mercoledì, Febbraio 19, 2025
Labourdì

Repêchage e l’obbligo di riqualificare il dipendente

A cura di Federico Fornaroli

La Suprema Corte di Cassazione è stata richiamata a giudicare in merito ad un tema solitamente spinoso e che, negli ultimi tempi, è stato oggetto di sfumature non sempre dalla banale portata, specialmente con riferimento all’obbligo formativo posto in capo dal datore di lavoro rispetto ad un proprio dipendente verso il quale v’è l’intenzione di intimare il licenziamento per c.d. giustificato motivo oggettivo, nell’ambito della più ampia cornice del c.d. obbligo di repêchage.

In particolare, con sentenza n. 17036/2024, gli Ermellini hanno ribadito che l’osservanza del succitato obbligo deve essere valutata in ordine ai livelli di inquadramento predisposti dalla contrattazione collettiva e deve essere tesa ad accertare concretamente se il lavoratore licenziato fosse in grado di svolgere le mansioni successivamente assegnate al lavoratore neoassunto (poiché questo è accaduto nella fattispecie e ha determinato, fra l’altro, l’impugnazione del provvedimento espulsivo), in virtù della specifica formazione, esperienza professionale e competenza ascrivibile al medesimo al momento del licenziamento.

E ciò, nell’ottica di un ottimale contemperamento delle diverse posizioni e interessi relativi, da un lato, al datore di lavoro e, dall’altro lato, al lavoratore, anche in forza della tutela costituzionale assicurata al primo, in termini di libertà di organizzazione aziendale, che miri ad una efficiente produttività e profitto.

Pertanto, la formazione cui deve badare il datore di lavoro prima di procedere con un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a detta della Cassazione, non deve comportare ulteriori oneri per il datore di lavoro, salvo quelli che, in qualche modo, possano reputarsi già rientranti nell’alveo delle capacità del lavoratore coinvolto.

Difatti, stante una lettera complessiva e armonizzata del novellato testo dell’art. 2103 c.c., “l’obbligo di repêchage è limitato alle mansioni inferiori compatibili con il bagaglio professionale di cui il lavoratore sia in dotato al momento del licenziamento, che non necessitino di una specifica formazione che il predetto non abbia”.

Dunque, nemmeno viene richiamata una sorta di sostenibilità e/o ragionevolezza circa la verifica di una formazione adeguata e sensata per cercare di “salvare” il lavoratore interessato e, così, evitare il licenziamento, proprio in lume del suindicato obbligo di repêchage.

Sicché, a maggior ragione, neppure potrà evocarsi nei riguardi del datore di lavoro un obbligo eccedente il summenzionato dettame giurisprudenziale: insomma, il datore di lavoro dovrà limitare alquanto il proprio “sforzo” concernente l’onere formativo ante licenziamento.

Tuttavia, resta una materia sensibile e un terreno potenzialmente scivoloso, nonché irto di insidie che, in linea di principio, solamente una lettera di licenziamento attentamente redatta può tentare di calmierare, a valle – naturalmente – di apposita e accurata analisi preliminare in relazione a tutte le circostanze fattuali del caso di cui trattasi.

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