venerdì, Marzo 29, 2024
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Rapporto tra i reati tributari e vincolo cautelare: confisca diretta o per equivalente?

1. Premessa.

Il rapporto tra la violazione della norma tributaria ed il procedimento penale ha ingenerato, in molteplici occasioni, profili problematici affrontati dalla giurisprudenza e dalla dottrina.

In particolare, le due più dibattute e rilevanti problematiche concernevano la possibile violazione del principio del ne bis in idem e l’applicazione della misura cautelare reale del sequestro preventivo finalizzato alla confisca delle somme di denaro; tale secondo profilo che verrà trattato nel presente elaborato.

2. Sull’art. 10-quater D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

Al fine di una migliore disamina della questione sottesa alla pronuncia in esame, pare utile analizzare brevemente la disposizione di cui all’art. 10-quater D.Lgs. 74/2000.

Il reato di indebita compensazione è stato introdotto nel nostro ordinamento per il tramite del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, al fine di rafforzare la tutela penale dell’interesse erariale in sede di riscossione dei tributi, con lo scopo dichiarato di arginare il fenomeno tipico dell’evasione da riscossione. Nella sua versione originaria, però, l’art. 10-quater sanzionava la condotta del contribuente che provvedeva a portare in compensazione (ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17) nel mod. F24 crediti non spettanti o inesistenti, omettendo in tal modo i versamenti delle somme dovute[1].

La disciplina legislativa che caratterizza il delitto in esame è stata introdotta dall’art. 35, comma 7, D.L. 223/2006 ed interamente riscritta ad opera del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 che ha inteso scindere le due condotte punite dalla norma, con la previsione di una pena più severa per la compensazione operata con crediti inesistenti. La disposizione si colloca nell’alveo della disciplina di revisione del sistema penale tributario di cui al D.Lgs. n. 74/2000, che originariamente incentrava il proprio intervento repressivo sulla sola fase dell’autoaccertamento del debito d’imposta, e persegue l’intento di prevedere nuove figure di reato tese a colpire anche gli illeciti inerenti alla fase della riscossione.

Più nel dettaglio, l’art. 10-quater ha introdotto uno strumento volto a reprimere possibili prassi illecite incidenti sul gettito dello Stato, sorte in correlazione con il crescente affidamento di funzioni al privato e, in particolare, con la concessione della possibilità di calcolare autonomamente le somme da versare mediante il modello F24 e di estinguerle attraverso la compensazione disciplinata dall’art. 17 D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241[2].

La fattispecie delittuosa si realizza dunque nel caso in cui il contribuente si sottragga al concreto versamento di somme dovute, provocando un danno all’Erario mediante l’utilizzo di uno strumento ingannatorio idoneo a rendere più difficile la rilevazione dell’omesso pagamento. La condotta non si sviluppa, quindi, al generico ricorrere di qualsiasi operazione di compensazione tributaria, così come disciplinata dall’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, ma richiede la compilazione ed il successivo invio di un modello F24, dal quale risulti l’impiego di crediti non spettanti o inesistenti.

Si tratta di un reato di evento, dovuto all’omesso versamento delle somme, cui si aggiunge un disvalore della condotta consistente nel ricorso all’istituto della compensazione, secondo le forme dell’art. 17 D.Lgs. 241/1997, che richiedono la predisposizione di un documento ideologicamente falso ed il suo invio in forma telematica, anche con saldo pari a zero.

Considerata la formulazione generica della norma, che si riferisce al mancato versamento di qualsiasi somma dovuta, continuano a permanere dubbi sul fatto che la previsione tenda a salvaguardare solo lo specifico interesse al versamento delle imposte dirette e dell’IVA, oppure, più generalmente, riguardi anche le altre entrate richiamate dall’art. 17 D.Lgs. 241/1997, indipendentemente dalla loro natura tributaria[3].

L’essenziale è, quindi, che queste voci di credito, indipendentemente dall’effettiva spettanza, possano essere indicate in un modello F24.

Le modifiche e le integrazioni introdotte dal legislatore del 2006 trovano ragione in un percorso di progressiva criminalizzazione, volto a sanzionare anche quelle condotte che, nonostante una dichiarazione fedele, siano dirette ad omettere il pagamento di imposte[4]. Deve escludersi, quindi, che ogni operazione di indebita utilizzazione di un credito per soddisfare posizioni debitorie fiscali o previdenziali possa, per ciò solo, essere sanzionata ai sensi del citato art. 10-quater, a prescindere dall’avvenuto ricorso al modello F24.

La ratio della norma è, infatti, da ricondurre alla potenziale insidiosità dello strumento; non pare, perciò, condivisibile quell’orientamento che vorrebbe applicare la disposizione anche in caso di detrazione del credito IVA derivante da una dichiarazione annuale, proprio perché, in tal caso, non si tratta di una compensazione fiscale in senso stretto[5]. Ugualmente, non pare colga nel segno la tesi per cui, limitando la condotta al solo omesso versamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, sarebbe ravvisabile un’inaccettabile discriminazione di situazioni di fatto uguali, invogliando il privato a compensare debiti di diversa natura, in quanto è rimesso alla discrezionalità legislativa stabilire quali comportamenti sanzionare, considerata anche la intrinseca differenza che caratterizza le diverse entrate ed il principio di frammentarietà del diritto penale[6].

Per quanto poi attiene al superamento della soglia di punibilità, posta al di sopra dei cinquantamila euro, dovrà essere determinato considerando cumulativamente tutte le operazioni riconducibili al delitto di cui all’art. 10-quater che siano state poste in essere nel corso della stessa annualità, quand’anche la realizzazione della condotta dipenda da plurime indebite compensazioni effettuate nel medesimo arco temporale, attraverso l’invio di molteplici modelli F24[7].

Con il D.Lgs. 14 luglio 2020, n. 75 il delitto di cui all’art. 10-quater D.lgs. 74/2000 è divenuto uno dei reati presupposto per affermare la responsabilità dell’ente ai sensi dell’art. 25-quinquiesdecies D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, esclusivamente se commesso nell’ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l’IVA per un importo complessivo non inferiore a dieci milioni di euro; in tale ipotesi trovano applicazione gli artt. 19 e 53 D.Lgs. 231/2001 in tema di sequestro e confisca, diretta e per equivalente, nei confronti dell’ente[8]. Sul punto, qualora sussista un vantaggio o interesse per la società a seguito della commissione da parte della persona fisica apicale o sottoposto all’altrui direzione ed in assenza di un modello di gestione e organizzazione efficace ed attuato, l’ente sarà chiamato a rispondere per l’illecito tributario.

Di particolare interesse risulta la tematica inerente alla confisca delle somme di denaro e sull’ammissibilità della confisca diretta del denaro presente nel patrimonio dell’ente, quando il profitto o i beni direttamente riconducibili a tale profitto sia rimasto nella disponibilità della persona giuridica.

3. L’ultimo chiarimento della Corte di Cassazione.

La Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi circa il rapporto tra misure cautelari reali e successiva confisca ed i reati tributari, da ultimo con la sentenza n. 4976 dell’11 febbraio 2022[9].

Il caso origina dal ricorso per cassazione presentato dal difensore dell’imputato contro l’ordinanza del Tribunale del riesame, la quale aveva confermato il provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari che aveva rigettato l’istanza di revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. All’imputato era contestato il reato di cui all’art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000, commesso quale legale rappresentante della società, per essersi avvalso di crediti di imposta per investimenti in aree svantaggiate in realtà non spettanti e portati in compensazione negli anni dal 2014 al 2017. Il gravame si basava sull’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e sulla mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione; in tal senso, secondo la tesi difensiva, non era stata dimostrata, ai fini dell’accertamento del periculum, l’esistenza di un nesso strumentale o pertinenziale fra res e reato, oltre alla intrinseca pericolosità della cosa oggetto del vincolo reale.

Sarebbe stato altresì necessario verificare, quale condizione per la confisca diretta del relativo importo, che le disponibilità monetarie dell’indagato si siano accresciute di una somma corrispondente al profitto del reato.

Nel ritenere il ricorso inammissibile la Corte ritorna sui requisiti essenziali che caratterizzano l’impugnazione di legittimità dei provvedimenti cautelari affermando che: “Occorre richiamare in via preliminare la costante affermazione di questa Corte (cfr., ex aliis, Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Rv. 269656), secondo cui il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio, ai sensi dell’art. 325 c.p.p., è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice”.

Soffermandosi poi sulle prospettive inerenti alla confisca, di cui all’art. 12-bis, comma 1, D.Lgs. 74/2000 la Corte, richiamando i precedenti giurisprudenziali sul punto, evidenzia che i beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato devono essere appresi in forma diretta o, quando essa non è possibile, per equivalente, vale a dire colpendo beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto, la c.d. confisca di valore; tale ipotesi tuttavia ha carattere residuale in quanto praticabile solo ove non sia possibile reperire beni legati al reato da un rapporto di pertinenza.

In sostanza quindi la confisca diretta è rivolta a sottrarre al reo i beni che costituiscono il profitto, il vantaggio economico derivante da reato, ovvero il prezzo, quale controprestazione pagata per la sua commissione.

La confisca per equivalente ed il sequestro ad essa funzionale, invece, si caratterizzano per il fatto di poter ricadere su beni che non hanno alcun rapporto con la pericolosità della res o con quella individuale dell’autore del reato e che neppure presentano alcun collegamento diretto con l’illecito penale, onde non si richiede la prova della sussistenza di un nesso di pertinenzialità della cosa rispetto al reato, dovendo unicamente trattarsi di beni nella disponibilità dell’imputato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato. Tali istituti hanno una natura giuridica profondamente diversa, atteso che la confisca diretta è qualificabile come misura di sicurezza patrimoniale, in funzione essenzialmente preventiva, perché reagisce alla pericolosità indotta nel reo dalla disponibilità di beni che, derivando dal reato, ne costituiscono il prezzo o il profitto, mentre quella per equivalente incide su beni privi di nesso pertinenziale con il reato, al fine di privare il reo di qualunque beneficio sul versante economico, così palesando una connotazione essenzialmente afflittiva ed una natura sostanzialmente sanzionatoria.

La Suprema Corte ha infatti ritenuto che: “Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del prezzo o del profitto del reato è legittimamente adottato solo se, per una qualsivoglia ragione, i proventi dell’attività illecita non siano rinvenuti nella sfera giuridico – patrimoniale dell’indagato (Sez. 5, n. 46500 del 19/09/2011, Lampugnani, Rv. 251205); il che equivale ad esigere, nel caso di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, che detti proventi non vengano rintracciati nella sfera patrimoniale dell’ente che ha tratto beneficio del profitto del reato e nel cui interesse il reato tributario è stato commesso”.

Se quindi la Corte ritiene di delineare, rimarcandola, la differenza ed i presupposti applicativi dei due tipi di confisca, detta alcune precisazione sulla possibilità di estendere il vincolo anche ai beni della persona giuridica.

Una parte della giurisprudenza[10] consente, nei confronti di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto sia nella disponibilità della stessa. Le Sezioni Unite[11] sono nuovamente intervenute escludendo l’ammissibilità di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio[12].

Ed allora, nel caso di violazioni fiscali commesse dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica nell’interesse di questa, è ammessa la confisca diretta del denaro presente nel patrimonio dell’ente, quando il profitto o i beni direttamente riconducibili a tale profitto sia rimasto nella disponibilità della persona giuridica; si è esclusa l’applicabilità nei confronti di quest’ultima della confisca per equivalente, sia perché ciò non sarebbe giustificato dall’eventuale rapporto organico fra persona fisica e società, sia in quanto l’ente non può considerarsi autore del reato o concorrente nello stesso, essendo prevista solo una responsabilità amministrativa degli enti e non una responsabilità penale.

Invece nei confronti dell’imputato persona fisica, che abbia posto in essere il reato nell’interesse ed a vantaggio della persona giuridica, la confisca diretta non può essere applicata, non potendo egli qualificarsi come soggetto percettore del profitto del reato, in quanto ridondato a vantaggio dell’ente.

I giudici di legittimità quindi ritengono che: “Deve ritenersi consentita la figura del sequestro preventivo “a struttura mista”, mediante il quale si dispone in via principale la sottoposizione a vincolo cautelare, sub specie di sequestro finalizzato alla confisca diretta, del profitto dei reati conseguito dalla persona giuridica e, subordinatamente all’accertata impossibilità di esecuzione di esso, il sequestro di un valore equivalente nella disponibilità del legale rappresentante dell’ente (Sez. 3, n. 46973 del 10/05/2018, B., Rv. 274074-01; la medesima decisione ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, comma 1, per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui consente la confisca e, quindi, il sequestro di valore nei confronti del legale rappresentante di una persona giuridica per il solo fatto che non sia possibile eseguire quello, diretto, del profitto di reato nei confronti dell’ente, in quanto la confisca, per la sua natura sanzionatoria, trova fondamento nella mera realizzazione del fatto di reato in cui si sostanzia la condotta della persona fisica realizzata nell’interesse o a vantaggio dell’ente)”.

La motivazione del Tribunale del riesame si è dimostrata coerente con i principi dettati dall’orientamento di legittimità in quanto le doglianze formulate dal ricorrente in punto di periculum non potevano trovare accoglimento poiché relative all’ipotesi di sequestro preventivo di tipo impeditivo, non attinente alla fattispecie de quo, ed inoltre afferenti all’ipotesi di sequestro finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato nel caso in cui lo stesso sia costituito da denaro, mentre la misura cautelare reale eseguita era finalizzata alla confisca per equivalente.

La Corte di Cassazione ha, alla luce del contenuto del gravame, dichiarato lo stesso inammissibile e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

 

4. Brevi note conclusive.

La sentenza in esame, nella sua semplicità, richiama e rimarca alcuni concetti essenziali in riferimento ad un tema che – come si è già detto – risulta foriero di elevati dubbi e interpretazioni, giurisprudenziali e dottrinali, profondamente diversi.

Questioni che vengono risolte mediante l’individuazione, rectius rimarcazione, della differente natura giuridica che caratterizza la confisca diretta quale misura di sicurezza patrimoniale, e quella per equivalente che invece ha una connotazione afflittiva ed una natura sostanzialmente sanzionatoria.

Se tanto basta, almeno da un punto di vista astratto e teorico, a risolvere la tematica i profili applicativi risultano più complessi.

Facendo necessaria applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite si è quindi venuta a creare una figura di sequestro preventivo ibrido, caratterizzato da una dualità simile a quella del centauro Chirone, con il quale si dispone in via principale la sottoposizione a vincolo cautelare finalizzato alla confisca diretta del profitto dei reati conseguito dalla persona giuridica e, in subordine, qualora non sia possibile tale applicazione, il sequestro di un valore equivalente nella disponibilità del legale rappresentante dell’ente.

La sentenza è qui disponibile: Cass. Pen., Sez. III, 11.02.2022, n. 4976.

[1] L. Franzetti, Delitto di indebita compensazione (art. 10 quater d.lgs. 74/2000) e rilevanza delle “compensazioni orizzontali”, in Sist. Pen., 15.12.2021.

[2] M. Mauro, Voce Compensazione tributaria, in Dig. disc. priv., sez. civ., I agg., Torino, 2016.

[3] N. Zanotti, Brevi note sulla condotta che integra il delitto di “indebita compensazione” di cui all’art. 10-quater D.Lgs. 74/2000, in Riv. Dir. Trib., 19.11.2020.

[4] A. Perini, Voce Reati tributari, in Dig. disc. pen., Agg. I, Torino, 2016; S. Dorigo, Reati tributari, in Dig. disc. priv., sez. comm., Agg. VIII, Torino, 2017.

[5] A. Lanzi, P. Aldrovandi, Diritto penale tributario, Milano, 2017.

[6] A. Manna, Corso di diritto penale. Parte generale, Milano, 2020; A. Toppan, L. Tosi, Lineamenti di diritto penale dell’impresa, Cedam, 2017.

[7] N. Zanotti, Op. cit..

[8] Ex multis E. Amati, N. Mazzacuva, Diritto penale dell’economia, Cedam, 2021.

[9] Cass. Pen., Sez. III, 11.02.2022, n. 4976.

[10] Cass. Pen., SS.UU., 05.03.2014, n. 10561.

[11] Cass. Pen., SS.UU., 21.07.2015, n. 31617.

[12] Parimenti non è stato ritenuto ammissibile il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato. Dunque, la confiscabilità del denaro senza prova della pertinenzialità rispetto al reato è consentita solo nei confronti del soggetto che abbia visto le proprie disponibilità monetarie implementarsi di quelle somme direttamente provenienti dal reato e non già di altri, che non abbiano beneficiato dell’arricchimento. Pertanto, in relazione a reati commessi nell’interesse di un’impresa dal suo legale rappresentante, il sequestro e la confisca diretta possono colpire le somme nella disponibilità dell’ente beneficiario dell’arricchimento e non già quelle in possesso del legale rappresentante, ancorché sia stato quest’ultimo a rendersi autore del reato; salvo che non si provi l’osmosi economica tra persona giuridica e persona fisica che la rappresenta, come quando la società sia un mero schermo formale privo di una propria consistenza, grazie alla quale la persona fisica agisca come effettivo titolare dei beni della medesima ed abbia incamerato direttamente le somme percepite dall’impresa.

Francesco Martin

Dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il caso del Mose di Venezia. Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (Dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studi in materia giuridica. Dal 30 ottobre 2017 ha svolto la pratica forense presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia. Da gennaio a luglio 2020 ha ricoperto il ruolo di assistente volontario presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia (coordinatore Dott. F. Fiorentin) dove approfondisce le tematiche legate all'esecuzione della pena e alla vita dei detenuti e internati all'interno degli istituti penitenziari. Nella sessione 2019-2020 ha conseguito l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia e dal 9 novembre 2020 è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Venezia. Da gennaio a settembre 2021 ha svolto la professione di avvocato presso lo Studio BM&A - sede di Treviso e da settembre 2021 è associate dell'area penale presso MDA Studio Legale e Tributario - sede di Venezia. Da gennaio 2022 è Cultore di materia di diritto penale 1 e 2 presso l'Università degli Studi di Udine (Prof. Avv. Enrico Amati). Nel luglio 2022 è risultato vincitore della borsa di ricerca senior (IUS/16 Diritto processuale penale), presso l'Università degli Studi di Udine, nell'ambito del progetto UNI4JUSTICE. Nel dicembre 2023 ha frequentato il corso "Sostenibilità e modelli 231. Il ruolo dell'organismo di vigilanza" - SDA Bocconi. È socio della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici”, e socio A.I.G.A. - sede di Venezia.

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