venerdì, Marzo 29, 2024
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Responsabilità amministrativa degli animali sottoposti a confisca o soggetti di maltrattamento sul territorio comunale

Esistono sottili fili che si intrecciano tra il Comune, personificato dal Sindaco, e lo stato di benessere di animali sottoposti a confisca sul territorio comunale. Un rapporto, quello tra P.a. e “occupanti” del suolo comunale, che vede il Sindaco ricoprire la figura di garante nei confronti delle strutture che richiedono di occuparsi di animali sottoposti a confisca, e come responsabile della scelta di strutture ed associazioni, laddove, nessuna ne abbia fatto spontanea richiesta.

La sentenza della IV sezione della Suprema Corte di Cassazione con sentenza n°18167 del 2017 ha chiarito questo punto stabilendo le competenze del sindaco nel caso di specie.

Il fatto oggetto della sentenza può vedersi come uno spaccato di vita cittadino. Spesso, purtroppo, ci si trova dinanzi animali vittime di maltrattamenti vari od oggetto di confisca passata in giudicato. In entrambe le ipotesi si pone la problematica di sostentamento degli animali in questione.

La Corte rivede nella figura del Sindaco quella, secondo legge ed oltre ogni ragionevole dubbio, “responsabile del benessere degli animali presenti sul territorio comunale, rispetto ai quali vanta una posizione di garanzia, che comporta l’obbligo di far fronte al loro mantenimento in caso di confisca”.

Il ragionamento della Corte parte da un dato normativo. L’art. 727 del nostro codice penale che disciplina l’abbandono e lo stato indotto di “cattività” degli animali sanzionandolo. Partendo dal codice penale arriva a desumere quali debbano essere le garanzie e le azioni che l’amministrazione comunale deve svolgere in casi simili.

La vicenda

Il caso parte dal Piemonte. Protagonisti il Giudice dell’esecuzione e un allevamento locale. Il pomo del dissenso è una richiesta di liquidazione avanzata dall’allevamento che si era occupato della custodia di alcuni cani vittime di maltrattamento a seguito di un decreto penale di condanna non opposto, a cui era seguita la confisca degli animali.

L’ordinanza del Giudice di esecuzione fa riferimento a diversi profili giuridici. Quelli di nostro interesse si predispongono in due ordini di motivi. Il primo fa riferimento al momento del sequestro inteso come atto coattivo. Tramite esso si realizza il trasferimento della proprietà degli animali al Comune, divenuto, dopo tale azione, proprietario ed affidatario degli animali. Il secondo ordine di motivi è a questo primo strettamente connesso. Valutato il trasferimento di proprietà, infatti, sembra ragionevole ritenere le spese, successive la confisca, di onere dei Comuni competenti per Territorio. A sostegno di tale tesi l’ordinanza fa riferimento anche alla normativa statale che attribuisce al Comune i compiti di gestione dei randagi, cui andava ordinato il decreto di condanna.

A questo punto, però, è necessario richiamare un altro dato normativo, l’art. 240 c.p. che mal si amalgama in questo contesto. L’art. 240, infatti, riferendosi alla materia di confisca e connettendosi indirettamente con l’art. 19 indica che gli animali sono “affidati” ad enti o associazioni che ne fanno richiesta, ergo, anche per questo dato normativo la responsabilità degli animali deve essere comunale.

La Corte di Cassazione fa riferimento anche alla Dichiarazione Universale dei diritti degli animali, un Carta Parigina proclamata presso la sede dell’UNESCO. L’affermazione cardine ed ispiratrice della successiva legislazione è la seguente: “Tutti gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza. “ ( E chi può mostrarsi garante di questo diritto universalmente riconoscente se non lo Stato nella figura del Sindaco?!).

Parte da questi semplici ma fondamentali dati il ragionamento della Corte. Il testo della sentenza emessa è complesso e pieno di “taverne giuridiche”. La premessa la si ritrova nell’art 19 quater che prevede che gli animali oggetto di provvedimento di sequestro o confisca devono essere affidati ad associazioni o enti che possano mantenerli in modo adeguato, e che ne facciano richiesta. Quest’ultimo cerchio di parole “che ne facciano richiesta” è il trampolino di lancio del ragionamento della Corte. Laddove, infatti, nessun’associazione o ente dovesse farne richiesta, il destino di questi animali non può diventare terra di nessuno. Bisogna individuare l’ente pubblico deputato al loro mantenimento. La Corte, nel suo dispositivo, indica il Comune nella cui sede vi era l’allevamento ricorrente.

Questa sentenza nei suoi profili amministrativistici risulta di particolare importanza poiché detiene due materie cogenti del nostro viver comune: l’ordine cittadino, ed il benessere degli animali confiscati, che hanno il diritto di essere protetti. Se così non fosse verrebbe disturbato anche l’ordine pubblico in quanto, nel caso in cui nessun ente ne facesse richiesta, questi animali risulterebbero abbandonati per le strade del Comune. La Cassazione riprende la possibilità di affidarsi ad allevamenti, enti, o società che detengano i criteri di affidabilità e correttezza ritenuti indispensabili per un sereno e giusto sviluppo del benessere degli animali confiscati. La responsabilità, però, anche in questi casi è dell’amministrazione comunale che deve sorvegliare e custodire il territorio su cui opera.

Mirella Astarita

Mirella Astarita nasce a Nocera Inferiore nel 1993. Dopo la maturità classica prosegue i suoi studi presso la facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo Federiciano. Amante fin da piccola della letteratura e dei mondi a cui dà accesso, crescendo impara a guardare e raccontare con occhio critico ciò che la circonda. Le piace viaggiare, conoscere posti nuovi, sentire le loro storie ed immaginare come possa essere vivere lì. Di indole curiosa lascia poche cose al caso. La sua passione verso il diritto amministrativo nasce seguendo i primi corsi di questa materia. Attenta all’incidenza che ha questa sfera del diritto nei rapporti giuridici, le piace sviscerare fino in fondo i suoi problemi ed i punti di forza. Attualmente è impegnata nella stesura di una tesi di diritto amministrativo comparato, riguardante i sistemi di sicurezza.

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