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Responsabilità 231 per i reati tributari: prima pronuncia della Cassazione

a cura di Emanuele Murone. 

Cassazione penale, Sezione III, 27 aprile 2022 (ud. 27 gennaio 2022), n. 16302
Presidente Petruzzelli, Estensore Di Nicola

La decisione pronunciata dalla Suprema Corte si appalesa di primario rilievo nel recentissimo panorama giurisprudenziale per quanto specificatamente concerne i profili di responsabilità dell’ente, rappresentando un primissimo approdo esegetico in tema di reati tributari per effetto del di loro inserimento nella lista dei reati presupposto che giustificano l’applicazione della normativa prevista dal D. Lgs. n. 231/2001.

  1. Introduzione

In data 27 aprile 2022 sono state depositate le motivazioni della sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, Sezione III Penale, nella vicenda che ha visto coinvolto la branch italiana appartenente al leader mondiale della logistica contrattuale, DHL Supply Chain.

Nel caso di specie, alla DHL Supply Chain S.p.a. veniva contestato l’illecito amministrativo punito dagli artt. 5 lett. a), 6 lett. a), 25 quinquiesdecies[1] di cui al D. Lgs. n. 231/2001, per avere due Presidenti del CdA succedutisi negli anni, posto in essere l’illecito penale di cui all’art. 2 del D. Lgs. n. 74/2000, nell’interesse e a vantaggio della predetta società, la quale in tal modo avrebbe ottenuto un vantaggio patrimoniale, per le annualità 2019-2020, pari a circa 10 milioni di euro

In particolare, agli imputati persone fisiche è stato contestato il reato presupposto – che ha fondato la responsabilità della persona giuridica – di dichiarazione fraudolenta ai fini IVA perché, nelle predette qualità, avvalendosi di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti e simulando contratti d’appalto invece di contratti di somministrazione di manodopera, indicavano elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni IVA della DHL Supply Chain S.p.a., relative alle annualità 2017, 2018, 2019 e 2020, per un ammontare complessivo pari a circa 20 milioni di euro.

Con la sentenza in oggetto, la Corte ha dichiarato infondato e, dunque, ha rigettato il ricorso per cassazione presentato avverso l’ordinanza, emessa in data 19 luglio 2021, con la quale il Tribunale del Riesame di Milano aveva confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari di Milano nei confronti, tra l’altro, della DHL Supply Chain S.p.a., confermando il quadro accusatorio sulla base del quale era emerso che i lavoratori, formalmente soci delle cooperative che assumevano il lavoro in subappalto, in realtà prestavano la loro attività direttamente in favore della committente, che otteneva, in tal modo, la forza lavoro necessaria, sopportando però costi notevolmente ridotti, tanto attraverso la simulazione di un contratto di appalto, quanto per il tramite della riconduzione dei contratti di subappalto ad una somministrazione di manodopera da parte delle cooperative finali.

  1. Il caso di specie

Per quanto in questa sede rileva, con la pronuncia oggetto di disamina la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la penale responsabilità dell’ente con riguardo alla commissione degli illeciti tributari.

La sentenza in esame trae origine dal ricorso per cassazione presentato dai difensori della DHL Supply Chain S.p.a. avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Milano, la quale aveva confermato il provvedimento cautelare reale con cui il GIP che aveva disposto il sequestro preventivo di alcune somme di denaro.

In particolare, all’ente è stato contestato l’illecito previsto dagli artt. 5 lett. a), 6 lett. a), 25-quinquiesdecies di cui al D. Lgs. n. 231/2001, in quanto le persone fisiche, soggetti apicali, avrebbero posto in essere il reato di cui all’art. 2 del D. Lgs. n. 74/2000, nell’interesse e a vantaggio della predetta società.

Avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame, la difesa ha articolato le proprie doglianze in quattro motivi di ricorso, eccependo:

  1. violazione di legge sotto il profilo dell’interpretazione e applicazione dell’art. 2, comma 1, e dell’art. 1, comma 1, lett. b) del D. Lgs. n. 74/2000;
  2. violazione di legge in relazione agli artt. 1704, 1705 e 2602 ss. c.c., e dell’art. 42, comma 2, del “CCNL logistica, trasporto merci e spedizione 2016-2019” del 3.12.2017, di cui si deve tener conto nell’applicazione dell’art. 2 di cui al D. Lgs. n. 74/2000;
  3. violazione o l’erronea applicazione delle leggi e di altre norme giuridiche necessarie per la corretta qualificazione delle prestazioni fornite alla società;
  4. inosservanza o erronea applicazione dell’art. 12 bis del Lgs. n. 74/2000 per assenza del profitto e di attualità del debito fiscale da tutelare col sequestro preventivo finalizzato alla confisca.

La Suprema Corte, condividendo le argomentazioni del Tribunale del Riesame e ritenendone adeguato l’apparato motivazionale in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, ha rigettato il ricorso presentato dai difensori della DHL Supply Chain S.p.a. con relativa condanna alle spese processuali.

Secondo i giudici di legittimità l’inesistenza soggettiva delle fatture, comportando l’indetraibilità dell’IVA esposta in dichiarazione, è stata ritenuta elemento integrante della fattispecie delittuosa prevista dall’art. 2 del D. Lgs. n. 74/2000 – quale reato presupposto dell’illecito amministrativo ex art. 25 quinquiesdecies D. Lgs. n. 231/2001 – nei confronti dell’ente e dei suoi manager.

La tesi, posta a fondamento dell’inesistenza soggettiva delle fatture portate in detrazione dalla società, è sostenuta sulla base del fatto, evidenzia la Corte, che i lavoratori, formalmente soci delle cooperative che assumevano il lavoro in subappalto, in realtà prestavano la loro attività direttamente in favore della committente, che otteneva, in tal modo, la forza lavoro necessaria, sopportando però costi notevolmente ridotti e tanto attraverso la simulazione del contratto di appalto stipulato con una società terza e la sua strumentalità a realizzare una intermediazione di manodopera, in considerazione della simulazione a cascata dei subappalti correlativi e la loro riconduzione ad una somministrazione di manodopera da parte delle cooperative finali.

Orbene, evidenzia la Corte come gli elementi di prova valorizzati dal Tribunale del Riesame depongano inequivocabilmente nel senso dì ritenere la pacifica fittizietà del contratto di appalto formalmente intercorso tra le due società e stipulato al solo fine di mascherare un reale contratto di somministrazione illecita di manodopera, atteso che l’elemento fondamentale e differenziale tra le due tipologie contrattuali è costituito dall’esercizio del potere di direzione e di organizzazione da parte del committente.

Il fulcro dell’apparato motivazione della Corte di Cassazione risiede nella circostanza secondo cui la fraudolenta operazione inerente il contratto di appalto avrebbe comportato, da un lato, l’applicazione di tariffe fuori mercato, che i fornitori della manodopera avrebbero potuto garantire all’indagata società solo attraverso l’omesso versamento delle imposte e/o dei contributi previdenziali, e, dall’altro, la possibilità per la committente di ricorrere alla forza lavoro con vantaggi in tema di flessibilità di gestione e di costi, che l’assunzione diretta delle maestranze non avrebbe consentito, nonché di utilizzare le fatture emesse dal consorzio-schermo di cui la società si avvaleva ai fini IVA, con ciò realizzando un’operazione riconducibile anche alla fattispecie dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, consentendo alla società di realizzare una evasione dell’imposta sul valore aggiunto.

Infatti, l’IVA dovuta è stata neutralizzata dall’IVA a credito per le fatture emesse dalle cooperative e società fornitrici della manodopera, le quali in gran parte non avevano versato l’IVA dovuta sulle fatture emesse.

I presunti vantaggi fiscali, quindi, sarebbero derivati dall’utilizzo di un contratto di appalto di servizi stipulato per mascherare una somministrazione di manodopera contra legem, sfruttando la possibilità di detrarre indebitamente l’IVA in relazione alle prestazioni fatturate dall’appaltatore.

Sul punto, la Suprema Corte, richiamando alcuni precedenti, ha affermato che «la giurisprudenza di legittimità ha precisato come nell’interposizione di manodopera, se vi è illiceità dell’oggetto e se la natura del contratto tra committente e datore di lavoro terzo è fittizia, il committente, non solo non potrà detrarre l’Iva, ma avrà anche l’obbligo di eseguire degli adempimenti fiscali in qualità di sostituto d’imposta. Nel pervenire a tali conclusioni, è stato affermato che, in tema di divieto d’intermediazione di manodopera, in caso di somministrazione irregolare, schermata da un contratto di appalto di servizi, va escluso il diritto alla detrazione dei costi dei lavoratori per invalidità del titolo giuridico dal quale scaturiscono, non essendo configurabile una prestazione dell’appaltatore imponibile ai fini Iva».

Ed ancora, prosegue il Supremo Collegio, «non si è mai dubitato che l’indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anziché relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, non incide sulla configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta previsto dall’art. 2 del D. lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il quale, nel riferirsi all’uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo […] con la conseguenza che il delitto di frode fiscale ex art. 2 D. lgs. n. 74 del 2000 è astrattamente configurabile nel caso di intermediazione illegale di manodopera, stante la diversità tra il soggetto emittente la fattura e quello che ha fornito la prestazione. Da ciò discende pure la configurabilità del concorso di reati fra la contravvenzione di intermediazione illegale di mano d’opera (art. 18 D. lgs. n. 276 del 2003) ed il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, nel caso di utilizzo di fatture rilasciate da una società che ha effettuato interposizione illegale di manodopera»..

Nel caso de quo, ha rilevato dunque la Corte, contrariamente al dato puramente formale, tra la società utilizzatrice e le emittenti non sarebbero stati instaurati contratti di appalto genuini, avendo la società fatto ricorso, in maniera sistematica, a moduli di gestione di tali rapporti in fase esecutiva che, di fatto, integravano delle ipotesi di somministrazione illegale di manodopera da parte delle cooperative, per il tramite del consorzio che si interponeva fittiziamente in tale rapporto.

Tale meccanismo, dunque, avrebbe permesso alla società utilizzatrice di impiegare la manodopera messa a disposizione delle cooperative instaurando di fatto – attraverso l’elusione delle norme imperative in materia giuslavoristica – un rapporto assimilabile in toto a quello di lavoro dipendente; con la conseguenza, sotto il profilo fiscale, che le fatture emesse dalle società consorziate erano da qualificare come oggettivamente inesistenti. .

La Corte rileva infine che i costi, derivanti dalla condotta illecita rappresentata dall’intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, risultano essere stati utilizzati di fatto al fine di abbattere l’imponibile.

Pertanto, gli elementi passivi fittizi, come definiti dall’art. 1, comma 1, lett. b), D. Lgs. n. 74/2000 che hanno determinato il vantaggio fiscale indebito, integrando la condotta prevista e punita dall’art. 2 di cui al D. Lgs. n. 74/2000, altro non sono, a parere del Supremo Collegio, che le voci di costo che hanno partecipato alla quantificazione del reddito imponibile confluito nella dichiarazione per essersi la società ricorrente avvalsa di fatture per operazioni inesistenti, indicando le stesse, nella componente espressa in cifra e perciò concorrente alla determinazione del reddito o delle basi imponibili rilevanti, quali elementi passivi fittizi nella dichiarazione IVA.

In merito quindi alla responsabilità amministrativa dell’ente la Suprema Corte conclude la propria linea argomentativa affermando che «stando alle risultanze investigative, come compendiate nell’ordinanza impugnata, si è cioè realizzato uno schema in forza del quale il committente, attraverso un appalto non genuino, ha azionato il diritto alla detrazione dell’Iva dopo aver articolato un meccanismo in forza del quale, attraverso il pagamento di fatture per “finti” appalti di opere e servizi, ha “scaricato” l’Iva da un consorzio che, a sua volta, ha “scaricato” il tributo dalle cooperative consorziate che l’avrebbero dovuto versare allo Stato ed invece, dopo qualche anno, hanno cessato l’attività, rimanendo in debito verso l’erario, che è risultato impedito nel recupero dell’imposta, con conseguente accollo dell’evasione fiscale alla collettività. Anche alla luce di ciò, deve pertanto ritenersi che ricorrono, per quanto qui interessa, tutti i presupposti fattuali e giuridici della ipotizzata responsabilità della società ricorrente ai sensi dell’art. 25-quinquiesdecies D. lgs. n. 231 del 2001, risultando infondato il primo motivo di ricorso e manifestamente infondati o non consentiti gli altri».

  1. Conclusioni

Il percorso motivazionale tracciato dalla Suprema Corte suscita, a parere di chi scrive, notevole interesse avendo il Collegio riconosciuto l’interesse e il vantaggio per la società nei vantaggi fiscali derivanti dall’utilizzo del contratto di appalto stipulato per mascherare una somministrazione illecita di manodopera, sfruttando in tal modo la possibilità di detrarre indebitamente l’IVA in relazione alle prestazioni fatturate dalla predetta società.

La pronuncia in oggetto, seppur concernente un procedimento ancora in fase di indagini, rappresenta un primo step applicativo con riferimento alla responsabilità dell’ente per i reati tributari e potrà essere utilizzata per la predisposizione e l’aggiornamento di un Modello di Organizzazione e Gestione valido ed efficace alla luce della necessità di un reattivo intervento di adeguamento prospettatosi a seguito delle recenti modifiche normative introdotte dal legislatore delegato.

[1] La norma in questione è stata inserita nel sistema sanzionatorio delineato dal D. Lgs. n. 231/2001 con il D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze differibili”, convertito in L. 19 dicembre 2019, n. 157.

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