Revenge porn: il Garante lancia un nuovo canale di emergenza
L’8 marzo è tradizionalmente ricordato come la giornata internazionale della donna: un’occasione per celebrare le lotte per i diritti che sono state già combattute e per ribadire a gran voce la necessità di affrontare con vigore sfide della nostra contemporaneità. Una di queste riguarda la oggettivizzazione del corpo femminile resa ancor più marcata nello spazio digitale ove viene praticata da taluni un’azione vile e vigliacca, nonché reato grazie all’introduzione dell’art. 612 ter[1] del codice penale, nota con il nome inglese di revenge porn. Siamo tutti tristemente al corrente di cosa significhi questo termine: letteralmente, porno vendetta, si tratta della condotta di chi divulga su social network e altri mezzi di comunicazione informatica immagini private dal contenuto sessualmente esplicito senza il consenso della persona raffigurata e con l’intenzione di creare alla stessa un danno o un disagio psico-fisico[2]. La vendetta viene frequentemente perpetrata ai danni di ex partner ma non esclusivamente: si stima, difatti, che solo in Italia sarebbero ben 89 i canali attivi (per un totale di 6 milioni di utenti) su Telegram, nota piattaforma di messaggistica, dedicati alla condivisione di materiale pornografico non consensuale e minorile[3] . Nessuno, nessuna classe sociale o demografica ne è esclusa: è una piaga sociale che tocca minori, adolescenti fino ad arrivare ai rappresentanti delle istituzioni[4].
Sempre maggiori sono i casi di cronaca che riportano atti di revenge porn: una delle più recenti riguarda una maestra di Torino vittima dell’aberrante gesto compiuto dal compagno. La diffusione delle sue immagini, oltre ad integrare la condotta ex art. 612 ter[5], è simbolo della assurda vittimizzazione di ritorno sofferta di chi non solo vede violata la propria intimità, ma anche la propria dignità e reputazione sia online sia offline. La maestra, difatti, è stata licenziata dalla Scuola presso la quale lavorava divenendo così l’oggetto di una vera e propria gogna scolastica. La maestra ha ottenuto recentemente una soddisfazione giudiziaria dato che la direttrice dell’istituto è stata condannata a 1 anno e 1 mese di reclusione (con la condizionale) per averla costretta a firmare le dimissioni[6].
E’ chiaro, tuttavia, che il vero danno non potrà essere in alcun modo ripagato: si tratta di una ferita nella psiche di molte (e molti), vittime della viralità di un fenomeno nauseabondo. E proprio nella giornata internazionale della donna il Garante per la Protezione dei Dati Personali lancia il nuovo canale di emergenza: le persone che temono che le loro foto o i loro video intimi possano essere diffusi senza il loro consenso potranno segnalare questo rischio e ottenere che le immagini vengano bloccate.
- Come funziona e a chi è rivolto:
Il canale di segnalazione preventiva si basa su quello attivato lo scorso anno da Facebook[7] ma accessibile fino ad oggi nel nostro paese attraverso la intermediazione di associazioni no-profit. Dall’8 marzo 2021, le persone maggiorenni che temono che le proprie immagini intime vengano condivise possono rivolgersi all’Autorità consultando la pagina www.gpdp.it/revengeporn, per segnalarne l’esistenza in modo sicuro e confidenziale e farle bloccare.
Nella pagina predisposta dal Garante, le potenziali vittime di pornografia non consensuale trovano un modulo da compilare per fornire all’Autorità le informazioni utili a valutare il caso e a indicare all’interessato il link per caricare direttamente le immagini sul programma. Un utilizzo positivo dell’Intelligenza Artificiale che spesso viene, al contrario, impiegata, come nel Deep Fake, per creare in modo sempre più invasivo contenuti lesivi della privacy degli individui: tramite questa tecnologia, a partire da immagini (o audio) reali si riesce a modificare o ricreare, in modo estremamente realistico, le caratteristiche e i movimenti di un volto o di un corpo e a imitare fedelmente una determinata voce[8].
Una volta caricate, le immagini verranno cifrate da Facebook tramite un codice “hash”, in modo da diventare irriconoscibili prima di essere distrutte e, attraverso una tecnologia di comparazione, bloccate da possibili tentativi di una loro pubblicazione. Il programma, difatti, riguarda per ora (ma ci si deve augurare che verrà esteso a altre piattaforme) Facebook e Instagram.
Nei casi, invece, in cui immagini o video intimi siano stati già condivisi senza consenso, è sempre possibile fare una segnalazione su Facebook o su Instagram consultando i link di seguito:
- Facebook: https://www.facebook.com/help/189722821075378
- Instagram: https://www.facebook.com/help/instagram/122717417885747/?helpref=hc_fnav&bc[0]=Centro%20assistenza%20di%20Instagram&bc[1]=Centro%20per%20la%20privacy%20e%20la%20sicurezza&bc[2]=Segnalazione%20di%20un%20contenuto.
- Come utilizzare il canale di emergenza:
Per proteggere i propri dati personali ed impedire la diffusione online di contenuti a sfondo sessuale che potrebbero essere utilizzati a fini di revenge porn, si può inviare all’indirizzo revengeporn@gpdp.it il modulo[9] comunicando pochi e semplici dati relativi a chi sta inviando la segnalazione. Sottostante vi è uno spazio ove inserire una breve descrizione del fatto per consentire all’Autorità di valutare se effettuare una prima verifica circa la possibilità di attuare direttamente la procedura anti revenge porn.
Il Garante ha, altresì, diffuso un Vademecum[10] che riporta alcuni consigli da poter applicare per difendersi e prevenire il revenge porn utili sia per chi ne è vittima sia per chi riceve foto inoltrategli da altri e che contiene link di re-indirizzamento alle varie forme di tutela a disposizione.
- Conclusioni
Ancora una volta, però, tutti questi mezzi contengono un’atavica problematica: non dovrebbe essere la vittima a preoccuparsi di non inviare tali foto e, a fortiori, non dovrebbe essere la vittima a subire doppiamente il danno e divenire oggetto di pubblico ludibrio, licenziamenti e commenti tremendi che, spiace dirlo, spesso provengono dalle stesse donne[11]. Potrebbe sembrare una speranza utopica ma dovrebbe essere chi riceve delle immagini di quotidiana intimità a non dover mai pubblicare o diffondere tali contenuti. Occorre con estrema urgenza creare campagne di sensibilizzazione rivolte a minori e adulti. Il revenge porn, difatti, è solo la punta di un iceberg preoccupante di sempre più invasivi e frequenti cybercrimes: reati commessi attraverso l’utilizzo di computer o altre tecnologie che spesso hanno delle conseguenze (anche a cascata) ben differenti rispetto a quelle provocate dai reati tradizionali ma che vengono dal legislatore trattati invocando fattispecie generali ad essi riconducibili[12].
Il mezzo di tutela messo a disposizione dal Garante è sicuramente uno strumento in più nelle mani delle vittime per combattere un fenomeno che danneggia tanto la loro privacy quanto la loro dignità: una vile violazione della peace of mind[13] a cui ogni individuo dovrebbe avere diritto.
[1] Per un approfondimento sulla introduzione della norma nell’ambito delle “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere” e sul c.d. “Codice Rosso” si rimanda al testo di Antonio Esposito in “Analisi dell’embrionale art. 612 ter c.p. riguardo il reato di Revenge Porn”, Ius in itinere (blog), 28 maggio 2019, https://www.iusinitinere.it/il-revenge-porn-ex-art-612-ter-c-p-ed-il-d-d-l-codice-rosso-20748.
[2] Si veda sul punto Salvatore Rosso in “Il fenomeno del Revenge Porn”, Filodiritto, 13 novembre 2020, https://www.filodiritto.com/il-fenomeno-del-revenge-porn.
[3] I dati menzionati sono stati diffusi da PermessoNegato.it, no-profit di promozione sociale che si occupa del supporto tecnologico alle vittime di violenza online, attacchi di odio e revenge porn. La organizzazione conduce periodiche analisi dell’andamento del revenge porn sulle reti italiane: nel più recente, risalente al Novembre 2020 (https://www.permessonegato.it/doc/PermessoNegato_StateofRevenge_202011.pdf), è riportata una paurosa e massiva crescita di questo fenomeno in cui le foto di donne vengono trattate come vere e proprie merci di scambio. Si rimanda al sito di PermessoNegato.it: https://www.permessonegato.it/#home. Ancora sul caso Telegram e sull’inchiesta che ha portato alla scoperta di questi gruppi: “Revenge porn e pedofili, Telegram è diventato il Far West dell’abuso su ex partner e minori”, la Repubblica, 4 aprile 2020, https://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2020/04/04/news/revenge_porn_e_pedopornografia_telegram_e_diventato_il_far_west_dell_abuso_su_ex_partner_e_minori-253126954/.
[4] Ulteriori statistiche sul revenge porn: http://www.cybercivilrights.org/wp-content/uploads/2014/12/RPStatistics.pdf.
[5] Per un’analisi puntuale della vicenda si veda Valeria D’Alessio in “Revenge porn – caso Tavassi e maestra di Torino”, Ius in itinere (blog), 2 dicembre 2020, https://www.iusinitinere.it/revenge-porn-caso-tavassi-e-maestra-di-torino-32855.
[6] Circa la vicenda giudiziaria: «Maestra di Torino licenziata dopo la diffusione di foto intime: condannate la preside e la madre di un’alunna», Open, 19 febbraio 2021, https://www.open.online/2021/02/19/revenge-porn-maestra-torino-licenziata-foto-intime/.
[7] Link al Progetto: https://www.facebook.com/safety/notwithoutmyconsent/pilot.
[8] Guida del Garante sul Deep fake: https://www.gpdp.it/documents/10160/0/Deepfake+-+Vademecum.pdf/478612c7-475b-2719-417f-869e5e66604e?version=2.0.
[9] Link di reindirizzamento al file in docx: https://www.garanteprivacy.it/documents/10160/0/Modello+di+segnalazione+al+Garante+per+impedire+pratiche+di+revenge+porn.docx/cfe04ae1-9893-7ccf-070b-15c280a41d08?version=1.0.
[10] Link al Vademecum: https://www.garanteprivacy.it/documents/10160/0/Revenge+porn+e+pornografia+non+consensuale.+I+suggerimenti+del+Garante+per+prevenirli+e+difendersi.pdf/ca0ec1b8-3805-5aa8-8771-e8bf6287c925?version=4.0
[11] Per una riflessione tutt’altro che giuridica ma sociale, si consiglia il post instagram di Cristina Fogazzi, aka Estetista Cinica, pubblicato in data 8 febbraio 2021: .
[12] Sul punto Pierluigi Perri in “I reati informatici”, in Ziccardi G. e Perri P. (a cura di), Tecnologia e diritto, vol. III, Giuffrè, 2019, p.160 e ss.
[13] Il riferimento è alla nota nozione di privacy elaborata da Samuel D. Warren e Louis D. Brandeis in “The right to privacy”, Harvard law review, 1890, 193–220.
Federica Paolucci, è Dottoranda in Diritto Costituzionale Comparato presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi, dove ha avuto anche modo di approfondire gli aspetti relativi al diritto e alla tecnologia frequentando nell’a.a. 2020/2021 LLM in Law of Internet Technology.