I reati informatici: le “bufale”, tra libertà di espressione e conseguenze penali
Nota di redazione: questo è il quinto di una serie di articoli sul tema dei reati informatici, divenuti ormai una realtà affrontata quotidianamente dagli operatori del diritto. L’obiettivo è fare chiarezza sulla disciplina giuridica, sostanziale e processuale, delle principali figure di reato che si manifestano online.
La libertà e la credibilità dell’informazione sono alcuni, fra tanti, dei capisaldi di ogni ordinamento democratico, ed è sotto gli occhi di tutti che il modo di fare informazione è cambiato con la diffusione della rete.
Ogni mezzo di comunicazione ha sempre rappresentato, allo stesso tempo, un passo in avanti e una sfida per il nostro ordinamento: internet senza dubbio rappresenta la più grande rivoluzione degli ultimi decenni, alla quale il legislatore assiste, per il momento e salvo rare ipotesi, inerte.
Ad oggi in pochissimi secondi possiamo reperire notizie provenienti da ogni dove, in quanto la rete supplisce ai tradizionali mezzi di informazione che, in alcuni casi, faticano a raggiungere le parti del mondo più remote. Internet ci ha dato la possibilità di esprimerci su scala mondiale, ma la libertà di espressione non deve implicare mancanza di controllo, dove, nel settore dell’informazione, l’esistenza di una forma di controllo impone la diffusione di notizie di cui deve essere garantita la certezza e l’attendibilità.
I danni provocati dalla diffusione di “bufale”, notizie false o manipolate, sono all’ordine del giorno. Se i mezzi di informazione si trasformano in mezzi di disinformazione, il rischio di influenzare in una direzione o nell’altra l’opinione pubblica cresce in maniera esponenziale.
Il problema della proliferazione di fake news sul web è stato affrontato anche dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che ha individuato un altissimo numero di campagne mediatiche volte alla produzione e divulgazione di “bufale”, rilevate spesso anche in ambito politico per inficiare lo svolgimento dei processi democratici. È, dunque, necessario regolare la vita online come la vita offline: i cittadini devono essere tutelati anche nella vita virtuale.
Cosa sono le “bufale”?
La “bufala” è una notizia falsa in ogni sua parte: dal titolo al contenuto. Se in passato questo fenomeno era di trascurabile entità, oggi grazie ad internet ha assunto connotati epidemici. In realtà la responsabilità per la diffusione di questo tipo di notizie ricade, in parte, anche sui lettori, oltre che sugli autori. Nell’ambito di una ricerca condotta dall’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli è emerso un dato piuttosto allarmante: gran parte dell’utenza della rete (tra il 72 e il 90%) non è in grado di identificare la vera natura di un profilo Facebook o Twitter.
Il connubio tra social network e disinformazione risulta, in definitiva, letale per la credibilità dell’opinione pubblica, che si vede manipolata e controllata dalla rete.
Occorre poi precisare la sostanziale differenza tra il fenomeno delle “bufale” e quello del c.d. click-baiting. Quest’ultimo si sostanzia nel ricorso a titoli capziosi che inducono il lettore, sfruttando qualche fraintendimento, ad aprire l’articolo che riporta una notizia sostanzialmente veritiera. In tal caso il raggiro consiste nella mancata corrispondenza tra titolo e contenuto, e lo scopo è lucrare grazie ai pop-up e banner pubblicitari presenti all’apertura della notizia.
Le conseguenze penali
Sebbene esistano strumenti di auto-correzione, adottati dalle principali piattaforme online, tese alla promozione di codici di condotta, all’alfabetizzazione digitale degli utenti e a controllare preventivamente le notizie false, non va dimenticata la responsabilità diretta degli autori delle stesse.
Premettendo che non è possibile estendere a soggetti non professionali le conseguenze sanzionatorie previste per la stampa periodica, la divulgazione di “bufale” può assumere risvolti penali anche piuttosto gravi.
Attualmente sono certamente configurabili:
- il reato di diffamazione aggravata che prevede la reclusione da sei mesi a tre anni (ex 595 terzo comma c.p.)
- il reato di procurato allarme per il quale è, invece, previsto l’arresto fino a sei mesi o l’ammenda da dieci euro a cinquecentosedici euro (ex art. 658 c.p.)
- il reato di abuso della credulità popolare che prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquemila a euro quindicimila (ex art. 661 c.p.)
Si rilevano anche ipotesi di maggiore gravità, come ad esempio quella prevista dal reato di rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio (art. 501 c.p.) che si configura anche quando notizie false o esagerate relative a determinati prodotti provochino la variazione del prezzo di determinati beni. La reazione dell’ordinamento è di gran lunga più severa delle precedenti, dal momento che l’art. 501 prevede la reclusione fino a tre anni e la multa da cinquecentosedici euro a venticinquemilaottocentoventidue euro.
Da quanto affermato è chiaro che una disciplina specifica in materia non esiste, ancora. Infatti proprio negli ultimi giorni, ad opera della senatrice Adele Gambaro (ex M5S, ora passata ai verdiniani di Ala-Sc), è stato proposto un disegno di legge recante “Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica”.
Questo ddl introdurrebbe due articoli nel codice penale: l’art. 656-bis con il quale si prevede che chiunque pubblichi o diffonda notizie false, esagerate o tendenziose […] attraverso social-media o altri siti che non siano espressione di giornalismo online, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’ammenda fino a cinquemila euro; e l’art. 265-bis in forza del quale si prevede la reclusione non inferiore a dodici mesi e l’ammenda fino a cinquemila euro per chiunque diffonda o comunichi voci o notizie false, esagerate o tendenziose, che possano destare pubblico allarme o per chiunque svolga comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi pubblici […].
Tali notizie oltre a provocare gravi danni possono, inoltre, turbare l’ordine pubblico e diffondere immotivatamente il panico. Il disegno di legge risponde, quindi, alle esigenze di certezza del diritto e in particolare alla necessità di dotare il nostro ordinamento degli strumenti adeguati per contrastare il crescente fenomeno delle “bufale”.
Per i fautori della proposta non sorgono dubbi di compatibilità con la nostra Carta Costituzionale, specialmente con il diritto, sancito dall’art. 21 della Costituzione, riconosciuto ad ogni cittadino di manifestare liberamente il proprio pensiero, in forma scritta, orale o per tramite di altri mezzi di diffusione.
Come stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 2445/1956, il diritto ex art. 21 Cost. trova una doppia limitazione: il dovere di ogni cittadino di non destare pubblico allarme, di non denigrare all’estero la propria patria con notizie false e tendenziose; e l’esigenza dello Stato, in qualità di persona giuridica di diritto internazionale, di tutelare il proprio prestigio e onore all’estero e di difendersi dall’attività nociva dei suoi cittadini.
Di contro, parte dell’opinione pubblica si è scagliata ferocemente contro la proposta della senatrice Adele Gambaro, accusandone le derive autoritarie e la fragilità relativamente alla compatibilità costituzionale. La principale critica vede in questo tentativo di disciplinare la materia un istinto illiberale e la volontà di imbavagliare il web, bloccandone i canali di libera informazione.
Da quanto detto appare chiaro che il dibattito è quanto mai acceso. L’esigenza di bilanciare la libertà di esprimersi di ciascun individuo con una qualche forma di controllo sulle bocche dell’informazione deve trovare risposta al più presto. In attesa che il legislatore faccia chiarezza sulla materia, il primo vero intervento spetta proprio alla generalità degli utenti della rete che, come detto in precedenza, sono co-autori del fenomeno, ma ne possono essere anche una prima soluzione grazie ad una lettura meno superficiale delle notizie reperite online.
Laureto in Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli nel luglio 2017 con una tesi in Procedura Civile.
Collaboro con Ius in itinere fin dall’inizio (giugno 2016). Dapprima nell’area di Diritto Penale scrivendo principalmente di cybercrime e diritto penale dell’informatica. Poi, nel settembre 2017, sono diventato responsabile dell’area IP & IT e parte attiva del direttivo.
Sono Vice direttore della Rivista, mantenendo sempre il mio ruolo di responsabile dell’area IP & IT. Gestisco inoltre i social media e tutta la parte tecnica del sito.
Nel settembre 2018 ho ottenuto a pieni voti e con lode il titolo di LL.M. in Law of Internet Technology presso l’Università Bocconi.
Da giugno 2018 a giugno 2019 ho lavorato da Google come Legal Trainee.
Attualmente lavoro come Associate Lawyer nello studio legale Hogan Lovells e come Legal Secondee da Google (dal 2019).
Per info o per collaborare: simone.cedrola@iusinitinere.it