venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

Il reato di estorsione e l’individuazione della minaccia in alcune pronunce del “Caso Corona”

L’art. 629 c .p., rubricato “estorsione”, recita: “Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000. La pena è della reclusione da sette a venti anni e della multa da euro 5.000 a euro 15.000, se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente.”

La norma è stata oggetto di recenti modifiche da parte della Legge Orlando che, nel 2017, ha ritoccato il secondo comma, il quale in precedenza comminava, in caso di circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente, “la pena della reclusione da sei a venti anni” (oltre alla multa da euro 5.000 a euro 15.000).

L’estorsione è classificata come reato comune, in quanto può venir commessa da chiunque ed è un reato plurioffensivo avendo la capacità di ledere sia il patrimonio che la sfera personale del singolo, in quest’ultimo caso, attraverso la lesione della libertà di autodeterminazione o dell’integrità fisica di esso. L’estorsione è un reato di evento, sussistendo soltanto quando tutti gli eventi dannosi siano stati compiuti. L’elemento soggettivo sufficiente per realizzarsi è il dolo generico, cioè la sussistenza di coscienza e volontà di obbligare (mediante violenza o minaccia) il soggetto passivo ad agire, al fine di produrre il vantaggio (ingiusto) nella sfera patrimoniale del reo.[1]

Presupposti del reato di estorsione, dunque, oltre l’evento, sono la violenza o la minaccia, che devono essere idonee a coartare la volontà della vittima, sì da indurlo a disporre del suo patrimonio, a nulla rilevando le modalità. La minaccia può essere anche costituita da un comportamento omissivo, mentre il suo scopo può essere quello di far compiere un atto di disposizione patrimoniale talvolta positivo, talvolta negativo. Quindi, nel reato di estorsione, mentre il danno sarà certamente patrimoniale, il profitto potrà anche avere una finalità diversa.[2]

Le pronunce dei giudici nel Caso Corona

Uno tra i casi di estorsione più noti in Italia dal punto di vista giuridico, ma anche dal punto di vista mediatico (troppo spesso travolto dal Gossip), è stato quello dei processi svoltisi nei confronti del fotografo Fabrizio Corona. Il “re dei paparazzi” era stato arrestato nel 2007 con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’estorsione nell’ambito dell’indagine “Vallettopoli”; nel 2009 fu accusato di estorsione e tentata estorsione per presunti fotoricatti ai danni di alcuni vip e condannato a 3 anni e otto mesi di reclusione dalla quinta sezione penale del Tribunale di Milano insieme ad un suo collaboratore; in appello poi nel 2010, la condanna per tentata estorsione fu ridotta ad 1 anno e 5 mesi e confermata dalla Corte di Cassazione nel 2011; nel 2013 infine, in un altro processo, la Corte di Cassazione confermò la condanna a 5 anni di reclusione per estorsione aggravata e trattamento illecito dei dati personali ai danni di un famoso calciatore.

Orbene, prescindendo, in questo luogo, dall’esposizione di qualunque convinzione sul caso, alcuni passaggi delle pronunce giudiziarie in oggetto possono essere molto d’aiuto ai fini chiarificatori del reato di estorsione, in merito ai suoi elementi costitutivi, soprattutto relativamente al significato della minaccia quale suo presupposto.

Nella sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Milano del 2.12.2010, la Corte conferma quanto stabilito in primo grado in relazione alle minacce effettuate per vendere delle foto “inopportune” al soggetto ritratto, per ottenerne un ingiusto (ed ingente) guadagno.

I giudici, infatti, nel capo dedicato all’imputazione per estorsione in danno del calciatore Coco F., fotografato all’uscita di una discoteca in atteggiamenti intimi con una ragazza, ritengono che quelle fotografie siano lecite sotto il profilo dell’interesse pubblico, però, l’imputato “le vendette all’interessato ricavandone l’ingiusto profitto di 6.000€ – mediante la prospettazione, creata ad arte che la pubblicazione delle fotografie avrebbe potuto dar luogo ad equivoci imbarazzanti circa i gusto e le abitudini sessuali del calciatore, che peraltro viveva un momento critico della sua carriera”[3]. E proprio questo costituiva, secondo la Corte, “una minaccia, avendo l’effetto di coartare la volontà della persona offesa che temeva di vedere compromessa la propria reputazione”, così configurando il reato di estorsione.

In un altro capo della medesima sentenza, invece, riguardante l’imputazione di tentata estorsione in danno del calciatore Adriano, l’imputato, avendo  ottenuto  alcune foto compromettenti per la carriera e la vita privata del calciatore, le aveva offerte dietro corrispettivo a più testate giornalistiche e poi alla stessa vittima, richiedendo con insistenza il denaro in cambio della cessione delle foto, avvertendo la vittima che in caso contrario, la pubblicazione avrebbe rappresentato un grave danno per il calciatore. Il Tribunale, in merito a questi fatti, ha osservato che “le sue prospettazioni” (dell’imputato) “intimoriscono gli interessati, che le percepiscono come minacce e d’altra parte le fotografie potevano facilmente essere manipolate,” confermando perciò, la responsabilità penale dell’imputato.[4]

– La pronuncia della Corte d’Appello di Milano ha approfondito uno degli elementi fondamentali dell’estorsione, dedicandovi uno specifico capo: “la minaccia”.

Richiamando altri precedenti giurisprudenziali si stabilisce che: “[…] in tema di estorsione, la minaccia, ancorché consistente nell’esercizio di una facoltà o di un diritto spettante al soggetto agente (e dunque all’apparenza legale), diviene “contra ius” quando, pur non essendo antigiuridico il male prospettato, si faccia uso di mezzi giuridici legittimi per ottenere scopi non consentiti o risultati non dovuti, come quando la minaccia sia fatta con il proposito di coartare la volontà di altri per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia.[5] Pertanto, “in tema di estorsione la minaccia di un male legalmente giustificato assume il carattere d’ingiustizia quando sia fatta […] con il proposito di coartare la volontà di altri per soddisfare scopi personali non conformi a giustizia: l’ingiustizia del proposito rende, necessariamente, ingiusta la minaccia di danno rivolta alla parte offesa, ed il male minacciato, anche se astrattamente non ingiusto, diviene tale per il fine cui è diretto”.[6] Inoltre, “[…] Importa invece che il contenuto dell’obbligazione che deriva da quella minaccia sia tale da non procurare al soggetto attivo della minaccia “legale” un profitto ingiusto”.[7]

-Dunque, secondo la Corte d’Appello milanese, gli elementi costitutivi della minaccia sono:

1) un evento dannoso o pericoloso per il soggetto passivo (il “male”);

2) la collocazione di tale evento in un tempo futuro, non potendo avere alcun effetto intimidatorio un male già avvenuto;

3) la possibilità del soggetto che proferisce la minaccia di influire in qualche modo sul verificarsi della stessa; se così non fosse, si tratterebbe soltanto di una previsione infausta.[8]

Pertanto, alla luce di quest’analisi fornita dai giudici, si può concludere che l’intrinseca ingiustizia del male minacciato non è un requisito necessario della minaccia. Proprio sulla base di tali riflessioni, la condotta dell’imputato viene considerata come estorsione, essendo consistita nel prospettare all’interessato, quale alternativa al pagamento di somme di denaro, la divulgazione delle fotografie, e poichè “risultano pertanto senz’altro integrati i requisiti della minaccia, nella forma che si è delineata, e del profitto ingiusto.”[9]

[1] Tratto da www.studiocataldi.it

[2] Tratto da www.brocardi.it

[3] Corte Appello di Milano 2.12.2010 (sent.), Pres. Soprano, Est. Aniello (caso Corona)

[4] Corte Appello di Milano 2.12.2010 (sent.), Pres. Soprano, Est. Aniello (caso Corona)

[5] Corte di Cassazione Sez. II, sent. n. 12082 del 6.2.2008, Sartor, e n. 119 del 4.11.2009, Ferranti

[6] Corte di Cassazione Sez. II, sent.  n. 12082 del 6.2.2008, Sartor, e n. 119 del 4.11.2009, Ferranti

[7] Corte di Cassazione (sez. II n. 16562 del 17.3.2009, Aprile)

[8]  Corte Appello di Milano 2.12.2010 (sent.), Pres. Soprano, Est. Aniello (caso Corona)

[9] Corte Appello di Milano 2.12.2010 (sent.), Pres. Soprano, Est. Aniello (caso Corona)

Avv. Alessia Di Prisco

Sono Alessia Di Prisco, classe 1993 e vivo in provincia di Napoli. Iscritta all'Albo degli Avvocati di Torre Annunziata, esercito la professione collaborando con uno studio legale napoletano. Dopo la maturità scientifica, nel 2017 mi sono laureata alla facoltà di giurisprudenza presso l'Università degli Studi Federico II di Napoli, redigendo una tesi dal titolo "Il dolo eventuale", con particolare riferimento al caso ThyssenKrupp S.p.A., guidata dal Prof. Vincenzo Maiello. In seguito, ho conseguito il diploma di specializzazione presso una Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali a Roma, con una dissertazione finale in materia di diritto penale, in relazione ai reati informatici. Ho svolto il Tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari del Tribunale di Torre Annunziata affiancando il GIP e scrivo da anni per la rubrica di diritto penale di Ius In Itinere. Dello stesso progetto sono stata co-fondatrice e mi sono occupata dell'organizzazione di eventi giuridici per Ius In Itinere su tutto il territorio nazionale.

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