venerdì, Aprile 19, 2024
Criminal & Compliance

Cass. Pen., Sez. II, 9-27 ottobre 2020, n. 29792 in tema di rapina aggravata: effetti sulla sanzione in caso di aggravanti concorrenti

A cura di: Avv. Francesco Bellocchio 

1 – Introduzione.

Con la sentenza n. 29792/2020, la seconda Sezione della Suprema Corte di Cassazione ha argomentato in merito all’effetto sulla sanzione, irrogabile all’imputato, nel caso delle c.d. aggravanti concorrenti, esprimendo il principio secondo cui “In tema di rapina aggravata, il più elevato minimo edittale previsto dal comma quarto dell’art. 628 cod. pen., nell’ipotesi di concorso di più circostanze aggravanti previste dal comma terzo del medesimo articolo ovvero nel caso di concorso di una di tali circostanze con altra fra quelle indicate dall’art. 61 cod. pen., si applica anche nel caso in cui concorrano più circostanze aggravanti interne allo stesso numero 1 del terzo comma.” (così Cass. Pen., Sez. II del 9-27 ottobre 2020, n. 29792). Il delitto di rapina, previsto e punito dall’art. 628 del codice penale, è inserito all’interno del Titolo XIII del Libro II, ed appresta tutela non solo al patrimonio altrui contro le aggressioni, ma tutela anche la libertà e l’integrità personale[1], rendendo il delitto de quo plurioffensivo. Il delitto di rapina è un reato comune – rilevando le qualità soggettive dell’agente unicamente ai fini circostanziali[2] – e si compone di due fattispecie differenti, denominate rapina propria e rapina impropria, rispettivamente contemplate al primo e secondo dell’art. 628 del codice penale. Le diverse fattispecie contenute nel delitto di rapina impongono una riflessione in merito all’elemento oggettivodella condotta vietata. Ed invero, nel delitto di rapina propria la violenza o la minaccia viene posta in essere prima che avvenga l’impossessamento della cosa mobile altrui; di converso, la rapina impropria si caratterizza per la commissione di una condotta violenta o minacciosa immediatamente dopo la sottrazione della res, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o l’impunità. In tema di concorso tra le due fattispecie di rapina, propria ed impropria, contemplate nel primo e secondo comma dell’art. 628 c.p., la giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenerlo inammissibile, argomentando che “le due ipotesi di rapina si comportano, rispetto alla tutela dello stesso bene, come mezzi diversi per il medesimo scopo; in conseguenza, se si usa violenza o minaccia per sottrarre una cosa mobile altrui e, subito dopo la violenta sottrazione si usa ancora violenza o minaccia per assicurarsene il possesso o per procurare a sé o ad altri l’impunità, il delitto di rapina resta unico”(Cass. Pen. n. 7379/90)Sotto il versante dell’elemento psicologico del reato, si può agevolmente ritenere necessario il dolo specifico in entrambe le ipotesi di rapina, propria ed impropria. Dalla lettura del primo comma della fattispecie incriminatrice, infatti, emerge chiaramente che la condotta dell’agente dev’essere proiettata a “procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto; un’attività ermeneutica più profonda, invece, richiede il secondo comma per ricollegare il dolo specifico al requisito dell’ingiusto profitto, stante la mancanza di un esplicito richiamo normativo. Ed invero, nella fattispecie di rapina impropria il dolo specifico è caratterizzato sia dall’ingiustizia del profitto[3], che dall’ulteriore finalità di assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa o di procurare a sé o ad altri l’impunità[4].

Esaurita l’analisi degli elementi oggettivi e soggettivi del delitto di rapina, possiamo ora concentrare l’attenzione su un ulteriore profilo degno di nota: le circostanze aggravanti.

Le circostanze aggravanti del delitto di rapina, sono contemplate nel terzo comma dell’art. 628 c.p., e segnatamente sono: a)  la violenza o la minaccia commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite; b) la violenza finalizzata a porre taluno in stato d’incapacità di volere o di agire; c) la violenza o minaccia  posta in essere da persona che fa parte dell’associazione di cui all’articolo 416 bis c.p.; d) il fatto  commesso nei luoghi di cui all’articolo 624 bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa; e) il fatto commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto; f) il fatto commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro; g) il fatto commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne. Ciò che interessa ai fini del presente lavoro, attiene al rapporto sussistente tra le diverse circostanze aggravantiovvero nel caso di concorso di una di tali circostanze con altra fra quelle indicate dall’art. 61 del codice penale e, altresì, gli effetti sul trattamento sanzionatorio, nel particolare caso in cui vi sia concorso tra più circostanze aggravanti interne allo stesso numero 1 del terzo comma. Orbene, la L. 23.6.2017, n. 103 ha introdotto all’art. 628 un nuovo quarto comma per regolare i casi, originariamente non disciplinati, di concorso tra più circostanze previste al terzo comma, ovvero tra una di tali circostanze e le aggravanti comuni ex art. 61. La nuova disposizione afferma la possibilità di un concorso tra più circostanze contemplate al terzo comma, e prevede, per tali ipotesi, così come per il caso di concorso tra le circostanze di cui al terzo comma e le aggravanti comuni ex art. 61, la pena della reclusione da sei a venti anni e la multa da euro 1.538 a euro 3.098, ora aumentata nella reclusione da sette a venti anni e nella multa da euro 2.500 a euro 4.000 dalla L. 26.4.2019, n. 36. Dalla lettura normativa emerge, ictu oculi, che sia possibile sia il concorso tra le diverse circostanze aggravanti previste dal terzo comma che, altresì, il concorso tra queste e le aggravanti di cui all’art. 61 del codice penale. A questo punto, è importante chiarire invece quale sia la possibile relazione che lega le  circostanze aggravanti interne allo stesso numero 1 del terzo comma, di cui all’art. 628 del codice penale.

2 – Il caso.

Il Caso analizzato dagli Ermellini vedeva due ragazzi essere ritenuti responsabili di reati di rapina “pluriaggravati”, in quanto compiuti da più persone riunite con l’utilizzo dell’arma. Attraverso il ricorso per Cassazione gli imputati, prontamente, lamentavano la violazione della legge sostanziale e la mera apparenza della motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed in ordine ad altri punti relativi il trattamento sanzionatorio. Un ulteriore motivo di doglianza, che costituisce la base dell’ultimo approdo giurisprudenziale oggetto di analisi, concerneva la determinazione della pena base irrogata agli imputati secondo la previsione del quarto comma dell’art. 628 c.p., nonostante le aggravanti contestate erano interne allo stesso numero 1 del terzo comma. La questione giuridica sottesa, era volta ad accertare la possibile relazione che lega le  circostanze aggravanti interne allo stesso numero 1 del terzo comma, considerando che, sul punto, diversi approdi giurisprudenziali avevano fin d’ora ribadito che potevano essere contestate come una sola circostanza aggravante.

3 – Il principio affermato della Suprema Corte.

Il delicato tema dell’effetto ingravescente delle molteplici aggravanti, determinato dalla ricorrenza di più fattispecie di cui al numero 1 del terzo comma ex art. 628 c.p., soffre di un contrasto giurisprudenziale ormai presente da molti anni. La Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ribadisce che le varie circostanze di cui al numero 1 hanno natura ontologicamente plurale e, pertanto, ciascuna di esse merita di conservare una propria autonomia. Il secondo passaggio argomentativo si concentra sulla possibilità di riconoscere un effetto ulteriormente ingravescente, oltre quanto già previsto nel comma terzo, con riguardo all’eventuale concorrenza delle tre distinte ipotesi interne alla sistematica catalogazione, ovvero se si debba procedere ad un unico aumento, considerando le aggravanti in un’ottica cumulativa.

Le argomentazioni della Suprema Corte partono dall’analisi della norma ante riforma del 2017, considerando che in giurisprudenza vi erano due orientamenti contrapposti.

Il primo di questi, “ritenendo corretto considerare unitariamente la previsione individuata sotto il numero 1”, poneva alla base del ragionamento sia la collocazione grafica delle aggravanti, che la natura stessa della condotta oggettiva del delitto di rapina la quale, per comune esperienza fattuale, si caratterizza generalmente con la simultanea presenza delle tre circostanze indicate nel numero 1[5]. Il secondo orientamento, presente prima della riforma del 2017, giungeva a conclusioni differenti, valorizzando “la singola dimensione ontologica” e “lo specifico disvalore” interno a ciascun’aggravante[6]. L’autorevole analisi della Corte Suprema prosegue, richiamando le due riforme intervenute: quella del 2017 e quella 2019. Ed invero, a parere del Supremo consesso, le riforme de quo – mutando l’ontologia dell’art. 628 c.p. – hanno mostrato una sostanziale indifferenza verso la topografica collocazione delle disposizioni aggravanti, imponendo solo un più elevato minimo edittale. L’argomentazione degli Ermellini prosegue su un piano empirico, evidenziando che “l’agire nella violenza travisati, in più persone riunite o armati, rappresenta modalità differenti di manifestare la propria carica criminale, disvalore penale ed accresciuta capacità intimidatrice od offensiva, atta ad incutere timore nella vittima o a superare l’eventuale sua resistenza[7].

Sulla base di queste autorevoli osservazioni, il Supremo consesso ha espresso il principio secondo cui “l’intervento novellatore del 2017 (Legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017) che ha dato al quarto comma dell’art 628 c.p. un contenuto nuovo – se concorrono due o più delle circostanze di cui al comma 3 del presente articolo, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell’art. 61 c.p., la pena è della reclusione da sei a venti anni […] –, indica un più elevato minimo edittale anche nel caso in cui concorrano più circostanze aggravanti interne al medesimo numero (1) del terzo comma dell’art. 628 del codice penale”. Pertanto, la naturale conseguenza cui perviene la Suprema Corte di Cassazione è quella di considerare che ciascuno dei numeri interni del catalogo del terzo comma contenga una disposizione a più norme autonome ed eventualmente concorrenti.

4 – Considerazioni finali.

In luce alle argomentazioni sin qui svolte, emerge chiaramente che l’orientamento della Suprema Corte – in merito all’effetto sulla sanzione, irrogabile all’imputato, nel caso delle c.d. aggravanti concorrenti in relazione al delitto di rapina aggravata – sia notevolmente mutato. Questa inversione di rotta è sostanzialmente imputabile alle recentissime riforme intervenuta nel 2017 e nel 2019, le quali hanno rispettivamente inserito un nuovo comma e inasprito il trattamento sanzionatorio. Quel che rimane in ombra, a parere dello scrivente, riguarda sostanzialmente il trattamento sanzionatorio irrogabile nel caso di reati posti in essere prima del 2017, in quanto la mancanza del quarto comma riapre la strada alla compresenza del duplice, ma contrapposto, orientamento giurisprudenziale. Un’ultima considerazione riguarda la possibilità, da parte del giudice, di adeguare il trattamento sanzionatorio in relazione alla concreta azione criminosa posta in essere dal reo. Ed invero, applicando l’aggravante di cui al 3 comma dell’art. 628 c.p., considerando le ipotesi interne al numero 1 come un’unica circostanza[8], ben potrebbe il giudicante irrogare una sanzione tanto più lontana dal minimo previsto quanto più “allarmante” risulti essere (in concreto) la condotta, in ossequio ai principi enucleati nell’art 133 del codice penale.

[1] Cass. Pen. n. 17827/15; Cass. Pen. n. 850/11.

[2] – M. CERASE, Art. 628. Rapina, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, XII, I delitti contro il patrimonio, Libro II artt. 624-649, a cura di LATTANZI, G.LUPO, E., , ed. 2010, pag. 136 ss.

[3] Cass. Pen. Sez. I, n. 15405/10

[4] M. RIVERDITI, Manuale Tecnico-Pratico di diritto penale – Parte generale e speciale –, ed. 2018, pag. 1312 ss.

[5] Cass. Pen. Sez. II, n. 41004/11, Rv. 251372.

[6] Cass. Pen. Sez. II, n. 2689/71, Rv. 119522.

[7] Cass. Pen., Sez. II, n. 29792/2020, pagina 8 e ss.

[8] Cass. Pen. Sez. II, n. 41004/11, Rv. 251372.

Sul punto si legga ancora: D’ESPOSITO, Circostanze del reato: aggravanti e attenuanti, Ius in itinere.

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