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Regolamento Dublino III: quando la (mutua) fiducia è mal riposta

Introduzione 

Il Regolamento di Dublino III[1] disciplina il sistema che gli Stati membri dell’UE[2] hanno concordato per la gestione dei procedimenti di riconoscimento della protezione internazionale. In questa situazione è necessario individuare quale sia lo Stato competente per l’esame della domanda: il Regolamento (UE) n. 604/2013 elenca i criteri per la determinazione della competenza. Il principio generale è quello per cui lo Stato membro nel quale la domanda di protezione è presentata per la prima volta, ha il compito di avviare la procedura di determinazione dello Stato membro competente[3], con evidente scompenso per i paesi di frontiera che costituiscono il luogo più comune di sbarco. A ciò si aggiunga che uno dei criteri utilizzati per l’individuazione del Paese competente è quello del primo ingresso illegale. L’art. 13 del Regolamento attribuisce la competenza ad esaminare la domanda di protezione internazionale allo Stato membro la cui frontiera è stata varcata illegalmente dal richiedente in provenienza da un paese terzo. L’applicazione di questo criterio si traduce nella possibilità, ad esempio, che il richiedente sbarcato sulle coste italiane sia trasferito nuovamente in Italia nonostante abbia formalizzato la domanda d’asilo in Germania. Il Regolamento individua altri due criteri per la determinazione dello Stato competente: lo Stato in cui può meglio realizzarsi il ricongiungimento familiare del richiedente (artt. 8 – 11) o lo Stato membro che ha rilasciato un titolo di soggiorno o un visto di ingresso, in corso di validità (art. 12). Nonostante l’art. 7 par. 1 del Regolamento preveda l’applicazione in ordine gerarchico dei criteri, nella prassi viene utilizzato più spesso il criterio del primo ingresso illegale e ciò determina una maggiore pressione nei Paesi di frontiera. Non a caso, il recente Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo[4] ha prospettato l’intervento sul sistema di ricollocamento per quote, che era già stato previsto nell’Agenda europea per la migrazione del 2015[5] con adesione su base volontaria dei singoli stati.

Il Regolamento di Dublino ha come finalità principale[6] quella di evitare il fenomeno di asylum shopping, ossia la tendenza  dei richiedenti asilo di scegliere, sulla base di ragioni di convenienza, lo Stato che esaminerà la domanda di protezione internazionale. Un altro obiettivo che il Regolamento mira a raggiungere è di individuare, una volta per tutte, lo Stato di riferimento per la trattazione della domanda di asilo, senza che più procedimenti vengano portati avanti in contemporanea in Stati diversi (c.d. conflitto positivo) o, al contrario, evitando che nessuno Stato si riconosca competente dell’esame della domanda d’asilo. In quest’ultimo caso, si parla di conflitto negativo in riferimento alla prassi di rinviare i c.d. “rifugiati in orbita” da uno Stato all’altro, in ragione del fatto che nessun Paese si riconosce competente.  Al fine di prevenire conflitti positivi o negativi, è stato istituito un poderoso sistema di scambio di informazioni, più precisamente di impronte digitali: tramite la raccolta delle impronte al momento della formalizzazione della domanda, è possibile verificare dal sistema Eurodac[7] se il cittadino straniero ha presentato domanda altrove. In caso di riscontro positivo, comincia un procedimento di richiesta di presa in carico (c.d. take charge)[8] o di ripresa in carico (c.d. take back)[9] che può culminare con il provvedimento di trasferimento verso il paese che ha riconosciuto la propria competenza. Al richiedente asilo è data la possibilità di impugnare ex art. 3 d.lgs. 25/2008 tale provvedimento di trasferimento, chiedendone la sospensione degli effetti. Comincia così un procedimento che può prolungarsi, nella prassi, finanche a qualche anno e che si può dunque concretizzare in una situazione di stallo per il migrante. Una delle maggiori criticità del meccanismo Dublino è proprio la lentezza del sistema[10], da contrapporre alla facilità con cui i cittadini di Stati membri si spostano all’interno dell’Unione.

 

La clausola di sovranità di cui all’art. 3.2 e l’obbligo di applicazione sulla base di norme del diritto internazionale

A questo punto ci si può chiedere se ci siano casi in cui lo Stato non competente possa o debba prendersi carico della domanda di asilo ricevuta. Si tratta di capire quando gli Stati possano fare uso della clausola di sovranità contenuta all’art. 17 che permette loro di esaminare una domanda di protezione internazionale (anche) nella situazione descritta dall’art. 3 comma 2 del Regolamento. La norma prevede che quando “si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti” nello Stato di destinazione, tali da comportare “il rischio di un trattamento inumano o degradante”, allora lo Stato che ha avviato la procedura prosegue nell’esaminare se esistono altri Stati competenti. In alternativa, può decidere di prendere in carico la domanda.

La norma sembra quindi contrastare con uno dei principi che sta alla base del Regolamento Dublino III: il principio della mutua fiducia tra stati, principio cardine del Sistema europeo comune di asilo (CEAS), ossia dell’insieme di atti emanati nel contesto delle politiche migratorie al fine di riavvicinare le legislazioni dei singoli stati e di concordare standard minimi condivisi nel sistema dell’accoglienza. L’importanza di una disciplina comune in un settore così delicato trova una base giuridica nell’art. 78 par. 1 TFUE, per cui l’Unione si impegna a sviluppare una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento” nel rispetto del diritto internazionale dei rifugiati.

Il principio della mutua fiducia tra Stati si traduce in un importante corollario nel quadro del Regolamento Dublino III: tutti gli Stati europei sono considerati paesi sicuri[11] ai fini delle domande di asilo presentate. Si dà per presupposto che il trasferimento del richiedente asilo sia possibile perché anche lo Stato competente offre adeguate condizioni di accoglienza e una procedura d’asilo, per quanto diversa, comunque rispettosa di alcuni standard comuni[12]. Al contrario, l’esercizio della clausola di sovranità per i motivi di cui all’art. 3 co. 2 implica che se lo Stato verso cui il “dublinante” deve essere trasferito non rispetta i diritti fondamentali dell’Unione europea ai sensi dell’art. 6 TUE, si rende dunque necessaria la ricerca di un altro Stato competente. 

Un esempio di come la clausola di sovranità sia stata utilizzata per ragioni pratiche risale al 2015, quando la Germania decideva di accogliere i profughi della guerra civile siriana nell’anno della crisi dei migranti in Europa[13]. Più precisamente, il governo tedesco, in applicazione della clausola di sovranità dell‘art. 17 del Regolamento, si era reso responsabile dell’accoglienza e della trattazione delle domande di protezione internazionale presentate dai cittadini siriani, disponendo che i provvedimenti di trasferimento al primo paese di arrivo fossero revocati[14].

 

Le pronunce della Corte di Giustizia e della Corte EDU e il principio di mutua fiducia

Le Corti europee hanno avuto modo di pronunciarsi sul principio di mutua fiducia tra Stati sottolineando che le ipotesi di violazione del principio di non refoulement possono verificarsi anche all’interno dello spazio europeo.

Una prima sentenza sul punto si ha in riferimento al caso M.S.S. c. Belgio e Grecia[15]. M.S.S. è un richiedente asilo afgano che il Belgio aveva trasferito in Grecia sulla base del Regolamento Dublino II, nonostante egli lamentasse il rischio di essere rimpatriato in Afghanistan in ragione della carente procedura di asilo. Prova ne è che in Grecia il signor M.S.S. era stato detenuto due volte in condizioni inumane e poi abbandonato a vivere in strada. La Corte ha evidenziato due ordini di violazioni: il Belgio ha violato il principio di non refoulement poiché doveva sapere che, a causa di gravi carenze sistemiche, le autorità greche non avrebbero trattato in maniera effettiva ed adeguata la domanda di asilo; allo stesso tempo, la Grecia ha violato l’art. 3 CEDU che proibisce la tortura e il trattamento inumano o degradante. Pare evidente che non ci sia alcuna presunzione assoluta a che gli Stati membri rispettino i diritti fondamentali dell’Unione europea e, a conferma di ciò, si è pronunciata la Corte di giustizia europea, nelle cause riunite C-411/10 e C-493/10 del 2012[16]. La Corte ha affermato che “il diritto dell’Unione osta all’applicazione di una presunzione assoluta secondo la quale lo Stato membro che l’art. 3, n. 1, del regolamento n. 343/2003 designa come competente rispetta i diritti fondamentali dell’Unione europea”[17]. La pronuncia traeva origine da una questione pregiudiziale presentata dalle autorità inglesi in riferimento al ricorso di N.S., cittadino afgano, destinatario di un provvedimento di trasferimento verso la Grecia. La Corte precisa che “al fine di permettere all’Unione e ai suoi Stati membri di rispettare i loro obblighi di tutela dei diritti fondamentali dei richiedenti asilo, gli Stati membri, compresi gli organi giurisdizionali nazionali, sono tenuti a non trasferire un richiedente asilo verso lo «Stato membro competente» ai sensi del regolamento n. 343/2003 quando non possono ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nel le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’art. 4 della Carta”[18]. Secondo il Secretary of State la questione della violazione dei diritti garantiti dalla CEDU non si poneva dal momento che la Grecia figurava nell’elenco dei paesi sicuri [19].

Alla luce di queste sentenze, ci si potrebbe chiedere se ad oggi esistano altri Stati europei i cui i sistemi di accoglienza presentino “gravi carenze sistemiche” tali per cui il trasferimento potrebbe comportare il rischio di “trattamenti inumani e degradanti”, non ignorabili da parte dello Stato che dispone il trasferimento.

Nell’esame della giurisprudenza italiana, pare si possa affermare che uno Stato che non garantisce un sistema di accoglienza adeguato sia quello Ungherese. Il Consiglio di Stato con sentenza n. 2272 del 15 maggio 2017[20] ha annullato il trasferimento di un cittadino di paese terzo verso l’Ungheria, evidenziando che è possibile “ritenere che i diritti fondamentali dei richiedenti asilo, in Ungheria, siano allo stato fortemente compromessi e che le loro condizioni di accoglienza, pur comprendendosi tutte le difficoltà connesse ai flussi migratori nelle regioni dell’Europa orientale, non attinga[no] la soglia di un trattamento confacente agli standards minimi di tutela internazionale, o comunque, a quelli previsti dall’art. 3, comma 2, del citato Reg. UE n. 604/2013 e dall’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Un aspetto interessante della pronuncia riguarda la necessità di avvalersi di una pluralità di fonti nell’esame delle possibili violazioni dei diritti, includendo nell’indagine non solo il quadro normativo, ma anche la situazione fattuale nel Paese di trasferimento[21]. Anche nel caso M.S.S. v. Belgio e Grecia l’apporto di svariati report di ONG e UNHCR è risultato fondamentale per provare che le autorità belghe non avrebbero potuto ignorare le carenze del sistema d’asilo greco.

Ancora, alcune pronunce delle Corti italiane sembrano indicare la Romania come Stato in cui si verificano “gravi carenze nell’accoglienza e rischio di rimpatrio in Afghanistan”[22], sulla base di una serie di report aggiornati prodotti da ECRI[23] e AIDA[24].

In conclusione, emergono due punti in comune a queste sentenze: il primo, riguarda la necessaria valutazione caso per caso del singolo ricorso, il secondo punto riguarda l’importanza dell’apporto dei report sui Paesi di trasferimento.

Dicono di noi: dalla sentenza Tarakhel v. Svizzera alla pronuncia del TAF sul trasferimento del richiedente asilo in Italia dopo il Decreto Sicurezza

Anche la situazione del sistema accoglienza italiano è passata al vaglio delle Corti europee e nazionali. Nel caso Tarakhel v. Svizzera[25], la Corte EDU ha deciso del ricorso presentato da una famiglia afgana il cui trasferimento in Italia avrebbe comportato, secondo la difesa, l’esposizione alle carenze sistemiche italiane in materia d’asilo. La Corte si è pronunciata  sull’importanza di ottenere informazioni dalle autorità del Paese ricevente in relazione al sistema di accoglienza, ottenendo garanzie individuali” dalle autorità italiane sulla presa in carico adeguata del nucleo familiare. La stessa Corte è arrivata a conclusioni diverse nel caso A.M.E. c. Paesi Bassi[26] e nel caso A. S. c. Svizzera[27] . In entrambi i casi, la Corte non ha riscontrato violazioni della Convenzione EDU nell’ipotesi di trasferimento in Italia, in ragione di un accertamento fatto – ancora una volta – caso per caso[28].

Più di recente, il Tribunale amministrativo federale svizzero (TAF) nella sentenza n. 962 del 19 dicembre 2019 [29] si trova ad applicare la clausola di cui all’art. 3 co. 2 del Regolamento Dublino III e dunque ad annullare la decisione di trasferire una famiglia di richiedenti asilo in Italia: pur non ritenendo la situazione italiana analoga a quella greca, vengono comunque rilevati “seri dubbi sulla capacità del sistema italiano” in particolare denotando che “la grande disparità degli standard di accoglienza nei Centri di accoglienza esiste ancora nella pratica e si manifesta in particolare nella mancanza di personale o di un’adeguata formazione del personale, nel sovraffollamento di alcuni Centri, nel limitato spazio disponibile per i servizi di assistenza e nelle condizioni sanitarie”. Si tratta in questo caso di una pesante condanna nei confronti del sistema italiano di accoglienza in seguito alle modifiche introdotte dal c.d. Decreto Salvini[30].

Nel caso di specie la ricorrente, cittadina nigeriana madre di due bambini, impugnava il provvedimento di trasferimento spiegando che, come madre single di due minori, avrebbe vissuto in condizioni di estrema povertà, tali da comportare il rischio di essere separata dai due figli, in violazione al diritto sancito dall’art. 8 CEDU. Di nuovo, il TAF riprende la sentenza Tarakhel rinviando al SSM[31] la richiesta a che siano fornite “assicurazioni diplomatiche” in merito all’assistenza alle famiglie in Italia. Si riscontra che la prassi di rinviare la decisione di trasferimento in seguito alle richieste di integrazione dallo Stato ritenuto competente, comporta una dilatazione dei tempi del procedimento Dublino, ritardando ulteriormente la decisione nel merito della domanda di protezione internazionale presentata.

In conclusione, il problema della “crisi di fiducia” nei confronti dell’Italia si incardina nel generale clima di crisi del principio di mutua fiducia e solidarietà tra Stati membri. Il sistema del Regolamento Dublino sembra sempre e solo finalizzato alla gestione – più o meno rapida – delle domande di protezione internazionale, piuttosto che a distribuire più equamente le responsabilità ai singoli Stati o ad ascoltare la volontà dei richiedenti asilo, con la conseguenza di svantaggiare gli Stati frontalieri[32]. La crisi migratoria ha contribuito a rendere evidente le lacune del Regolamento Dublino III, motivo per cui si discute attualmente della necessità di riformarlo.  Il 23 settembre 2020 è stato presentato il nuovo patto sulla migrazione e l‘asilo[33] con l‘obiettivo di favorire una diversa gestione del fenomeno migratorio in modo da ripartire le domande di protezione internazionale secondo un nuovo meccanismo di solidarietà, volto a fornire un maggior sostegno ai Paesi di frontiera, in particolare nei momenti di crisi[34]. Nel discorso di presentazione del documento strategico, la Presidente Ursula von der Leyen ha affermato che i Paesi più esposti ai flussi migratori “devono poter contare sulla solidarietà di tutta l’Unione europea”. I problemi sorgono quando si tratta di discutere nel concreto le misure da adottare: la ricerca di soluzioni di compromesso potrebbe infatti tradire le aspettative di una riforma del Regolamento Dublino III che garantisca un nuovo approccio alle migrazioni e all’asilo[35]. Per questo motivo si ritiene che il superamento del Regolamento Dublino III si avrà solo con la riscoperta del principio della reciproca solidarietà tra Stati che si traduca in procedimenti di collocamento più snelli e adeguati ai fattori di collegamento che il richiedente ha stabilito in un certo Stato membro. La riforma approvata dalla Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) del Parlamento Europeo nel 2017 ha mosso il primo passo in questa direzione; tuttavia, la proposta di riforma si è arenata nella fase di discussione. In questo quadro, le pronunce viste fin qui danno continuità ad un approccio refrattario, in cui lo Stato non competente dispone il trasferimento del richiedente anche quando ci sono chiari elementi che denotano le carenze sistemiche nell’accoglienza, rallentando il procedimento di determinazione dello Stato e il riconoscimento del diritto di asilo. A ciò si aggiunga che, nel 2020, i provvedimenti di presa e ripresa in carico da parte degli Stati competenti sono stati 50.100 a fronte di 94.600 richieste formulate da Stati non competenti. Sono stati eseguiti solo 12.500 trasferimenti in uscita, un quarto delle richieste accettate[36], a riprova del fatto che il meccanismo Dublino è un sistema lento e inadeguato A parere di chi scrive, una priorità della riforma del procedimento di Dublino è quella di ravvivare il principio di mutua fiducia tra Stati, per arrivare ad un testo condiviso e ad un meccanismo di gestione efficace del fenomeno migratorio comunitario. Si tratta infatti di una riforma che al di là dei contenuti tecnici, deve trovare un punto di accordo sul piano politico: ridurre la pressione sui Paesi di frontiera con un meccanismo diverso di collocamento può essere un punto di partenza per ricucire il rapporto di solidarietà tra gli Stati membri più esposti al flusso migratorio e gli altri Stati europei che applicano il Regolamento.

[1] Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide

[2] Non ne fanno parte Inghilterra in seguito alla Brexit e la Danimarca. Ne fanno parte in quanto Paesi membri dell’Associazione europea di libero scambio: Norvegia, Svizzera, Islanda e Liechtenstein.

[3] Capo III, Reg. (UE) n. 604/2013.

[4] Disponibile: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_20_1706.

[5] Internazionale, Che cos’è il patto europeo sull’immigrazione e l’asilo, 17 settembre 2020, disponibile: https://www.internazionale.it/notizie/2020/09/17/patto-europeo-immigrazione-asilo.

[6] Preambolo, §5. “Tale meccanismo dovrebbe essere fondato su criteri oggettivi ed equi sia per gli Stati membri sia per le persone interessate. Dovrebbe, soprattutto, consentire di determinare con rapidità lo Stato membro competente al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale e non dovrebbe pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale.”

[7] Regolamento (UE) n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013 , che istituisce l’ «Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l’efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto, e che modifica il regolamento (UE) n. 1077/2011 che istituisce un’agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

[8] Artt. 8 -16, art. 17 co. 2, in questi casi, il richiedente asilo non ha mai presentato domanda di protezione internazionale nel paese individuato con i criteri di cui al Capo III.

[9] Art. 18 lett. b), d), le decisioni di take back costituiscono il 67% delle richieste di trasferimento formulate nel 2020, European Union Agency for Asylum, EASO Asylum Report 2021, disponibile: https://euaa.europa.eu/easo-asylum-report-2021/423-decisions-take-charge-and-take-back-requests

[10] Per una prospettiva di riforma alla luce delle criticità che caratterizzano il Regolamento Dublino III, si veda: F. Tumiello, Il limite del “Sistema Dublino” nella gestione dei migranti https://www.iusinitinere.it/il-limite-del-sistema-dublino-nella-gestione-dei-migranti-23061; LaCimade, La machine infernale de l’asile européen. Dissuader et exclure : analyse des impacts d’une procédure Sur les droits des personnes exilées en France,2019.

[11] Protocollo n. 24  sull’asilo per i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, Articolo unico “dato il livello di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali da essi garantito, si considerano reciprocamente paesi d’origine sicuri a tutti i fini giuridici e pratici connessi a questioni inerenti l’asilo”.

[12] Così, §7, Preambolo della Direttiva n. 2003/9/CE del 27 gennaio 2003 recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri: “Dovrebbero essere adottate norme minime in materia di accoglienza dei richiedenti asilo che siano normalmente sufficienti a garantire loro un livello di vita dignitoso e condizioni di vita analoghe in tutti gli Stati membri”.

[13] UNHCR, 2015: L’anno della crisi dei rifugiati in Europa, disponibile: https://www.unhcr.org/it/notizie-storie/storie/2015-lanno-della-crisi-dei-rifugiati-in-europa/

[14] Internazionale, La Germania ha sospeso il regolamento di Dublino per i siriani, 25 agosto 2015, disponibile: https://www.internazionale.it/notizie/2015/08/25/germania-siriani-dublino

[15] Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia, Causa 30696/2009.

[16] CGUE, sentenza del 21 dicembre 2011. N. S. (C-411/10) contro Secretary of State for the Home Department e M. E. e altri (C-493/10) contro Refugee Applications Commissioner e Minister for Justice, Equality and Law Reform. Cause riunite C-411/10 e C-493/10.

[17] Ivi, §105.

[18] Ivi, §94.

[19] L’elenco dei “Paesi sicuri” è contenuto nella Parte 2 dell’allegato 2 alla legge inglese sull’asilo “Asylum and Immigration Treatment of Claimants Act” , 2004.

[20] Consiglio di Stato, sentenza n. 2272 del 15 maggio 2017.

[21]ASGI, L. Leo, Regolamento Dublino: il Consiglio di Stato annulla trasferimento verso Ungheria, disponibile: .

[22] Tribunale di Genova, decreto del 12 ottobre 2021.

[23] ECRI, European Commission against Racism and Intolerance, Country monitoring in Romania, 2019.

[24] AIDA, Asylum Information Database, Country Report Romania, 2021.

[25] Corte EDU, Grande Camera, ricorso n. 29217/12, Tarakhel v. Svizzera, 4 novembre 2014.

[26]Corte EDU, III Sez., ricorso n. 51428/10, A.M.E. c. Paesi Bassi, 13 gennaio 2015.

[27] Corte EDU, II Sez., ricorso n. 39350/13, A.S. c. Svizzera, 30 giugno 2015.

[28] D. Reginelli, I trasferimenti Dublino verso l’Italia dopo il decreto sicurezza: tra “carenze sistemiche” e “previe garanzie individuali”, in Federalismi.it, 2020.

[29] Sentenza Tribunale amministrativo federale svizzero E-962/2019 del 17 gennaio 2020.

[30] M. Magri, Il Decreto-Sicurezza impedisce i « trasferimenti Dublino»?, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, fasc. n. 2/2020.

[31] Segreteria di Stato della migrazione.

[32] C. Fratea, Obblighi di solidarietà ed effettività della tutela dei migranti: quale spazio per un ripensamento del sistema Dublino?, in Temi e questioni di diritto dell’Unione europea. Scritti offerti a Claudia Morviducci, Bari, 2019.

[33] COM(2020) 609 final, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, 23.9.2020.

[34] Per approfondire: Riforma del sistema di asilo dell’UE, disponibile: https://www.consilium.europa.eu/it/policies/eu-migration-policy/eu-asylum-reform/.

[35] M. Borraccetti, Il nuovo patto europeo sull’immigrazione e l’asilo: continuità o discontinuità col passato?, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, fasc. N. 1/2021.

[36] Commissione europea, Cifre complessive sull’immigrazione nella società europea, 2020, disponibile: https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/promoting-our-european-way-life/statistics-migration-europe_it#cifre-complessive-sullimmigrazione-nella-societ-europea.

Isabella Pagin

Isabella Pagin, dottoressa in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Ferrara e (ormai ex) studentessa del Percorso d'Eccellenza Andrea Alciato, con focus sul diritto europeo ed internazionale. Padovana di origine, ma mi sto milanesizzando... Volevo dire ambientando!

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