte che, giudicate ammissibili dalla Consulta, non riescono a raggiungere 500.000 firme.
  3. L’eventuale sovrapposizione del nuovo iter ai procedimenti legislativi già in corso e relativi al medesimo oggetto rappresenta, per chi scrive, un falso problema. Qualora, infatti, questi ultimi culminassero con l’approvazione di una legge, il suo decorso -non si vede per qual motivo- dovrebbe essere bloccato dal procedimento ex art. 71, comma 3 Cost. L’atto, dunque, marcerebbe diretto verso la promulgazione a cura del Presidente della Repubblica, salvo poi essere eventualmente abrogato dalla difforme legge di impulso popolare approvata dal referendum propositivo e successivamente entrata in vigore.
  4. Va, infine, ponderata l’integrazione dell’art. 1, comma 1 della L. n. 459/2001[55] che consente ai cittadini italiani residenti all’estero di votare -nella circoscrizione estero- per i referendum nazionali di cui agli artt. 75 e 138 Cost. L’esclusione della consultazione propositiva appare irragionevole.

 

“Spetta alla Corte costituzionale giudicare se le richieste di referendum abrogativo presentate a norma dell’art. 75 della Costituzione siano ammissibili ai sensi del secondo comma dell’articolo stesso. Le modalità di tale giudizio saranno stabilite dalla legge che disciplinerà lo svolgimento del referendum popolare, prevedendo che la Corte costituzionale giudichi non prima che siano state raccolte almeno duecento­ mila firme.” Art. 2, comma 2, L. Cost. n. 1/1953;

 

“Spetta altresì alla Corte costituzionale giudicare sull’ammissibilità delle richieste di referendum di cui all’articolo 71 della Costituzione.

Sull’ammissibilità del referendum di cui all’articolo 71 della Costituzione la Corte costituzionale giudica prima della presentazione della proposta di legge alle Camere, purché siano state raccolte almeno duecentomila firme.

Spetta altresì alla Corte costituzionale dichiarare, prima dell’eventuale rinunzia dei promotori, che la proposta approvata dalle Camere non può essere sottoposta a promulgazione, se non è conforme all’articolo 71, quarto comma, della Costituzione. Prima di tale giudizio, un organo terzo, individuato dalla legge di cui all’articolo 71, sesto comma, della Costituzione, verifica se il testo approvato dalle Camere abbia apportato modifiche non meramente formali alla proposta di iniziativa popolare presentata.

Le modalità dei giudizi di cui al terzo, quarto e quinto comma del presente articolo sono stabilite dalla legge di cui all’articolo 71, sesto comma, della Costituzione.” Art. 2, commi 3-6, L. Cost. n. 1/1953.

 

  • Si accoglie positivamente la scelta, opportunamente estesa alla consultazione abrogativa, di collocare temporalmente il controllo di legittimità costituzionale al raggiungimento di 200.000 sottoscrizioni: il quantitativo di firme è affidabile indice della serietà dell’iter, e, così facendo, viene scongiurato un inutile ricorso allo strumento referendario la cui organizzazione comporta un ingente investimento in termini economici e di energie e può “suscitare una legittima aspettativa dei sottoscrittori che potrebbe essere successivamente frustrata da un giudizio di inammissibilità.”[56]

Ciò detto, ci siamo già imbattuti nelle condizioni di ammissibilità della consultazione propositiva che, in verità, sono vincoli posti all’esercizio del nuovo potere di iniziativa, il cui rispetto è vagliato dalla Consulta che, a ben vedere, esercita sulla proposta un controllo di legittimità costituzionale pieno e preventivo. Sembrerebbe che il revisore abbia difficoltà a chiamare le cose con il loro nome.

L’intervento del Giudice delle Leggi è tutt’altro che un banale controllo di ammissibilità del referendum propositivo. Ha, infatti, ad oggetto il testo sottoscritto da 200.000 elettori di cui deve verificare, a norma dell’art. 71, comma 4, la conformità al dettato costituzionale nella sua interezza. È un giudizio inedito nel nostro ordinamento:[57] a tutto tondo[58] e dal carattere preventivo, aspetto che eviterebbe alla Corte costituzionale di sindacare la legge di iniziativa popolare a seguito della sua entrata in vigore sollevandola da comprensibili scrupoli a collidere con il voto popolare. Sia chiaro, in ogni caso, che il controllo di carattere preventivo non comporta il rilascio di alcuna “patente di costituzionalità”:[59] la Consulta, investita della questione in via principale o incidentale, potrà, in qualsiasi momento, verificare che la legge sia rispettosa dei parametri invocati. A proposito di scrupoli, c’è chi sostiene che, in presenza di numerose richieste referendarie, la Corte andrebbe incontro ad un gravoso incremento della propria attività. Senza contare che, dovendo svolgere, ex officio, un controllo della proposta a tutto campo, le si attribuirebbe un’ulteriore competenza davvero “difficile e defatigante”.[60] Ebbene, se la prima doglianza è facilmente superabile tramite, come già visto, la previsione del numero massimo di 2 proposte presentabili per legislatura, nel secondo caso trattasi di funzione che, per quanto logorante, è già esercitata dalla Corte Costituzionale degli ordinamenti stranieri[61] che contemplano il sindacato di legittimità costituzionale preventivo ed astratto delle leggi. La vera criticità è, invece, ravvisabile nella decisione del revisore di anticipare il controllo di costituzionalità anche sulla legge parlamentare. Stante l’esito positivo del sindacato ad ampio spettro già portato a termine, l’ulteriore scrutinio andrebbe a cadere sulle sole modifiche di carattere sostanziale apportate della Camere. Irragionevole, pertanto, è l’introduzione di siffatto sindacato: è priva di senso la disomogeneità di trattamento fra leggi, parimenti parlamentari, in ragione del fatto che l’una consegua a un’iniziativa popolare “rafforzata” e l’altra no.[62] O tutte o nessuna. Il venir meno della duplice scelta sulla scheda referendaria -a favore della proposta popolare o della legge parlamentare difforme-, come già accennato,  ha privato tale controllo  della propria ratio giustificativa, fondata sulla “simmetria di trattamento” tra l’atto di iniziativa popolare e la legge approvata dalle assemblee rappresentative.[63]

 

  • Tra le condizioni della celebrazione del referendum propositivo figura l’approvazione parlamentare, nel termine di 18 mesi, di una legge che apporti modifiche non meramente formali alla proposta di derivazione popolare. È competenza di un organo terzo -individuato dalla legge attuativa- valutare se le alterazioni al progetto originario si qualifichino come tali. Su questo tema, due brevissime considerazioni. La scelta dovrebbe ricadere sull’Ufficio centrale per il referendum: ha maturato un’esperienza pluridecennale e non si andrebbe ad appesantire la Costituzione di nuovi organi di rilevanza costituzionale.[64] Quanto alla valutazione dell’espressione “non meramente formali”, certamente rappresenta un progresso rispetto alla proposta A.C. 1173[65]  in forza della quale anche la modificazione di una banale forma verbale avrebbe aperto la porta al voto popolare. A ben vedere, anche l’attuale soluzione pecca di indeterminatezza: si potrebbe, quindi, stabilire che si procede a referendum propositivo quando la legge parlamentare ha modificato i principi ispiratori della disciplina di impulso popolare oppure “i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti”,[66] formula che, specularmente, si ispira alle conclusioni della già citata giurisprudenza costituzionale in tema di “abrogazione sufficiente.”[67]

 

  • Qualora la proposta popolare, a seguito della consultazione, venga approvata, l’iter dovrebbe proseguire con la promulgazione della legge da parte del Capo dello Stato. Sul punto, in verità, manca un’espressa indicazione così come non vi è traccia di deroghe ai poteri del Presidente della Repubblica. “In un cono d’ombra resta il controllo in fase di promulgazione”:[68] non è, difatti, chiaro se il Capo dello Stato possa avvalersi della prerogativa ex art. 74 Cost. ovverosia della richiesta, attraverso messaggio motivato, alle assemblee rappresentative di una nuova delibera. Chi scrive, infatti, si chiede come tale potere possa essere esercitato dal momento che non è rivolto ai promotori bensì proprio alle Camere che a tale iniziativa legislativa si sono contrapposte. “C’è un caso in cui non posso, anzi devo, non firmare” chiarisce il Presidente Mattarella “quando arrivano leggi o atti che contrastano palesemente, in maniera chiara con la Costituzione.”[69] Nel nuovo iter rafforzato di impulso popolare, la previsione dell’art. 74 Cost. è svuotata della propria sostanza che viene assorbita dal sindacato preventivo ed astratto della Consulta. Il Presidente della Repubblica, rappresentante dell’unità dello Stato e custode della Costituzione, verrebbe, così, tolto dalla scomoda posizione di valutare un testo sorretto dalla volontà popolare.[70]

 

  • Resta un nodo da sciogliere: il rapporto tra la legge popolare ed i successivi tentativi di modifica di quella parlamentare. Per l’ultima volta, ricorriamo alla giurisprudenza costituzionale relativa alla consultazione abrogativa. La Consulta ha affermato “il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare”, ma ciò “al solo fine di impedire che l’esito della consultazione venga posto nel nulla, senza che si sia determinato, successivamente all’abrogazione, alcun mutamento del quadro politico, né delle circostanze di fatto, tale da giustificare un simile effetto”. Siffatto vincolo è contrassegnato da “carattere puramente negativo, posto che il legislatore ordinario conserva il potere di intervenire nella materia oggetto di referendum senza limiti che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa abrogata.”[71] Nel rispetto del sentiero tracciato dalla Corte, il revisore potrebbe autorizzare, nella forma dell’art. 138 Cost., che, mediante atto parlamentare approvato da maggioranza qualificata (2/3 oppure 3/5 dei componenti), si possa incidere sulla legge frutto dell’iter popolare “rinforzato” già nell’arco temporale della medesima legislatura in cui ha visto i natali: il requisito del mutamento della situazione di fatto sarebbe testimoniato dall’ampio e, presumibilmente, trasversale accordo a sostegno della modifica.[72] Siffatto accorgimento rappresenterebbe efficace soluzione alla paventata “cristallizzazione”[73] nonché “pietrificazione”[74] della legislazione parlamentare. Il rinnovo delle assemblee rappresentative integrerebbe, poi, quella variazione di quadro politico che consente alle Camere di disciplinare la medesima materia in assenza limiti procedurali e di sostanza. In alternativa, volendo ab origine fugare eventuali incertezze ermeneutiche da chiarire caso per caso, il legislatore può espressamente individuare una ragionevole forbice temporale (2 o 5 anni, ad esempio), prima della quale non sarà possibile modificare la legislazione approvata con referendum[75]

 

Conclusioni.

 

L’iniziativa legislativa popolare “indiretta” costituisce, con tutta evidenza, valido mezzo per gratificare i cittadini ed avvicinarli alle istituzioni parlamentari. Lo strappo, è evidente. Il referendum propositivo è ago e filo. La linfa della nostra democrazia parlamentare è la fiducia: quella che lega governo e Camere e le assemblee rappresentative al corpo elettorale. Le elezioni, infatti, sono lo strumento attraverso cui si instaura tale rapporto e si delega l’esecuzione materiale di quel programma che rappresenterà, o concorrerà, eventualmente, a formare -a seconda, ovviamente, dei voti ricevuti- l’indirizzo politico nazionale. La delega, quindi, non è in bianco: se le azioni dei rappresentanti tradiscono le intenzioni o tardano -troppo- ad arrivare, è giusto che i rappresentati possano ad essi sostituirsi. Un potere di sostituzione, correttamente, assai limitato e che mai finirà per esautorare le Camere della loro funzione legislativa, anche solo per la “lunghezza, la farraginosità e la complessità”[76] dell’ iter legis popolare “rafforzato”. Non assisteremo al tramonto della legge parlamentare. Che forse, in verità, è già tramontata, ma non per colpa nel nuovo procedimento. Certamente, il nuovo strumento propositivo è molto incisivo: non chiede permesso, ma entra a gamba tesa nelle dinamiche parlamentari. Dov’è finita l’educazione? Si è persa con il fallimento dei mezzi -meno intrusivi- di collaborazione. L’iniziativa legislativa popolare ex art. 71 comma 2 non è riuscita nel suo ruolo di pungolo dell’attività parlamentare. A nulla è valsa la riforma[77] dell’art. 74 del regolamento del Senato in forza della quale l’esame dei disegni di legge d’iniziativa popolare da parte delle competenti commissioni sarebbe dovuto iniziare “entro e non oltre un mese dal deferimento” e concludersi “entro tre mesi dall’assegnazione” pena l’iscrizione “d’ufficio nel calendario dei lavori dell’Assemblea”.[78] Non c’è ascolto, né collaborazione: il referendum propositivo riporta all’attenzione dei rappresentanti i temi trascurati o travisati e ne stimola la produzione normativa. Opportuno, come già evidenziato, sarebbe far esprimere l’elettorato non sulla sola proposta originaria ma anche sul prodotto dell’iniziativa parlamentare. Infine, onde stimolare ulteriormente la partecipazione, la riforma potrebbe essere accompagnata da una campagna di informazione finalizzata a rendere più visibili i circuiti di imputazione nonché attivazione della responsabilità politica: nella proliferazione dei livelli di governo (enti locali, Stato, Unione Europea e comunità internazionale) e delle chiamate alle urne, al cittadino sfugge come individuare e chiamare a rispondere chi assume le decisioni e così influenzare l’indirizzo politico. Il disaffezionamento è anche frutto della frustrazione per la scarsa decisività elettorale che, rispetto a tutto questo sistema, il cittadino percepisce. “Il voto è il primo e principale strumento di democrazia diretta.”[79] Ma se nulla cambia, a cosa serve? Questa la radice dell’astensionismo, un male di cui la riforma può rappresentare cura.

 

“La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone

La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione.” G. Gaber

 

[1] Oltre ad ampliare il ventaglio delle forme di attivazione del procedimento legislativo, il revisore deroga al principio di “pari dignità formale” degli atti di iniziativa legislativa mediante l’introduzione di un iter legis del tutto peculiare non ratione materiae bensì esclusivamente della provenienza soggettiva della proposta.

  1. Carnevale, “A proposito del disegno di legge costituzionale AS n. 1089, in tema di revisione degli artt. 71 e 75 della Costituzione. Prime considerazioni.”, marzo 2019, qui disponibile: https://www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/2019_1-2_12_Carnevale.pdf.

[2] Come, diversamente, dispone l’attuale art. 71, comma 2 Cost. per i progetti di legge di impulso popolare.

[3] Art. 28 della L. n. 352/1970 recante “Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo”.

[4] V. Crisafulli, Giur. cost., 1978, I, 580.

[5] Ritenere che le operazioni relative al referendum non abbiano più corso, in presenza di una abrogazione solo formale delle disposizioni oggetto della richiesta di referendum, essendo il contenuto formale dello stesso rimasto nell’ordinamento siccome reintrodottovi a mezzo di altra o altre disposizioni solo formalmente diverse dalle prime, significherebbe svuotare di contenuto il precetto di cui all’art. 75 della Costituzione. C. Cost. sent. n. 69/1978.

[6] Non consultati sull’evenienza.

[7] M. Belletti, “I rischi di sbilanciamento e di contrapposizione tra democrazia partecipativa e rappresentativa nel ddl AS n. 1089, di riforma costituzionale, recante Disposizioni in materia di iniziativa legislativa popolare e di referendum.”, maggio 2019, qui   disponibile: https://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=38634&dpath=document&dfile=21052019095332.pdf&content=I%2Brischi%2Bdi%2Bsbilanciamento%2Be%2Bdi%2Bcontrapposizione%2Btra%2Bdemocrazia%2Bpartecipativa%2Be%2Bdemocrazia%2Brappresentativa%2B%2D%2Bstato%2B%2D%2Bdottrina%2B%2D%2B

[8] G. Tarli Barbieri, “Osservazioni sul d.d.l. A.S. n. 1089 (Disposizioni in materia di iniziativa legislativa popolare e di referendum)” , marzo 2019, qui disponibile: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/001/422/prof._Tarli_Barbieri.pdf

[9] G. M. Salerno, “L’iniziativa popolare legislativo-referendaria: considerazioni a prima lettura sulla proposta di revisione costituzionale”, marzo 2019, qui disponibile: https://www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/2019_1-2_15_Salerno.pdf

 

[10] M. Luciani, “Iniziativa legislativa e referendum, le proposte di revisione costituzionale, intervento alla Tavola Rotonda AIC, Roma, 1° marzo 2019”, marzo 2019, qui disponibile: https://www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/2019_1-2_13_Luciani.pdf

[11] Compito della legge di attuazione della riforma a norma nel nuovo art. 71, comma 6 Cost.

[12] M. Volpi, “Senato della Repubblica: audizione di fronte alla I commissione (affari costituzionali) sulla proposta di legge costituzionale A.S. n. 1089 recante disposizioni in materia di iniziativa legislativa popolare e di referendum”, aprile 2019, qui disponibile: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/001/491/Prof._Volpi.pdf

[13] Non è chiaro se la riserva in parola debba essere costituzionalmente prevista o rientrino nei casi di inammissibilità leggi, quale quella Europea, di iniziativa riservata del Governo in forza della previsione di una semplice legge ordinaria. S. Bellomia, “Audizione informale del Prof. Salvatore Bellomia dinanzi alla Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica in relazione al disegno di legge costituzionale n. 1089 “, marzo 2019, qui disponibile: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/001/377/prof._Bellomia.pdf

[14] M. Volpi, op. cit, non ritiene che l’iniziativa popolare debba essere esclusa per le leggi -approvate a maggioranza assoluta- che diano attuazione alle intese con le Regioni per l’attribuzione alle stesse di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” ex art. 116, comma 3, Cost., trattandosi di materia che potrebbe avere un impatto sulla conformazione complessiva dello Stato regionale e quindi di interesse non solo delle Regioni coinvolte ma di tutta la comunità nazionale.

[15] P. Carnevale, op. cit.

[16] Di parere avverso, E. Palici di Suni, “Iniziativa legislativa e referendum: le proposte di revisione costituzionale”, marzo 2019, qui disponibile: https://www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/2019_1-2_14_PaliciDiSuni.pdf. L’insieme delle condizioni di ammissibilità referendarie sarebbe, allo stesso tempo, insufficiente ma anche sovrabbondante nella parte in cui esplicita tutti quei limiti che sono compresi nel rispetto della Costituzione.

[17] Si pensi, ad esempio, a cosa potrebbe accadere se si offrisse all’elettorato la possibilità di incidere, mediante lo strumento del novellando art. 71 Cost., sulle trattative connesse alla ferrovia Torino-Lione.

[18] Si tratta di quelle leggi “il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione stessa o di leggi di rango costituzionale” Sent. C. Cost. n. 16/1978, né quelle “la cui eliminazione determinerebbe la soppressione di una tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo la Costituzione.” Sent. C. Cost. n. 35/1997.

[19] È esclusa la sottoponibilità alla consultazione referendaria quando l’esito abrogativo produca vuoti incolmabili in attesa di una disciplina integrativa. Sentt. C. Cost. nn. 47/1991, 5/1995, 26/1997.

[20] G. Tarli Barbieri, op. cit.

[21] Dossier curato dal servizio studi della Camera dei Deputati del 16/01/2019, qui disponibile: http://documenti.camera.it/leg18/dossier/pdf/AC0168a.pdf?_1559667316355

[22] M. Belletti, op. cit.

[23] M. Volpi, op.cit.

[24] V. Crisafulli, “Lezioni di Diritto Costituzionale, II, 1, l’Ordinamento costituzionale italiano – le fonti normative”, 1993

[25] S. Curreri, “Audizione presso la Commissione Affari Costituzionali del senato in merito alla proposta di Legge Costituzionale A.S 1089 “, aprile 2019, qui disponibile: http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/001/564/prof._Curreri.pdf

[26] “L’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale.”

[27] Seduta del 16 ottobre 1957. I lavori dell’Assemblea Costituente sono qui consultabili: https://www.nascitacostituzione.it/03p2/01t1/s2/075/index.htm

[28] F. S. Marini, “Audizione alla prima commissione del Senato, 13 marzo 2019, DDL. Costituzionale n. 1089 (in materia di iniziativa legislativa popolare e referendum)”, marzo 2019, qui disponibile: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/001/427/audizione_riforma_costituzionale_01_2_.pdf

[29] Per un approfondimento sui limiti al referendum abrogativo, si consulti la seguente tabella: http://www.riformeistituzionali.gov.it/media/1242/tabellalimitireferendumabrogativo.pdf

[30] A. Morrone, “Audizione presso la I Commissione del Senato della Repubblica sulla proposta di Legge Costituzionale n. A.S. 1089”, aprile 2019, qui disponibile: http://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/001/375/prof._Morrone.pdf

[31] Com’è oggi nell’art. 75, comma 4, Cost.: “La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.”

[32] P. Carnevale, op. cit.

[33] G. M. Salerno, op. cit.

[34] D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361: “Il pubblico ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio, l’esercente di un servizio di pubblica necessità, il ministro di qualsiasi culto, chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile o militare, abusando delle proprie attribuzioni e nell’esercizio di esse, si adopera a costringere gli elettori a firmare una dichiarazione di presentazione di candidati od a vincolare i suffragi degli elettori a favore od in pregiudizio di determinate liste o di determinati candidati o ad indurli all’astensione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000.”

[35] Proposta di legge costituzionale A.C. n. 1173.

[36] P. Carnevale, op. cit., M. Belletti, op. cit.

[37] C. Cost. sent.  n. 1/2014.

[38] M. Belletti, op. cit.

[39] C. Cost. sent. n. 372/2004

[40] Contrariamente M. Volpi, op cit. che difende il parametro rigido dell’attuale A.S. 1089; F. S. Marini, op.cit. che proprio ritiene eccessivamente esigua la soglia del 25% + 1 degli aventi diritto al voto.

[41] Come tuttora è per il referendum abrogativo.

[42] A. Morrone, op. cit.

[43] Ciò si è verificato, in particolare, per i referendum in materia elettorale. Si ricorda la consultazione del 1993 che modificò la legge elettorale del Senato da proporzionale a mista con prevalenza della componente maggioritaria (per l’assegnazione dei tre quarti dei seggi).

[44] Commissione per le riforme costituzionali istituita con DPCdM in data 11/06/2013.

[45] A. Sterpa, “Il disegno di legge costituzionale sull’art. 71: l’irruzione dei promotori e della Corte costituzionale nella produzione legislativa.”, luglio 2019, qui disponibile: https://federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=38883&dpath=document&dfile=29062019095920.pdf&content=Il%2Bddl%2Bcostituzionale%2Bsull%27art%2E%2B71%3A%2Bl%27irruzione%2Bdei%2Bpromotori%2Be%2Bdella%2BCorte%2Bnella%2Bproduzione%2Blegislativa%2B%2D%2Bstato%2B%2D%2Bdottrina%2B%2D%2B

[46] G. M. Salerno, op. cit.

[47] F. S. Marini, op. cit.

[48] F. S. Marini, op. cit.

[49] S. Bellomia, op. cit.

[50] Così come previsto per il referendum abrogativo a norma dell’art. 31 della L. n. 352/1970.

[51] Per la consultazione abrogativa, art. 38 della L. n. 352/1970

[52] Eventualmente dichiarato con DPR esattamente come accade per l’effetto abrogativo a norma dell’art. 37 della L. n. 352/1970

[53] G. M. Salerno, op. cit.

[54] La proposta ha raccolto ben più delle 50.000 firme necessarie.

[55] Recante “Norme per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all’ estero.”

[56] M. Volpi, op. cit.

[57] Tra le ipotesi analoghe, ma non sovrapponibili: il controllo preventivo di legittimità costituzionale sulle leggi elettorali prefigurato dal disegno di legge di revisione costituzionale del 2016; quello sugli statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria ex art. 123 Cost; il controllo preventivo di legittimità costituzionale del vecchio art. 127 Cost.; la verifica sull’ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo che si esercita su un atto prodromico rispetto a quello finale ed è, ugualmente, automatico ed obbligatorio. P. Carnevale, op. cit.

[58] La proposta A.C. prevedeva che il controllo della Consulta si limitasse ai principi e diritti fondamentali garantiti dalla costituzione.

[59] M. Luciani, op. cit.

[60] F.S. Marini, op.cit.

[61] In Francia, a norma dell’art. 61 della Costituzione, il Conseil Constitutionnel svolge un controllo preventivo sui disegni di legge organiche ed ordinarie. Su queste ultime solo su richiesta del Presidente della Repubblica, del Primo Ministro, del Presidente dell’Assemblea Nazionale, del Senato o di sessanta deputati o senatori.

[62] M. Luciani, op. cit.

[63] P. Carnevale, op. cit.

[64] M. Luciani, op. cit., M. Volpi, op. cit.

[65] “Se le Camere approvano la proposta in un testo diverso da quello presentato e i promotori non vi rinunziano, il referendum è indetto su entrambi i testi.”

[66] M. Volpi, op. cit., M. Luciani, op. cit.

[67] Sent. C. Cost. n. 69/1978.

[68] I. Nicotra, “Referendum propositivo e democrazia rappresentativa: alla ricerca di una sintesi.”, maggio 2019, qui disponibile: https://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=38633&dpath=document&dfile=21052019095149.pdf&content=Referendum%2Bpropositivo%2Be%2Bdemocrazia%2Brappresentativa%3A%2Balla%2Bricerca%2Bdi%2Buna%2Bsintesi%2B%2D%2Bstato%2B%2D%2Bdottrina%2B%2D%2B

[69] S. Mattarella, 26 ottobre 2017, Agenzia Giornalistica Italiana (AGI):

[70] S. Curreri, op. cit.

[71] C. Cost. sent. n. 199/2012.

[72] S. Curreri, op. cit.

[73] G. Tarli Barbieri, op. cit.

[74] F.S. Marini, op. cit.

[75] E. Palici di Suni, op. cit.

[76] G. M. Salerno, op. cit.

[77] Approvata il 20 dicembre 2017.

[78] S. Curreri, op. cit.

[79] S. Bellomia, op. cit.

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