sabato, Aprile 20, 2024
Criminal & Compliance

Reati contro la pubblica amministrazione. Attenuante della collaborazione, una recente pronuncia della Corte di Cassazione

 

Con sentenza n. 36769/2022 la Sesta Sezione penale della Corte di Cassazione ha statuito che la circostanza attenuante di cui all’art. 323 bis co. II cod. pen. non possa trovare applicazione nel caso in cui al momento dell’arresto e delle dichiarazioni spontanee siano già stati acquisiti elementi gravemente indizianti tali da escludere il carattere determinante del contributo reso dall’imputato.

I giudici di merito hanno ritenuto integrato il reato di induzione indebita in relazione alle plurime richieste di modeste somme di denaro avanzate da un pubblico ufficiale nei confronti di ambulanti privi della necessaria autorizzazione per l’occupazione di suolo pubblico nelle aree di svolgimento dei mercati comunali.

In riferimento al delitto di induzione indebita occorre ricordare che l’art. 319-quater cod. pen. è stato introdotto dalla l. 6 novembre 2012 n. 190 che ha resto tale reato autonomo dalla fattispecie delittuosa di cui all’art. 317 cod. pen., relativo al reato di concussione. In precedenza la costrizione e l’induzione del privato da parte del pubblico ufficiale erano assoggettate alla medesima pena, senza che fosse prevista alcuna sanzione per la condotta del privato. Con la riforma del 2012 si è inteso rafforzare la tutela dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, beni tutelati dall’art. 97 co. II Cost., prevedendo la responsabilità penale del privato che dà o promette denaro o altra utilità. Giova ricordare che, al fine di tracciare una linea distintiva con la diversa fattispecie dei cui all’art. 317 cod. pen., dove il privato è anche persona offesa dalla costrizione del pubblico ufficiale, la giurisprudenza ha chiarito che: “è proprio il vantaggio indebito che, al pari della minaccia tipizzante la concussione, assurge al rango di “criterio di essenza” della fattispecie induttiva, il che giustifica, in coerenza con i principi fondamentali del diritto penale e con i valori costituzionali (colpevolezza, pretesa punitiva dello Stato, proporzione e ragionevolezza), la punibilità dell’indotto (…) Il soggetto privato cede alla richiesta del pubblico agente non perché coartato e vittima del metus nella sua espressione più forte, ma nell’ottica di trarre un indebito vantaggio per sé (scongiurare una denuncia, un sequestro, un arresto legittimi; assicurarsi comunque un trattamento di favore), attivando così una dinamica completamente diversa da quella che contraddistingue il rapporto tra concussore e concusso e ponendosi, pur nell’ambito di un rapporto intersoggettivo asimmetrico, in una logica negoziale, che è assimilabile a quella corruttiva – sintomatica la collocazione topografica dell’art. 319 quater c.p., in calce ai delitti di corruzione”[1].

Ritornando ai fatti di causa, la Corte di appello ha confermato la sentenza di condanna pronunciata in primo grado, escludendo l’applicazione della circostanza attenuante della collaborazione di cui all’art. 323 bis co. II cod. pen., dal momento che la consegna del denaro da parte di un ambulante era stata percepita visivamente dagli inquirenti presenti in loco. Questi ultimi procedevano alla perquisizione dell’imputato che ammetteva di aver ricevuto del denaro anche da altri commercianti.

La Corte di Cassazione conferma la decisione del giudice di merito, da cui emerge che l’attività di individuazione degli altri ambulanti da parte degli inquirenti è stata al più agevolata dal comportamento collaborativo dell’imputato, atteso che, una volta individuata la modalità operativa, a fronte dell’ambito circoscritto nel quale la condotta veniva realizzata, gli inquirenti sarebbero comunque giunti alla ricostruzione completa dei fatti. La Corte specifica poi che non è riscontrabile alcun travisamento della prova, vizio che si caratterizza per l’utilizzazione di un’informazione inesistente o per l’omessa valutazione della prova esistente agli atti. Al fine di dedurre tale vizio, la giurisprudenza ha chiarito che il ricorso deve prospettare la decisività del travisamento o dell’omissione nell’ambito della motivazione censurata. Nel caso di specie, la Corte di appello ha correttamente ritenuto che le dichiarazioni dell’imputato, successive alla  perquisizione, si sono risolte in una sostanziale ammissione di fatti già sufficientemente accertati, circostanza confermata dal fatto che si è proceduto all’arresto in flagranza.

In relazione alla previsione di cui al secondo comma dell’art. 323 bis cod. pen., occorre precisare che lo stesso è stato introdotto dalla l. 27 maggio 2015, n. 69, al fine di permettere il riconoscimento di una circostanza attenuante a effetto speciale, che comporta la diminuzione della pena da un terzo a due terzi, in favore del responsabile di alcuni delitti conto la pubblica amministrazione, compreso il reato di induzione indebita, ma escluso quello di concussione. Ai fini del riconoscimento della circostanza in esame è necessario accertare che l’imputato si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite.

In relazione a tale circostanza può essere utile interrogarsi sull’estendibilità ai concorrenti ai sensi dell’art. 118 cod. pen. Quanto alla natura giuridica, si può ritenere che si tratti di una circostanza soggettiva, che dà rilievo a una condotta da cui emerge un minor grado di colpevolezza individuale e che, in base al tenore letterale, non pare estendibile. La norma specifica infatti che la diminuzione della pena è ammessa ‘per chi si sia efficacemente adoperato’ per fornire un contributo alla conduzione delle indagini. Si potrebbe ritenere che la locuzione ‘circostanze inerenti alla persona del colpevole’ abbia una portata ampia, comprendendo non solo recidiva e imputabilità, ma tutte quelle circostanze che danno rilievo a un diverso grado di colpevolezza individuale, a fronte di un immutato disvalore oggettivo dell’illecito. Inoltre, si potrebbe sostenere che le circostanze citate all’art. 118 cod. pen. non costituiscano un elenco tassativo, ben potendo l’interprete escludere l’estensione di altre circostanze non citate dall’art. 118, nel caso in cui ritenga che esse possano essere applicate solo ai correi rispetto ai quali ricorrono gli elementi richiesti dalla norma.

Nel caso in cui si ritenga che la circostanza in esame abbia natura oggettiva, trattandosi di un’attenuante, verrà imputata oggettivamente, anche ai correi, come previsto dall’art. 59 cod. pen..

[1] Cass. SS UU sent. n. 12228/2013.

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