Repêchage anche per il contratto a tempo determinato
A cura di Federico Fornaroli
La suprema Corte di Cassazione è stata recentemente chiamata a dirimere una singolare controversia, in materia di rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato, giungendo a statuire che anche a tale fattispecie deve essere esteso l’obbligo datoriale di c.d. “repechage” prima che venga intimato il provvedimento espulsivo nei confronti del dipendente interessato dalla soppressione della propria posizione lavorativa.
In particolare, mediante l’ordinanza n. 18904/2024, gli Ermellini hanno affermato quanto sopra, precisando, altresì, che l’onere della prova del datore di lavoro in ordine alla concreta impossibilità di ricollocare il dipendente presso altre mansioni deve includere anche quelle inferiori.
Di talché, il datore di lavoro deve provare che, all’atto del licenziamento, non esisteva nessuna ulteriore posizione lavorativa in cui potesse utilmente ricollocarsi il licenziando lavoratore – tenuto conto dell’organizzazione aziendale esistente in quel momento – ancorché comportante compiti di minor pregio.
Difatti, il datore di lavoro, prima di agire in forma “esplusiva” nei riguardi del lavoratore di riferimento, deve offrire la mansione alternativa (come suddetto, anche inferiore) a quest’ultimo, prospettandone, quindi, il correlato demansionamento, in ossequio, così, ai sempre dovuti canoni di correttezza e buona fede.
Conseguentemente, soltanto laddove il lavoratore realmente rifiuti una simile proposta, il datore di lavoro potrà recedere dal relativo rapporto di lavoro.
La peculiarità di ciò che precede, invero, non consiste tanto in quello che è stato sopra illustrato – il quale è ormai un principio consolidato che tutte le aziende devono osservare in ipotesi coincidenti con quella di cui trattasi – quanto più nell’applicazione dello stesso al rapporto di lavoro a tempo determinato che sia oggetto di siffatta determinazione datoriale.
Inutile negare le possibili complicazioni pratiche derivanti dalla suesposta pronuncia di Cassazione, poiché, come ben noto agli addetti ai lavori, la “messa a terra” della medesima non è certamente agevole, specialmente avendo a mente il tessuto industriale medio in Italia e le caratteristiche gerarchiche di certe strutture aziendali nostrane.