lunedì, Dicembre 2, 2024
Uncategorized

Responsabilità precontrattuale della P.A. anche prima dell’aggiudicazione definitiva: sul punto si esprime l’Adunanza Plenaria

Premessa

Il principio di responsabilità precontrattuale è sancito nel nostro ordinamento dall’articolo 1337 c.c. il cui disposto prevede che ‹‹le parti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”. La responsabilità precontrattuale tutela, dunque, l’interesse all’adempimento, l’interesse del soggetto a non essere coinvolto in trattative inutili, a non subire inganni in ordine ad atti negoziali,a non stipulare contratti invalidi o inefficaci.

Il riconoscimento di una responsabilità precontrattuale della P.A. rappresenta una conquista giurisprudenziale recente, per molto tempo si è, infatti,escluso che una condotta pubblica potesse essere sottoposta ai principi della culpa in contrahendo.

Ma, se il principio della responsabilità precontrattuale della P.A. ex art.1337 c.c. è ormai consolidato nella giurisprudenza sia civile che amministrativa, risulta ancora incerto e dibattuto l’ulteriore profilo dei confini entro i quali la P.A. è responsabile per le condotte, sia pur legittime, ma, comunque, contrarie ai canoni della correttezza e della buona fede, poste in essere nel corso delle trattative per la formazione dei contratti ad evidenza pubblica.

Esistono a tal proposito due tesi diverse sostenute in numerose pronunce amministrative: secondo la prima, la responsabilità precontrattuale sarebbe configurabile in ogni fase del procedimento ad evidenza pubblica e, dunque, anche nella fase che precede la scelta del contraente, prima e a prescindere dall’aggiudicazione definitiva; la tesi opposta individua, invece, nell’aggiudicazione definitiva il momento a partire dal quale il partecipante ad una gara può fare un ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto e, dunque, può risultare leso dal “recesso” ingiustificato nelle trattative.

Ed è proprio l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla questione che ha spinto la Terza Sezione del Consiglio di Stato a chiedere l’intervento nomofilattico dell’Adunanza Plenaria, compito al quale ha adempiuto in modo puntuale ed esaustivo con la sentenza in commento[1].

Il caso

La controversia alla base della rimessione all’Adunanza Plenaria riguardava la revisione di una sentenza del T.A.R. Calabria in merito alla condanna al risarcimento dei danni da responsabilità precontrattuale in una procedura di affidamento in appalto (suddiviso in 7 lotti) del servizio di ristorazione delle Aziende sanitarie ed Ospedaliere della Regione Calabria.

Con ricorso al T.A.R. Calabria, il R.T.I. La Cascina, infatti, impugnava il provvedimento con cui la Stazione Unica Appaltante della Regione ne aveva disposto l’esclusione dalla gara; in particolare la ricorrente, che aveva presentato un’offerta per il lotto numero 4 relativo al “servizio di ristorazione dell’azienda sanitaria provinciale di Cosenza”, aveva ottenuto il punteggio più alto dopo la valutazione della documentazione tecnica, ma si era vista escludere dalla gara per aver presentato un’offerta in aumento rispetto all’importo annuale dell’appalto.

Il R.T.I. La Cascina aveva presentato, in realtà, un’offerta economica annua in ribasso rispetto al valore annuo dell’appalto e calcolato suddividendo l’importo complessivo previsto dal bando di gara (riferito all’intera durata del contratto) per gli anni di durata dell’appalto stesso (tre anni in base a quanto stabilito dal bando di gara).

Ad avviso della stazione appaltante, invece, la durata dell’appalto era da considerare pari non a tre ma a quattro anni, tenuto conto che nel disciplinare di gara si prevedeva la possibilità di proroga del contratto per 12 mesi: l’offerta annua presentata dal raggruppamento La Cascina risultava, dunque, superiore a quella posta a base di gara e, per tale ragione, inammissibile.

Con sentenza n. 1730 del 18 novembre 2015 il Tribunale amministrativo regionale della Calabria aveva accolto il ricorso del R.T.I. La Cascina contro il provvedimento di esclusione ed in sede di appello il Consiglio di Stato[2] aveva confermato l’accoglimento del ricorso, annullando definitivamente l’atto di esclusione.

In entrambi i gradi di giudizio veniva sottolineato come il bando di gara, il capitolato speciale e il disciplinare di gara contenessero chiaramente precisazioni diverse tra loro e che ciò si dovesse ritenere in conflitto con l’obbligo di chiarezza che sussiste in capo all’amministrazione (espressione del più generale principio di buona fede), la cui violazione comporta – in applicazione del principio di autoresponsabilità – che le conseguenze derivanti dalla presenza di clausole contraddittorie nella lex specialis di gara non possono ricadere sul concorrente che, in modo incolpevole, abbia fatto affidamento su di esse.

In reazione alle due sentenze appena richiamate la Stazione Unica appaltante aveva ritenuto opportuno, piuttosto che procedere alla conclusione della gara con l’aggiudicazione in favore della R.T.I. La Cascina, disporre l’annullamento d’ufficio dell’intera procedura di gara riguardante il lotto 4.

La motivazione del provvedimento di autotutela riportava alcuni specifici passaggi delle sentenze del T.A.R. Calabria e del Consiglio di Stato (n. 2497/2016), condividendo, inoltre, la contraddittorietà (accertata dal giudicato) tra gli atti costituenti l’insieme della lex specialis[3].

La Cascina Global Service s.r.l.- Cardamone Group s.r.l., come prevedibile, impugnava, dunque, tale provvedimento, deducendone l’illegittimità e chiedendone l’annullamento con la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, in primo grado, aveva respinto la domanda demolitoria accogliendo, invece, la domanda (formulata in via subordinata dalle ricorrenti) tesa ad ottenere il risarcimento dei danni a titolo di responsabilità precontrattuale per violazione degli obblighi di buona fede incombenti sulle parti nel corso delle trattative.

Ciò aveva spinto sia la Regione Calabria che la Cascina Global service s.r.l.- Cardamone Group s.r.l. a correre immediatamente al riparo proponendo separati appelli avverso la sentenza di primo grado (ovviamente ciascuna per la riforma della parte contraria ai propri interessi).

Con sentenza non definitiva 24 novembre 2017, n. 5491, la Sezione Terza del Consiglio di Stato, dopo aver riunito i due appelli[4], rigettava i motivi di appello delle società ricorrenti riguardanti il capo della sentenza con la quale il Tribunale amministrativo regionale aveva respinto la domanda di annullamento dei provvedimenti in autotutela posti in essere dalla Stazione Appaltante e sospendeva il giudizio in ordine ai rimanenti motivi concernenti l’an e il quantum del disposto risarcimento; nella medesima sentenza veniva dato avviso che con separata ordinanza sarebbe stato richiesto l’intervento dell’Adunanza Plenaria[5].

L’ordinanza collegiale della Terza Sezione

Con l’ordinanza collegiale 24 novembre 2017, n. 5492, i giudici di appello dopo una breve ricostruzione della vicenda ed un’attenta disamina delle diverse e spesso contrastanti posizioni della giurisprudenza (in particolare della Cassazione) in merito alla configurabilità o meno di una responsabilità precontrattuale della P.A. in un momento antecedente l’aggiudicazione definitiva, hanno rimesso all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

  1. Se la responsabilità precontrattuale sia o meno configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione;
  2. Se, nel caso di risposta affermativa, la responsabilità precontrattuale debba riguardare esclusivamente il comportamento dell’amministrazione anteriore al bando, che ha fatto sì che quest’ultimo venisse comunque pubblicato nonostante fosse conosciuto, o dovesse essere conosciuto, che non ve ne erano i presupposti indefettibili, ovvero debba estendersi a qualsiasi comportamento successivo all’emanazione del bando e attinente alla procedura di evidenza pubblica, che ne ponga nel nulla gli effetti o ne ritardi l’eliminazione o la conclusione.

 La decisione dell’Adunanza Plenaria

Il supremo Collegio ritiene che le questioni rimesse dall’Adunanza Plenaria debbano essere risolte nel senso che il dovere di correttezza e di buona fede oggettiva (e la conseguente responsabilità contrattuale derivante dalla loro violazione) è configurabile in capo all’Amministrazione anche prima ed a prescindere dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, tale responsabilità è configurabile senza che possa riconoscersi rilevanza alla circostanza che la scorrettezza maturi anteriormente alla pubblicazione del bando oppure intervenga nel corso della procedura di gara.

L’alto Consesso ritiene che la tesi contraria (verso la quale sembra protendere anche l’ordinanza della Terza Sezione) muova da una premessa teorica errata in base alla quale il dovere di correttezza e buona fede troverebbe il suo presupposto in una trattativa in uno stato avanzato tale da far sorgere un ragionevole affidamento nella conclusione del contratto[6].

Risulta evidente come, data una tale premessa, appare logico affermare che nelle procedure ad evidenza pubblica sia l’aggiudicazione definitiva il momento a partire dal quale il partecipante alla gara può fare un ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto e, dunque, può dolersi del recesso ingiustificato dalle trattative che la stazione appaltante abbia posto in essere.

Secondo la Plenaria tale premessa teorica, che in sostanza collega il dovere di correttezza alla tutela della conclusione del contratto, trova la sua origine proprio nella formulazione testuale dell’art. 1337 c.c. interpretato alla luce dell’intenzione del legislatore storico (emergente dalla Relazione al Codice civile).

I compilatori del codice (influenzati dal regime e dalla cornice ideologica dell’ordinamento corporativo) avevano instaurato un legame tra il dovere di correttezza ed i valori della c.d. solidarietà corporativa definita come quel tipo di solidarietà che unisce tutti i fattori di produzione verso la realizzazione della massima produzione nazionale.

Gli articoli 1337 e 1338 avevano, dunque, una vocazione meramente economicistica e produttivistica[7] che non può più ritenersi valida alla luce dei principi e dei valori posti alla base della Costituzione Repubblicana.

Nel mutato quadro costituzionale il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede rappresenta una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale[8] che trova il suo principale fondamento nell’art. 2 della Costituzione[9].

Il dovere di correttezza mira, oggi, a tutelare non la conclusione del contratto, bensì la libertà di autodeterminazione negoziale[10], esso, dunque, prescinde dall’esistenza di una formale trattativa e dal fatto che questa abbia raggiunto un livello così avanzato da generare una fondata aspettativa in ordine alla conclusione del contratto.

Il Collegio, nella sentenza in commento, sottolinea poi come tale orientamento sia stato confermato da diversi precedenti giurisprudenziali, che hanno via via ampliato lo spettro di operatività del dovere di correttezza fino a renderlo applicabile anche nell’ambito del procedimento amministrativo.

La giurisprudenza, sia civile che amministrativa ha più volte affermato che <<anche nello svolgimento dell’attività autoritativa, l’amministrazione è tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), ma anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell’altrui scorrettezza>>[11].

Si configura in questi casi una responsabilità da comportamento illecito, che fa seguito all’adozione di provvedimenti spesso legittimi (come può essere la revoca legittima di un’aggiudicazione per mancanza di copertura finanziaria) ma che violano gli obblighi privatistici di lealtà, correttezza e diligenza.

Vengono poi richiamate le pronunce della Corte di Cassazione secondo le quali ‹‹il dovere di correttezza e buona fede (e l’eventuale responsabilità precontrattuale in caso di sua violazione) sussiste, prima e a prescindere dell’aggiudicazione, nell’ambito in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica strumentale alla scelta del contraente, che si pone quale strumento di formazione progressiva del consenso contrattuale nell’ambito di un sistema di “trattative (c.d. multiple o parallele) che determinano la costituzione di un rapporto giuridico sin dal momento della presentazione delle offerte, secondo un’impostazione che risulta rafforzata dalla irrevocabilità delle stesse››[12].

I Giudici sottolineano come lo stesso legislatore abbia mostrato un’aperta adesione alla tesi secondo cui i doveri di correttezza e di lealtà gravano sulla P.A. anche quando essa esercita poteri autoritativi nell’ambito del procedimento amministrativo; ne sono un esempio lampante l’art.1 della legge 241/1990 che assoggetta l’attività amministrativa ai principi dell’ordinamento comunitario, tra i quali grande importanza riveste proprio  la tutela dell’affidamento legittimo e l’art. 2 bis della medesima legge che ha introdotto la risarcibilità del danno da “mero ritardo” considerato come lesione del diritto soggettivo di autodeterminazione negoziale[13].

Per quanto riguarda la seconda questione rimessa (in via subordinata) dalla Terza Sezione riguardante la limitazione della responsabilità dell’amministrazione ai soli comportamenti anteriori al bando, tale impostazione non troverebbe alcun fondamento normativo ed in particolare si porrebbe in contrasto con l’atipicità delle modalità di condotta che caratterizza l’illecito civile[14].

La Plenaria ritiene, dunque, non solo che i doveri di correttezza e buona fede siano ormai pacificamente applicabili all’attività procedimentalizzata dell’amministrazione ma anche che la responsabilità della P.A. possa configurarsi in ogni fase del procedimento[15]; ciò che assume rilievo è che il comportamento posto in essere (anteriormente al bando, prima o dopo l’aggiudicazione) risulti contrario, a seguito di una verifica da condurre in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede.

Ovviamente in tale tipo di verifica assume rilievo anche il comportamento del privato il quale non potrà limitarsi ad invocare la propria buona fede soggettiva, ma dovrà anche dimostrare che lo specifico comportamento incorretto soggettivamente imputabile all’amministrazione in termini di dolo o colpa abbia rappresentato la condicio sine qua non[16] della scelta negoziale rivelatasi dannosa.

Alla luce delle argomentazioni e del contesto normativo e giurisprudenziale fin qui esposti, l’Alto Consesso, a conclusione di questa “monumentale” sentenza, enuncia i seguenti principi di diritto:

  1. Anche nello svolgimento dell’attività autoritativa, l’amministrazione è tenuta a rispettare oltre alle norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e la lesione dell’interesse legittimo), anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali.
  2. Nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, i doveri di correttezza e buona fede sussistono, anche prima e a prescindere dell’aggiudicazione, nell’ambito in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica.
  3. La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario ai doveri di correttezza e buona fede.
  4. Affinché nasca la responsabilità dell’amministrazione non è sufficiente che il privato dimostri la propria buona fede soggettiva, ma occorrono gli ulteriori seguenti presupposti: a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà; b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione; c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite).

 

[1] Sentenza n. 5 del 4 maggio 2018.

[2] Con sentenza n. 2497 del 10 giugno 2016.

[3] In particolare la Stazione Appaltante aveva ritenuto che ‹‹il principio costituzionale del buon andamento […] impegna la pubblica amministrazione ad adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire”; b) è “in re ipsa l’interesse pubblico all’annullamento di un’aggiudicazione inficiata da errori materiali, ciò potendo impedire fra l’altro sia l’esborso di denaro pubblico in violazione di norme anche procedimentali e di evidenza pubblica, sia la violazione dei principi di legalità e buon andamento, cui deve essere improntata l’attività dell’Amministrazione ai sensi dell’art. 97 Cost.››.

[4] Ex art. 96, comma 1, Cod. proc. amm. Il quale prevede la riunione dei ricorsi aventi ad oggetto la medesima sentenza di primo grado.

[5] Necessario ai fini della decisione dell’intero gravame proposto dalla Regione Calabria, nonché di parte del gravame proposto dalla Cascina Global Service S.r.l. e dalla Cardamone Group S.r.l..

[6] La Plenaria parla a riguardo di “trattativa affidante”.

[7] L’ordinamento (codicistico), non essendosi attuato uno scambio economico meritevole di protezione, interveniva per ripristinare la situazione patrimoniale lesa; si apprestano strumenti risarcitori di fronte all’inutilizzazione (mancata conclusione del contratto) od allo sperpero (contratto invalido) di valori patrimoniali.

[8] Il nuovo disegno costituzionale pone al centro l’individuo e, dunque, mira a perseguire non l’utilità sociale bensì la tutela della persona e delle sue libertà.

[9] Cfr., ex multis, Cass.civ., sez. I, 12 luglio 2016, n.14188.

[10] Quel diritto di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenze illecite derivanti da condotte di terzi connotate da slealtà e scorrettezza.

[11] Cfr., fra le altre, Cons. Stato, sez. VI, 6 febbraio 2013, n. 633; Cons. Stato, sez. IV, 6 marzo 2015, n. 1142;

[12] Cfr. Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2015, n. 9636; Cass. civ., sez. I, 3 luglio 2014, n. 15260; in termini, nella giurisprudenza amministrativa, cfr., fra le altre, Cons. Stato, sez. IV, 6 marzo 2015, n. 1142;

[13] Il ritardo nell’adozione del provvedimento di gara genera, infatti, una situazione di incertezza in capo al privato che può indurlo a scelte negoziali che non avrebbe compiuto se l’amministrazione avesse risposto nel termine previsto.

[14] L’illecito civile si incentra sull’ingiusta lesione della situazione giuridica soggettiva, senza che assumano rilievo le specifiche modalità comportamentali che hanno determinato tale lesione, è dunque, mutuando una qualificazione penalistica, un illecito a forma libera e casualmente orientato.

[15] Se si aderisse alla tesi che riconosce la configurabilità di una resp. precontrattuale solo dopo l’adozione del provvedimento di aggiudicazione si finirebbero per creare, a detta del Collegio, a favore dell’Autorità pubblica delle “zone franche” di responsabilità ed un ingiustificato regime privilegiato.

[16] Secondo la logica civilistica del “più probabile che non”.

Paola Verduni

contatti: pverduni90@gmail.com

Lascia un commento