venerdì, Marzo 29, 2024
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Il regime di responsabilità per inquinamento da idrocarburi

 

La prevenzione dell’inquinamento marino a livello internazionale, è regolata da diverse Convenzioni Internazionali ed al riguardo va segnalata l’esistenza di un doppio regime di responsabilità risarcitoria per i danni da inquinamento di idrocarburi: infatti, la “International Convention on Civil Liability for Oil Pollution Damage” (la “CLC”) siglata a Bruxelles nel 1969, introdotta nel nostro ordinamento con la Legge 185/1977 e successivamente modificata da protocolli e la “International Convention on the Establishment of an International Fund for Compensation for Oil Pollution Damage” del 1971 (la “Convenzione FUND”) inquadrano il regime di responsabilità civile per i danni arrecati all’ambiente marino e costiero dallo sversamento di idrocarburi intesi come carico trasportato, mentre la “International Convention on Liability for Bunker Oil Pollution Damage” (la “Bunker Oil”) siglata a Londra il 23 marzo 2001, ratificata dall’Italia con la Legge 19/2010, ha ad oggetto il regime di responsabilità civile per i danni causati da una potenziale perdita, sversamento o fuoriuscita di combustibile dalle navi, ossia conseguenti ad avarie derivanti da fughe o scarichi di combustibile delle navi.

La Bunker Oil ha dunque tenuto conto dell’esigenza di dare un’adeguata disciplina anche alle situazioni di incertezza normativa relativa a sversamenti da navi non destinate al trasporto di idrocarburi. Tali incidenti infatti risultano essere numericamente assai frequenti e, quantomeno nella loro globalità, altrettanto gravi rispetto a quelli provocati dal trasporto di idrocarburi. Anzi, in alcuni casi, si è osservato che il danno da inquinamento marino relativo a bunker spill risulta addirittura più grave, a causa delle caratteristiche fisiche particolarmente resistenti ai trattamenti disinquinanti degli idrocarburi utilizzati come combustibili rispetto al greggio trasportato.

Entrambe le Convenzioni, CLC e Bunker Oil, prevedono un regime di responsabilità oggettiva, mitigato dall’introduzione di una serie di cause di esonero da responsabilità di cui di seguito si dirà e, pur essendo orientate verso una disciplina sostanzialmente coincidente, esse risultano reciprocamente esclusive e complementari.

Ai sensi della Convenzione CLC, articolo 3, soggetto responsabile di ogni danno da inquinamento causato dalla nave e risultante dall’incidente, è colui che, al momento dell’incidente, o se l’incidente consiste in una successione di eventi, al momento in cui si è verificato il primo evento della serie, è proprietario della nave.

Il regime di responsabilità di cui alla CLC è sicuramente molto rigoroso stante la limitata serie di esimenti di cui all’articolo 3, comma 2, secondo cui “il proprietario non è responsabile qualora provi che il danno da inquinamento: a) risulti da un atto di guerra, da ostilità, da una guerra civile, da una insurrezione, o da un fenomeno naturale di carattere eccezionale, inevitabile ed ineluttabile, o b) risulti interamente dal fatto che un terzo abbia deliberatamente agito o mancato di agire nell’intento di causare un danno, o c) risulti interamente dalla negligenza o da altra azione pregiudizievole di un governo od altra autorità responsabile della manutenzione di segnali luminosi o di altri mezzi di ausilio alla navigazione nell’esercizio di tale funzione”.

Ai sensi dell’articolo 7 della CLC, il proprietario di una nave immatricolata in uno Stato contraente, che trasporti più di 2000 tonnellate di idrocarburi alla rinfusa come carico, è obbligato a contrarre un’assicurazione od a fornire una garanzia finanziaria debitamente certificata (fideiussione bancaria o certificato di fondo internazionale), per un ammontare pari all’importo limite della sua responsabilità determinato in base ai criteri predisposti dall’articolo 5 della CLC stessa.

Ogni Stato membro, in qualità di Stato di bandiera, deve impedire alla nave sprovvista di idonea certificazione di intraprendere la navigazione, mentre in qualità di Stato del porto nel quale la nave approda, deve garantire che essa sia fornita della copertura assicurativa richiesta. Quest’ultima disposizione è dettata indipendentemente dalla bandiera, per cui è irrilevante che la nave batta la bandiera di uno Stato membro che abbia ratificato o meno la CLC.

Alla CLC si è aggiunta, nel 1971, la Convenzione FUND che ha previsto l’istituzione di un fondo per il risarcimento dei danni da inquinamento con il duplice scopo di garantire il risarcimento dei danni da inquinamento alle vittime nell’ipotesi in cui non siano riuscite ad ottenere risarcimento dal proprietario o non abbiano diritto al risarcimento secondo il regime della CLC, oppure i danni eccedano i limiti di responsabilità previsti dalla CLC, e di sgravare in parte il proprietario della nave inquinatrice dal peso finanziario attribuitogli dalla CLC. Il fondo internazionale istituito dalla Convenzione FUND è inoltre finanziato da contributi proporzionali che le imprese e gli altri soggetti sono tenuti a versare nel caso in cui abbiano ricevuto nell’anno oltre 150.000,00 tonnellate di idrocarburi trasportati via mare.

Le previsioni della CLC non si occupano della eventuale responsabilità di altri soggetti diversi dal proprietario della nave (per esempio l’armatore), né regolamentano il risarcimento del danno all’ambiente, per cui tali aspetti sono di competenza delle singole legislazioni nazionali.

In Italia viene in rilievo, a tal proposito, la Legge 979/1982 “Disposizioni per la difesa del mare” che prevede una responsabilità solidale nei confronti dello Stato a carico del proprietario, dell’armatore e del comandante della nave che ha versato idrocarburi in mare.

La Legge 979/1982 afferma che la protezione dell’ambiente è riconosciuta come un interesse diretto della collettività nazionale, per cui il danno all’ambiente è perpetrato nei confronti dello Stato e degli enti territoriali minori e stabilisce che l’obbligo del risarcimento consegue a qualunque fatto doloso o colposo che, in violazione di legge o di provvedimenti adottati in base alla legge, comprometta l’ambiente.

In base a tale Legge, pertanto, lo Stato, quale titolare del bene “ambiente”, è titolare di un rimedio risarcitorio che si basa sulla disciplina di cui all’articolo 2043 c.c.. La legittimazione attiva alla domanda di risarcimento per il danno all’ambiente marino spetta allo Stato, quale ente esponenziale degli interessi della collettività. I cittadini possono solo sollecitare l’esercizio dell’azione denunciando i fatti di cui siano a conoscenza o comunque i privati sono indennizzabili solo dopo aver assolto la prova che il danno ambientale ha leso un loro diritto soggettivo incidendo su di un loro bene privato.

Resta infine da considerare la Bunker Oil che conferma il criterio della responsabilità canalizzata ed oggettiva del proprietario della nave. La Bunker Oil fornisce, tuttavia, una definizione di proprietario (i.e. shipowner), più ampia rispetto a quella di cui alla CLC, ricomprendendovi altresì il noleggiatore a scafo nudo, il gestore e l’armatore della nave.

Ai sensi dell’articolo 7 della Bunker Oil, il proprietario registrato (i.e. registered owner) della nave di stazza superiore a 1.000 tonnellate registrata in uno Stato contraente è tenuto a sottoscrivere un’assicurazione od altra garanzia finanziaria per coprire la propria responsabilità per i danni da inquinamento per un importo equivalente ai limiti di responsabilità previsti dal regime nazionale od internazionale di limitazione applicabile e, comunque, non eccedente l’importo calcolato in conformità alla Convenzione del 1976 sulla limitazione di responsabilità per i crediti marittimi[1]. Il rilascio di siffatta copertura deve essere provato mediante l’esibizione di uno specifico certificato che in Italia viene rilasciato su richiesta dalla Consap, che deve essere conservato a bordo della nave e depositato in copia presso l’ufficio di iscrizione della nave.

Anche la Bunker Oil prevede, all’articolo 3, un regime di limitazione della responsabilità del proprietario (i.e. shipowner) della nave per i danni causati dall’inquinamento nell’ipotesi in cui lo stesso dimostri che il danno: (i)  si sia verificato per cause di forza maggiore (conflitto armato, insurrezione e simili, catastrofi naturali eccezionali ed inevitabili); o (ii) sia stato provocato da azione od omissione intenzionale di un terzo; ovvero (iii) sia stato provocato dalla negligenza di un’autorità pubblica responsabile della manutenzione dei fari o di altri ausili alla navigazione; o (iv) derivi dall’azione dolosa o colposa dello stesso danneggiato.

Di particolare interesse è infine la previsione di cui all’articolo 7, comma 10 della Bunker Oil, ai sensi del quale ogni azione per l’indennizzo di danni da inquinamento può essere proposta direttamente nei confronti dell’assicuratore o del prestatore della garanzia finanziaria che copre la responsabilità del proprietario registrato (i.e. registered owner) per i danni da inquinamento ed il convenuto può avvalersi dei mezzi di difesa spettanti al proprietario registrato (i.e. registered owner), incluso il diritto di limitazione di responsabilità, ovvero, qualora tale ultimo diritto non spetti al proprietario registrato (i.e. registered owner), può chiedere di limitare la propria responsabilità all’ammontare dell’assicurazione o della garanzia prestata.

Conclusioni

L’elemento più importante di differenziazione dei regimi di responsabilità di cui alle Convenzioni CLC e Bunker Oil esaminate è che solo la prima prevede, attraverso l’istituzione del fondo di cui alla Convenzione FUND, un meccanismo supplementare di risarcimento a cui le vittime possono ricorrere, qualora non sia possibile ottenere la soddisfazione delle pretese risarcitorie dal responsabile dei danni.

Ciò rende di sicuro meno incisiva la funzione dissuasiva della Bunker Oil rispetto a comportamenti potenzialmente pericolosi da parte dei soggetti cui sarebbe imputabile il danno prodotto a causa di tali comportamenti.

Ma in generale non può sottacersi il rischio che i danni provocati da inquinamento da idrocarburi, siano essi rientranti nell’ambito di applicazione della CLC che in quello della Bunker Oil, possano comunque superare i limiti massimi previsti da tutti i testi normativi sopra menzionati, evenienza questa che purtroppo allo stato rimane priva di regolamentazione in sede internazionale e genera una lacuna che non può essere colmata, per evidenti ragioni di equità e giustizia, attraverso la rimozione di ogni limite alla responsabilità ed alla risarcibilità dei danni di cui alla presente disamina.

[1] Si noti che per l’Italia, la Convenzione del 1976 non è ancora in vigore, pertanto, ai fini della individuazione dei limiti di responsabilità armatoriale, occorre far riferimento alle specifiche norme contenute nel Codice della Navigazione (articoli 275 e ss. per le navi di stazza lorda inferiore alle 300 tonnellate) e nel d.lgs. 111/2012 che sostanzialmente riproduce il contenuto degli articoli 6 e 7 della Convenzione del 1976 che individuano i massimali assicurativi in relazione alle varie tipologie di crediti marittimi.

A cura dell’avv. Antonella Barbarito e della dott.ssa Beatrice D’Amato

Watson Farley Williams

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